Morgante Patrizia
Abbiamo bisogno di pace
2024/12, p. 8
L’impegno e lo studio dei cattolici per la nonviolenza.

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Testimoni
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SGUARDO SUL MONDO
Abbiamo bisogno di pace!
L’impegno e lo studio dei cattolici per la nonviolenza
Il 2024 è stato definito «anno delle elezioni politiche». Forse non ci saremmo aspettati di chiuderlo con così tanti fronti di guerra aperti. Ma non è di geopolitica che vorrei parlare.
Al contrario, ho sentito il bisogno di dare spazio ad alcuni eventi della Chiesa, accaduti negli ultimi mesi, e alla mia personale ricerca nella scelta nonviolenta<p> Per chi è interessato, consiglio questo testo fondamentale per imparare i principi della comunicazione nonviolenta: <i>Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla comunicazione nonviolenta</i>, di Bertram Rosenberg Marshall, Vilma Costetti, <i>e</i><i>t</i><i> al.</i> <p/><p> <p/><p> <p/>: questi gli elementi alla base di questo articolo.
Bisogno profondo di pace
Chi di noi non ha pronunciato la parola Pace negli ultimi mesi? Non mi riferisco solo alle vicine (per l’Europa) guerre in Ucraina e in Terra Santa, ma a un clima di aggressione e violenza che abita i nostri cuori, le nostre famiglie (religiose e non), le nostre società. Basta guidare la macchina in una città per rendersi conto della facilità con cui ci si infiamma per uno sgarbo: si sperimentano vere e proprie inondazioni emotive che generano violenza, solo verbale quando si è fortunati. Anche le inondazioni di pioggia ci hanno tenuti allerta e col desiderio di pace da una natura che ci sta mettendo a dura prova.
Quando la violenza verbale e fisica esplode, sembra difficile per la persona tornare indietro: si sente come avvolta da una marea emotiva che fa fatica a condurre. Sappiamo che le emozioni e le pulsioni portano con sé importanti informazioni per noi, per questo non vanno negate o ignorate. Gli studi neurologici sul cervello ci dicono che abbiamo una neuroplasticità che consente al nostro cervello una certa mobilità; mobilità che viene chiamata in causa nell’educazione affettiva e intellettuale. Pertanto, possiamo educare il nostro cervello alla pace e alla nonviolenza, fargli fare esperienze che nutrono gli elementi di integrazione e mansuetudine dentro di noi. Scegliere la nonviolenza vuol dire agire senza nuocere né a me né all’altra persona, saper rispettare il limite di potere di chi ho di fronte e il mio. Non significa ignorare le emozioni come la rabbia, la paura, il dolore: vengono risignificate dentro un paradigma nonviolente, anche nei nostri stessi confronti.
Questa riflessione vorrebbe sdoganare la nonviolenza dallo spazio settario che, spesso, le abbiamo lasciato, confondendola con debolezza, arrendevolezza, passività, ingenuità.
Grazie Papa Francesco!
A fine settembre il Papa sceglie il tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2025: Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori. (cf. 1Pt 3,15-16). Tema pensato in prevalenza per chi lavora professionalmente nell’ambito della comunicazione e dell’informazione.
Così si legge sul Bollettino delle Sala Stampa Vaticana:
«Il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali pone l’attenzione sul fatto che oggi troppo spesso la comunicazione è violenta, mirata a colpire e non a stabilire i presupposti per il dialogo. È quindi necessario disarmare la comunicazione, purificarla dall’aggressività. Dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social il paradigma che rischia di prevalere è quello della competizione, contrapposizione e volontà di dominio».
Un invito a disarmare la comunicazione, le parole e il linguaggio; così come la postura fisica e la comunicazione paraverbale e non verbale; a curare l’estetica del nostro linguaggio: non si tratta solo di non usare termini offensivi e volgari, ma scegliere parole che aprono cammini e che costruiscono ponti tra le persone. Parole che sanno dire la gratitudine per la bellezza delle persone, così come esprimere il nostro dissenso con morbidezza. Siamo invitati anche a usare parole compassionevoli con noi stesse/i, a trattarci con amore e compassione.
Noi siamo parola che crea, perché il Logos è generativo, performativo. Con le parole possiamo tessere intrecci di vita o di violenza.
Disarmare la comunicazione
L’invito a una comunicazione disarmata e nonviolenta ci educa a un’attitudine diversa da quella che prevale nelle relazioni interpersonali e globali: patriarcale, machista, coloniale, estrattivista e di dominio. Prevale un atteggiamento, non solo maschile, da maschio alfa (controllo, potere su, invasione, sfruttamento). Queste attitudini non le riserviamo solo alle persone ma anche al cosmo. Siamo educati, in prevalenza, a relazioni di dominio, dove una parte deve per forza vincere e prevalere sull’altra. La parte che perde maturerà le prossime azioni per poter vincere in futuro, in una catena infinita di violenza.
In questa logica, cedere o negoziare è visto come segno di debolezza, di perdita di potere agli occhi delle persone intorno a noi e verso le quali esercitiamo un potere di leadership.
Non mi riferisco solo ai capi di stato o di governo; penso anche a stili di comunicazione tossici, umilianti, svalutanti che prendono possesso di gruppi e comunità religiose. Avevo un’amica che, in ogni situazione, metteva in evidenza tutto ciò che sarebbe potuto andare meglio, ignorando ciò che aveva funzionato. Un giorno, tra il serio e il faceto, le ho detto che avrei accolto la sua critica solo dopo aver ascoltato almeno tre osservazioni su aspetti positivi. Non ha funzionato, ma è diventata più attenta.
Quante volte usiamo un linguaggio armato anche per parlare di cose belle? Spesso ripetiamo modi di dire e frasi retoriche piene di militarismo e aggressività, che soggiacciono a una mentalità guerresca del vincere o perdere. Per la plasticità neurologica, così facendo diamo maggiore forza a queste attitudini. Cambiare il linguaggio, è cambiare la cultura e la narrazione.
Vi riporto solo alcuni esempi che mi hanno colpito recentemente:
Bombardare di messaggi d’amore la rete
Virus positivo: inondare di bene
Battaglia e lotta contro il cancro
In guerra e in amore tutto è permesso
Mi fermo e mi domando: qual è il mio linguaggio abituale? Come mi rivolgo a me stessa/o e alle persone? Quali parole uso più frequentemente? Provo a dirle ad alta voce e provare a immedesimarmi in chi le riceve.
Io vinco tu vinci
La nonviolenza ci educa a cercare, creativamente, soluzioni dove vincono tutte le parti, dove ognuna lascia andare qualcosa ma sente che la via scelta genera nuova vita per tutte le parti. Nessuna si sente priva di energia e potere; cosa che accade quando una parte opprime l’altra. Forse la soluzione trovata non rispecchia le precise aspettative delle parti, ma prevale un senso di soddisfazione per la vita che emerge dall’opzione scelta. Le parti non sentono un desiderio interno di rivalsa o vendetta, sentono che il loro bisogno è stato accolto seppur la modalità di soddisfarlo è diverso da ciò che ci si aspettava.
Per fare questo, è bene esercitare mansuetudine, flessibilità, soavità, leggerezza, fluidità.
«Le domande di Gesù non sono solo una rilettura del triplice rinnegamento di Pietro, sono anche un cammino per Pietro verso la scoperta di sé: nelle prime due domande Gesù usa un verbo greco (agapao) che indica un amore alto, nobile, di predilezione. Addirittura, nella prima domanda Gesù chiede a Pietro: “Mi ami più di tutti (o più di tutte queste cose)?” Ma, come se non sentisse questo sguardo positivo su di lui, Pietro risponde sempre con un altro verbo: “Ti voglio bene” (Pietro usa il verbo phileo che indica un semplice amore di amicizia). Alla terza domanda, Gesù abbandona le sue pretese e accetta di partire da dove Pietro sente di poter ricominciare: anche Gesù usa il verbo phileo (Mi vuoi bene Pietro?). È come se Gesù accettasse di partire da dove in quel momento Pietro sente di poter ricominciare»<p> Gaetano Piccolo, <i>Nascere di nuovo. Un itinerario di guarigione</i><i>,</i> Paoline, pp. 108 e 109. <p/>.
Studiare la nonviolenza: diventare artigiane e artigiani di pace
Nel mondo il diritto alla disobbedienza civile è in pericolo quasi dappertutto: cosa ci dice questo? Non solo in Italia sono state promulgate leggi per criminalizzare la protesta pacifica. Questo preoccupa. Un potere che non sappia lasciare spazio al disaccordo, prima o poi può sfociare in violenza e abuso di potere.
A settembre 2024 si è inaugurato a Roma l’Istituto Cattolico per la Nonviolenza<p> Articolo completo su Vatican News:  <p/> fondato dall’Iniziativa cattolica per la nonviolenza di Pax Christi International, movimento per la promozione della pace formato da 120 organizzazioni provenienti da ogni parte del globo. L’istituto si dedicherà alla promozione della nonviolenza come insegnamento basilare della Chiesa, lanciandosi nell’ambiziosa missione di rendere la ricerca, e le risorse da essa prodotte, più accessibili non solo ai leader della Chiesa, ma anche alle comunità e alle istituzioni globali. Nella presentazione il cardinale Robert Walter McElroy, vescovo di San Diego, afferma che la violenza è contraria al vangelo. Questa iniziativa mi sembra una naturale conseguenza del documento Fratelli Tutti.
Un’altra iniziativa importante è il dottorato per la pace, un progetto unico al mondo.
Primo nel suo genere in Italia e a livello internazionale, promuove un percorso innovativo di alta formazione e di ricerca interdisciplinare sulle tematiche del conflitto e della pace, coordinato dalla Sapienza e da altre università.
Concludo, invitandoci a vivere il giubileo come uno spazio per la speranza che si genera dalla pace, dalla nonviolenza. Mi e vi invito a fare giubileo, cioè a fermare la nostra vita perché diventi momento di riconciliazione, di perdono e di guarigione. Insomma, un anno di grazia. Anche chi non avrà modo di venire a Roma si prenda il suo tempo di giubileo.
PATRIZIA MORGANTE