Relazioni e legami
2024/12, p. 5
Due parole-chiave che emergono dal Documento fnale del Sinodo universale – attraversato dalla prospettiva e dalla proposta della conversione – sono «relazioni» – che è un modo di essere Chiesa – e «legami», nel segno dello «scambio di doni» tra le Chiese vissuto dinamicamente e, quindi, per convertire i processi.
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SINODO UNIVERSALE
Relazioni e legami
Due parole-chiave che emergono dal Documento finale del Sinodo universale – attraversato dalla prospettiva e dalla proposta della conversione – sono «relazioni» – che è un modo di essere Chiesa – e «legami», nel segno dello «scambio di doni» tra le Chiese vissuto dinamicamente e, quindi, per convertire i processi.
Il Documento finale del Sinodo sulla Sinodalità è formato da cinque parti. Alla prima – intitolata Il cuore della sinodalità – segue la seconda parte – Insieme, sulla barca di Pietro – «dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri». La terza parte – Sulla tua Parola – «identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale, processi decisionali, cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione». La quarta parte – Una pesca abbondante – «delinea il modo in cui è possibile coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa, in un tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiando profondamente». Infine, la quinta parte – Anch’io mando voi – «permette di guardare al primo passo da compiere: curare la formazione di tutti alla sinodalità missionaria».
Due parole-chiave che emergono dal testo – attraversato dalla prospettiva e dalla proposta della conversione – sono «relazioni» – che è un modo di essere Chiesa – e «legami», nel segno dello «scambio di doni» tra le Chiese vissuto dinamicamente e, quindi, per convertire i processi. Proprio le Chiese locali sono al centro nell’orizzonte missionario che è il fondamento stesso dell’esperienza di pluralità della Sinodalità, con tutte le strutture a servizio, appunto, della missione con il laicato sempre più al centro e protagonista. E, in questa prospettiva, la concretezza dell’essere radicati in «luogo» emerge con forza dal Documento finale. Particolarmente significativa anche la proposta presentata nel Documento per far sì che i Dicasteri della Santa Sede possano avviare una consultazione «prima di pubblicare documenti normativi importanti».
Evidentemente il testo va letto e acquisito nella sua interezza. Qui posso segnalare alcuni aspetti.
Ruolo delle donne e ministeri
Il primo riguarda il paragrafo 60 sul ruolo delle donne e sui ministeri. il Sinodo ha avuto qualche tribolazione in proposito, perché si è capito che era al lavoro una specifica commissione sul tema del diaconato femminile e con qualche fibrillazione in assemblea poiché si chiedevano maggiori particolari. In ogni caso il paragrafo in questione inizia riconoscendo che «In forza del Battesimo, uomini e donne godono di pari dignità nel Popolo di Dio», notando comunque che le donne continuano a trovare «ostacoli» nell’ottenere un riconoscimento pieno dei loro carismi e del loro ruolo. Si prosegue enumerando i ruoli di responsabilità delle donne nelle opere, nella ricerca teologica, nella vita ecclesiale a tutti i livelli. Per concludere che «questa Assemblea invita a dare piena attuazione a tutte le opportunità già previste dal diritto vigente relativamente al ruolo delle donne, in particolare nei luoghi dove esse restano inattuate. Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo. Anche la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta. Occorre proseguire il discernimento a riguardo. L’Assemblea invita inoltre a prestare maggiore attenzione al linguaggio e alle immagini utilizzate nella predicazione, nell’insegnamento, nella catechesi e nella redazione dei documenti ufficiali della Chiesa, dando maggiore spazio all’apporto di donne sante, teologhe e mistiche». Nel clima di trasparenza da tempo inaugurato, sappiamo il numero di voti positivi (258) e negativi (897) ottenuto da questo paragrafo nel momento della votazione finale. Sono i «no» più numerosi, ma non tanto da inficiare l’ampia maggioranza ottenuta. In qualche modo si adombra, in futuro, il possibile superamento della «riserva maschile» che finora ha impedito un accesso ai ministeri, anche ordinati. È uno sviluppo importante, anche di rottura, da seguire con attenzione.
Ruolo dei laici
Un secondo tema trattato dal Sinodo, qui da sottolineare in modo specifico, riguarda il ruolo dei laici, come esposto dal paragrafo 77 a proposito di una auspicata loro maggiore partecipazione. Il paragrafo va oltre la generica affermazione ed elenca cinque ambiti specifici in cui si potrebbe davvero fare di più. Vale la pena leggerli, considerando che qui siamo di fronte a 342 sì e soltanto 13 no. I cinque ambiti sono i seguenti: «a) una più ampia partecipazione di Laici e Laiche ai processi di discernimento ecclesiale e a tutte le fasi dei processi decisionali (elaborazione e presa delle decisioni); b) un più ampio accesso di Laici e Laiche a posizioni di responsabilità nelle Diocesi e nelle istituzioni ecclesiastiche, compresi Seminari, Istituti e Facoltà teologiche, in linea con le disposizioni già esistenti; c) un maggiore riconoscimento e un più deciso sostegno alla vita e ai carismi di Consacrate e Consacrati e il loro impiego in posizioni di responsabilità ecclesiale; d) l’aumento del numero di Laici e Laiche qualificati che svolgono il ruolo di giudice nei processi canonici; e) un effettivo riconoscimento della dignità e il rispetto dei diritti delle persone che lavorano come dipendenti della Chiesa e delle sue istituzioni».
A giudizio di chi scrive, l’ultimo punto ha un suo rilievo particolare. È la prima volta che si parla delle persone che lavorano come dipendenti nelle istituzioni ecclesiali e non è un riconoscimento scontato. Per molti anni il vocabolario ecclesiale – ad esempio in Vaticano – ha definito i laici e le laiche «collaboratori», mescolando dedizione alla causa e lavoro dipendente, una giustificazione per attenuare il riconoscimento di specifici diritti che derivano appunto dal seguire procedure di lavoro.
E qui si innesta il terzo aspetto da sottolineare, che entra in modo trasversale in diversi paragrafi, introducendo nella prassi e nelle procedure ecclesiali una «cosa» che si definisce «procedura di valutazione». È una novità di rilievo, se pensiamo che nella terminologia comune quando si invocano procedure trasparenti e valutazioni di efficacia, si risponde che «la Chiesa non è un’azienda» e si rinforza l’affermazione sottolineando che è all’opera lo Spirito Santo, capace di supplire là dove le capacità umane non arrivano. Tuttavia, in molti casi la doppia giustificazione può servire semplicemente a coprire disfunzioni che non si vogliono vedere o affrontare. C’è un gruppo di paragrafi dedicato a questo tema. Il paragrafo 79 in questo senso è suggestivo: «La pesca non ha dato frutto ed è ormai ora di rientrare a riva. Ma risuona una Voce, autorevole, che invita a fare qualcosa che i discepoli da soli non avrebbero fatto, che indica una possibilità che i loro occhi e la loro mente non riuscivano a intuire: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». Nel corso del processo sinodale, abbiamo cercato di ascoltare questa Voce e di accogliere quello che ci diceva. Nella preghiera e nel dialogo fraterno, abbiamo riconosciuto che il discernimento ecclesiale, la cura dei processi decisionali e l’impegno a rendere conto del proprio operato e a valutare l’esito delle decisioni assunte sono pratiche con le quali rispondiamo alla Parola che ci indica le vie della missione».
Da mettere in relazione con il paragrafo 80 laddove nota che «i processi decisionali hanno bisogno del discernimento ecclesiale, che richiede l’ascolto in un clima di fiducia, che trasparenza e rendiconto sostengono. La fiducia deve essere reciproca: coloro che prendono le decisioni hanno bisogno di potersi fidare e ascoltare il Popolo di Dio, che a sua volta ha bisogno di potersi fidare di chi esercita l’autorità. Questa visione integrale evidenzia che ciascuna di queste pratiche dipende dalle altre e le sostiene, a servizio della capacità della Chiesa di svolgere la propria missione. Impegnarsi in processi decisionali imperniati sul discernimento ecclesiale e assumere una cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione richiede una adeguata formazione non solo tecnica, ma capace di esplorarne i fondamenti teologici, biblici e spirituali. Tutti i Battezzati hanno bisogno di questa formazione alla testimonianza, alla missione, alla santità e al servizio, che mette in risalto la corresponsabilità. Assume forme particolari per coloro che svolgono incarichi di responsabilità o a servizio del discernimento ecclesiale».
Reciprocità dei processi di rendiconto e valutazione
Segue – ed è molto importante – il paragrafo 99 sulla reciprocità dei processi di rendiconto e valutazione: non solo dal basso verso l’altro ma anche dall’alto verso il basso. Questo sì è nuovo, soprattutto attingendo esplicitamente all’esperienza specifica della Vita Consacrata. «99. Se la Chiesa sinodale vuole essere accogliente, il rendiconto deve diventare pratica consueta a tutti i livelli. Tuttavia, chi ricopre ruoli di autorità ha una responsabilità maggiore a riguardo ed è chiamato a renderne conto a Dio e al Suo Popolo. Se nel corso dei secoli si è conservata la pratica del rendere conto ai superiori, va recuperata la dimensione del rendiconto che l’autorità è chiamata a dare alla comunità. Le istituzioni e le procedure consolidate nell’esperienza della vita consacrata (come i capitoli, le visite canoniche, ecc.), possono essere una fonte di ispirazione a questo riguardo».
A completamento, il successivo paragrafo 100 toglie linfa al ricorso allo Spirito Santo se e quando viene invocato per coprire errori e falle gestionali. Va cancellato l’equivoco che la critica quando è costruttiva, voglia giudicare la persona o la sua fede. Non è così, scrive chiaramente il Sinodo. «100. Ugualmente appaiono necessarie strutture e forme di valutazione regolare del modo in cui sono esercitate le responsabilità ministeriali di ogni genere. La valutazione non costituisce un giudizio sulle persone: essa permette piuttosto di mettere in luce gli aspetti positivi e le aree di possibile miglioramento dell’agire di chi ha responsabilità ministeriali e aiuta la Chiesa a imparare dall’esperienza, a ricalibrare i piani di azione e a rimanere attenta alla voce dello Spirito Santo, focalizzando l’attenzione sui risultati delle decisioni in rapporto alla missione».
Il documento finale naturalmente contiene molte altre suggestioni, indicazioni, spunti concreti per riflettere ed agire di conseguenza. Tuttavia, a mio giudizio, questi pochi paragrafi esaminati qui, ci forniscono anche una concretissima indicazione di cosa voglia dire Sinodalità nella Chiesa di oggi, in dialogo sempre più stretto con le esigenze, i drammi, le aspirazioni del mondo contemporaneo e delle persone che lo abitano.
FABRIZIO MASTROFINI