Il cipresso
2024/11, p. 36
«Fatti un’arca di legno di cipresso» (Genesi 6,14)
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Il cipresso
«Fatti un’arca di legno di cipresso»
(Genesi 6,14)
Ho la fama d’essere l’albero dei morti, per la mia massiccia presenza nei cimiteri. Anche la grande Poesia ha contribuito a rassodare questo accostamento. L’incipit indimenticabile de I sepolcri di Ugo Foscolo: «All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne / confortate di pianto, è forse il sonno / della morte men duro?» è sublime, ma anche deviante, perché io sono l’albero della vita e non della morte!
Io amo davvero la vita: chi può vantare di vivere duemila anni, come è concesso a me? Quanti hanno una chioma sempre verdeggiante come la mia? Quanti sanno resistere alle avversità con la mia vitalità? E nel momento più freddo dell’anno non sono forse l’ultimo albero a perdere il verde?
Quando voglio scrollarmi di dosso la fama di tristezza, di nostalgia e di lutto che mi accompagna, ritorno alla Bibbia, che mi ha coinvolto in una storia unica di ripresa della vita, anzi della sua continuità, dopo il superamento di una immane sciagura.
«Dio guardò la terra ed ecco, essa era corrotta. Allora Dio disse a Noè: “È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza. Fatti un’arca di legno di cipresso”» (Gen 6,13-14). Cadde a lungo la pioggia e «fu cancellato ogni essere che era sulla terra e rimase solo Noè e chi stava con lui nell’arca» (Gen 7,23). E così posso dire, con non poca soddisfazione, che è con il mio legno, resistente e tenace, che è stata salvata la vita sulla terra. Sotto le acque c’era un immenso cimitero, ma sopra io portavo la vita che continuava.
Ed è con il mio legno che verrà «rivestito il pavimento del tempio di Gerusalemme» (1 Re 6,15), per ricordare che in quel luogo santo è possibile incontrare un legno affidabile, grazie al quale è dato attraversare le acque infide del tempo che tutto travolge e tutto immerge nell’oblio. Questo mio legno è impermeabile e resistente, forte e profumato, proprio per il mio protendermi verso l’alto, con tutto me stesso, a partire dalla mia forma slanciata e affusolata.
Guarda anche tu verso l’alto e vinci ogni esitazione e tristezza. Guardami e slanciati anche tu, fidente come me, verso il cielo, per uscire dalla «sotterranea notte», perché «gli occhi dell’uom cercan morendo il sole», quel sole che mai cesserà di risplendere sulle sciagure umane, per lenire, sorreggere, rovesciare, rendere giustizia.
Guarda e parla di vita.
PIER GIORDANO CABRA