Scattolini Antonio
Il Cantico di Simeone ed Anna
2024/11, p. 34
Rembrandt ha saputo creare un vero capolavoro, un’opera fnale, probabilmente incompiuta, carica di un valore che travalica i signifiati originari e sa parlarci con straordinaria attualità.

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INCONTRI CON LA BELLEZZA
Il Cantico di Simeone ed Anna
Rembrandt ha saputo creare un vero capolavoro, un’opera finale, probabilmente incompiuta, carica di un valore che travalica i significati originari e sa parlarci con straordinaria attualità.
Negli ultimi anni della sua conflittuale esistenza, Rembrandt, sperimentò diverse tragedie e lutti familiari. Dopo il periodo di successo e ricchezza, la perdita degli affetti più cari e la crisi economica, gettarono il grande maestro nella solitudine e nelle ristrettezze. Solo la pittura lo mantenne vivo: dalle sue ultime opere traspare amarezza, e lo stile si fa sempre più indefinito, esattamente come era successo a Tiziano. Con questa tela, realizzata poco prima della sua morte, Rembrandt non solo, come ogni pittore, ci svela qualcosa di suo. Qui, molto di più, rappresenta se stesso e la sua fede: giunto ormai al termine della sua vita, dota il dipinto di un alto valore simbolico, come se desiderasse presentare a Dio, con nostalgia e rimpianto composto, l’esperienza della sua vita matrimoniale e genitoriale, mostrandola in termini profondamente umani ed allo stesso tempo spirituali, intimi e monumentali. Sta di fatto che qui Rembrandt ha saputo creare un vero capolavoro, un’opera finale, probabilmente incompiuta, carica di un valore che travalica i significati originari e sa parlarci con straordinaria attualità.
Ombra e luce
Rembrandt si concentra sull’adorazione e sulla preghiera di Simeone. La pennellata è sempre più indefinita e il colore è caldo: queste scelte accentuano la profondità emotiva del soggetto. Il vecchio canuto, dalla barba bianca, tiene delicatamente il piccolo Gesù senza stringerlo, ma sorreggendolo con grande riverenza, mentre si raccoglie in preghiera.
Tuttavia, accanto a lui, più discreta, ma altrettanto significativa, è la presenza della anziana profetessa Anna di cui il vangelo tratteggia un profilo spirituale: C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal Tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Questa figura femminile ha un valore evocativo importante. Non è un caso che la Chiesa nella Festa della Presentazione del Signore al Tempio, faccia memoria del dono della vita consacrata, cioè di quella esperienza ininterrotta di tanti uomini e donne che lungo i secoli hanno manifestato il desiderio di una radicale dedizione al Regno di Dio offrendosi a tutti i membri delle Chiesa come un segno, secondo le parole di Lumen Gentium 44: Poiché infatti il popolo di Dio non ha qui città permanente, ma va in cerca della futura, lo stato religioso, il quale rende più liberi i suoi seguaci dalle cure terrene, meglio anche manifesta a tutti i credenti i beni celesti già presenti in questo tempo, meglio testimonia l’esistenza di una vita nuova ed eterna, acquistata dalla redenzione di Cristo, e meglio preannunzia la futura resurrezione e la gloria del regno celeste. Parimenti, lo stato religioso imita più fedelmente e rappresenta continuamente nella Chiesa la forma di vita che il Figlio di Dio abbracciò venendo nel mondo per fare la volontà del Padre e che propose ai discepoli che lo seguivano. Infine, in modo speciale manifesta l’elevazione del regno di Dio sopra tutte le cose terrestri e le sue esigenze supreme; dimostra pure a tutti gli uomini la preminente grandezza della potenza di Cristo-Re e la infinita potenza dello Spirito Santo, mirabilmente operante nella Chiesa. Sembra quasi che Rembrandt avesse profetizzato con i suoi colori questa prospettiva conciliare! Il piccolo gruppo che raccoglie anche la figura di Anna è inserito in uno spazio ristretto, dove l’ombra e la luce giocano un ruolo essenziale, come è già stato accennato: in questa dialettica, il colore emerge dal fondo buio per dar vita allo splendore delle figure.
Testamento artistico e spirituale
Il volto di Simeone è fortemente eloquente: parla con gli occhi abbassati e con la bocca socchiusa. I suoi tratti sono realizzati con colore spesso e denso. Rembrandt era abituato a prendere a modello persone vere, suoi familiari o concittadini, come pure non disdegnava di dipingere i suoi ritratti dal vivo. Molto interessante e davvero commovente è il dettaglio del Bambino sostenuto dalle braccia di Simeone. L’artista esprime il suo desiderio di stringere Gesù tra le braccia, a portarlo abbracciato al suo petto per andare dove desidera, pieno di gioia (Origene). Ricordiamo che in quest’epoca, in ambito cattolico, la spiritualità carmelitana aveva portato in auge la devozione all’infanzia di Gesù con manifestazioni legate alla valorizzazione delle immagini di Gesù Bambino da portare in processione e da stringere tra le braccia.
Sappiamo che questa tela è l’ultima creazione conosciuta del vecchio Rembrandt e dunque costituisce il suo testamento artistico e spirituale. La sua pittura, oltre ai ritratti e alle celebri scene di gruppo (La lezione di anatomia, La ronda di notte, I Sindaci dei drappieri…) era rimasta prevalentemente incentrata su soggetti biblici: basti solo pensare che solo all’Antico Testamento sono stati dedicati 160 dipinti, circa 600 disegni e 80 acqueforti! Questo fatto non è soltanto legato alle richieste dei suoi committenti o ai gusti del tempo, ma anche alla sua fede sincera di cristiano della Riforma, coltivato nella lettura delle Scritture in lingua volgare e nella preghiera, che segnava le ore della giornata anche dei laici. Ecco perché, come riporta Pascal Bonafoux: «Rembrandt dipinge, incide e disegna scene della Bibbia che si confondono con la vita quotidiana del porto, dei canali e delle strade di Amsterdam. I personaggi della Bibbia si confondono con gli uomini e le donne con cui egli vive…». Anche in quest’ultimo quadro, dunque, ritroviamo prima di tutto lui, Rembrandt uomo, credente, artista, che si abbandona nella fede a quella luce a cui egli aveva sempre cercato di dar vita con la sua pittura. Al di là del significato cristologico del brano di Luca che ha ispirato questo capolavoro, è evidente che Rembrandt ha ritrovato in Simeone, in Anna, e soprattutto nelle parole del Nunc Dimittis un epitaffio significativo, caricato degli elementi della purificazione, della fedeltà alla legge divina, della devozione, di un’attesa di consolazione in cui l’anziano artista si rispecchiava. La tipica preghiera ebraica di ringraziamento solenne, inserita nella liturgia cristiana nella compieta, assume quindi il valore di un compimento e di un abbandono al Signore, rivelatosi in quel Bambino: ora per Rembrandt è giunto il momento di ritirarsi in pace, perché non solo egli ha veduto e creduto, ma anche perché con le sue opere ha mostrato al mondo la luce divina. È lui, con i suoi colori, che ha presentato il Bambino a tutti coloro che lo cercano … e noi lo possiamo confermare anche a distanza di secoli, conoscendo la diffusione universale della sua arte! Rembrandt, come Simeone e come l’anziana Anna, ora «riconosce di aver ricevuto la pace, cioè la pienezza e la totalità della vita, nulla manca più al buon compimento della sua esistenza… Il compimento che è giunto per lui diventa attesa di ulteriore compimento per quanti verranno dopo di lui. Per questo è straordinariamente efficace l’immagine del vecchio Simeone che prende tra le braccia il bambino: è l’incontro del passato giunto a pienezza e del futuro aperto alla novità; i due momenti non sono giustapposti, come se ci fosse un prima e un dopo semplicemente conseguenti, ma si incontrano, si raccolgono nell’oggi dell’abbraccio, dell’accoglienza, della speranza. Simeone percepisce la pienezza del compimento perché questo è il tutto della sua vita, perché questo gli basta per riconoscere e cantare la salvezza. Educato dalla sua stessa vita vissuta nella luce dello Spirito, Simeone sa che è sapienza di Dio la scelta del paradosso, dell’insignificanza, del piccolo, della contraddizione, per dire e fare verità, pienezza di senso, totalità. Ciò che conta è riconoscere il segno, prenderlo tra le braccia, cioè farlo entrare nello spazio della propria vita». (sr. Grazia Papola)
ANTONIO SCATTOLINI