LEGGERE PER NUTRIRE L’ESISTENZA
2024/11, p. 30
Lettera del Santo Padre sul ruolo della letteratura nella formazione.
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Testimoni
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LIBRI COME CURA
Leggere per nutrire l’esistenza
Lettera del Santo Padre sul ruolo della letteratura nella formazione.
Si sta come d’autunno
sugli alberi le foglie.
Giuseppe Ungaretti
Chi, almeno una volta, non ha sentito o recitato questa lirica brevissima di Ungaretti, scritta durante la Prima guerra mondiale? Il titolo è Soldati.
L’ho scelta, come apertura di questa riflessione, non tanto per il riferimento alla guerra (in questo momento è un tema particolarmente doloroso), ma per la provvisorietà, vulnerabilità e caducità che esprime. Il ruolo della poesia è proprio questo: dare voce ai movimenti sottili dell’anima; i versi sono generati nel brodo del nostro mondo interno e misterioso. Vivere senza poesia (leggerle o scriverle) può generare aridità. È come essere coscienti di essere più di ciò che vedo e non lasciarsi la possibilità di nutrirlo. Chi ha fede, vive questa dimensione del mistero che ci ricorda che siamo più di ciò che possiamo vedere e toccare. La poesia ci aiuta a tenere vigile questa dimensione. Viviamo in una società sempre più tecnologizzata che ci aiuta a svolgere compiti che prima erano impensabili; ma, l’altra faccia della tecnologia, è di farci entrare in un turbine di azioni e rumori che ci potrebbero allontanare dalla interiorità.
La poesia ci connette con la bellezza, esplicita e invisibile.
Ruolo della letteratura nella formazione
Papa Francesco, il 17 luglio, pubblica una lettera (insolita direi!) sul ruolo della letteratura nella formazione. Sarà per il momento estivo poco opportuno, ma il testo è passato piuttosto inosservato. Un po’ come le foglie sugli alberi in autunno: cadono ma il nostro sguardo è già altrove. Pensata dapprima solo per i seminari e la formazione dei futuri presbiteri, il papa la rivolge a ogni persona.
La letteratura ci ricorda il potere delle parole. Le parole sono performative perché generano le realtà, le formano. E quindi fanno cultura. Non mi riferisco alla cultura come intellettualità elitaria, ma come un insieme di codici, simboli e riti che fanno sentire, chi li condivide, un gruppo, una comunità, una tribù.
Oggi siamo sommersi di parole, di suoni che spesso sono solo rumori che disturbano il silenzio. Il mondo digitale offre uno spazio immenso dove chiunque può generare testo, mettere insieme parole, condividere opinioni. Spesso ci sentiamo sovraccarichi di parole e sentiamo un profondo bisogno di silenzio.
La letteratura è uno spazio dove recuperare parole sofferte, generate spesso con fatica. Un’opera è classica quando il suo stile e il suo contenuto possono parlare attraverso le generazioni, perché parlano all’essenza dell’umano.
«La letteratura ha così a che fare, in un modo o nell’altro, con ciò che ciascuno di noi desidera dalla vita, poiché entra in un rapporto intimo con la nostra esistenza concreta, con le sue tensioni essenziali, con i suoi desideri e i suoi significati. (6) A differenza dei media audiovisivi, dove il prodotto è più completo e il margine e il tempo per “arricchire” la narrazione o interpretarla sono solitamente ridotti, nella lettura di un libro il lettore è molto più attivo. In qualche modo riscrive l’opera, la amplifica con la sua immaginazione, crea un mondo, usa le sue capacità, la sua memoria, i suoi sogni, la sua stessa storia piena di drammi e simbolismi, e in questo modo ciò che emerge è un’opera ben diversa da quella che l’autore voleva scrivere (3)».
Si dice che chi legge un libro vive più vita oltre la sua.
Come scrive Nicola Gardini, nel suo libriccino dal titolo Il libro è quella cosa: «Ne ho molti in giro, sul tavolino di legno, su quello di vetro, sul tavolo del soggiorno. Aperti, chiusi. I libri sono fiori».
lo ne deposito in giro per la casa, con notevole disappunto di mio marito. Quando mi chiedono perché lo faccio, rispondo che mentre cammino in casa, sento il bisogno di un’ispirazione o un nutrimento, e allora apro il libro che trovo e ne leggo qualche riga.
Libri come cura
Le statistiche ci dicono che «nel 2023, aumenta lievemente la quota di lettori di libri, pari al 40,1% della popolazione di 6 anni e più (39,3%, nel 2022). Tra questi, il 43,7% legge fino a 3 libri l’anno, mentre i “lettori forti” (12 o più libri letti in un anno) sono il 15,4%. La lettura di libri è soprattutto prerogativa dei giovani (fascia d’età 11-24 anni) e delle donne».
Mi piacerebbe chiedervi: vi ricordate i libri che hanno segnato la vostra crescita e vi hanno rese le persone che siete ora? Potete citare i libri che hanno contribuito alla vostra educazione affettiva e sentimentale?
Io ricordo con chiarezza che tra questi libri significativi per me, ci sono diversi classici. Penso a Italo Svevo, Luigi Pirandello, Elsa Morante.
Si parla anche di biblioterapia o share reading, così definita «… l’utilizzo creativo e ragionato dei libri per raggiungere obiettivi grazie alla guida o l’intervento di un facilitatore». Quindi, insieme ai libri, protagonisti di questa terapia sono il gruppo e un facilitatore, cioè qualcuna/o che conduce ma non si sostituisce alle persone.
Perché un libro può aiutarci a sanare ferite o ad affrontare con più leggerezza momenti difficili? Leggere storie di altre persone ci permette di distogliere l’attenzione morbosa da noi e dal nostro mondo finito; ci permette di proiettare sui protagonisti le nostre emozioni e stati d’animo. I libri possono ispirarci e offrirci cammini creativi ai quali non avremmo pensato diversamente.
Nella nostra società molto performativa, ritagliarsi tempi e spazi per leggere ciò che amiamo è fondamentale. Ci permette di uscire dall’ossessione del fare e dell’attivismo. Ci permette di «perdere» tempo in un’attività non lucrativa, oziosa (cioè che non è finalizzata a un negozio); il cui unico scopo è darci piacere, farci sentire bene, leggeri. I bambini hanno il gioco per vivere questo spazio spensierato dove raggiungono quel flusso che li fa sentire completamente dentro il momento presente.
Noi adulti, se non ci educhiamo, perdiamo questo spazio libero, dove l’unico obiettivo è vivere ciò che sto facendo, ed entrarci completamente.
«Come possiamo raggiungere il centro delle antiche e nuove culture se ignoriamo, scartiamo e/o mettiamo a tacere i loro simboli, i messaggi, le creazioni e le narrazioni con cui hanno catturato e voluto svelare ed evocare le loro imprese e gli ideali più belli, così come le loro violenze, paure e passioni più profonde? Come possiamo parlare al cuore degli uomini se ignoriamo, releghiamo o non valorizziamo “quelle parole” con cui hanno voluto manifestare e, perché no, rivelare il dramma del loro vivere e del loro sentire attraverso romanzi e poesie?». (9)
Si considera la letteratura una forma di intrattenimento e non una fonte di formazione. Con un romanzo riusciamo a intercettare delle parti profonde di noi alle quali concediamo di prendere vita senza il controllo sabotatore della razionalità.
Letteratura e formazione
Non ho tempo di leggere! Ho sentito questa frase così tante volte anche tra le comunità religiose e mi colpisce molto. Leggere ci connette con la realtà, con i desideri e i linguaggi della contemporaneità, della storia che siamo chiamate a vivere.
Mi domando, dove prendono nutrimento le persone che non si ritagliano spazi per leggere? Sicuramente dalla preghiera. Ma, a mio modesto parere, non è sufficiente. Chi, nelle congregazioni, ha una responsabilità formativa può stimolare le generazioni digitali a godere anche dell’odore di un libro di carta, di poter scrivere note a matita o di sottolineare ciò che vogliamo ricordare. Non è bene mettere in competizione e-book e libri cartacei: possiamo integrare entrambi nella nostra vita, consapevoli che sono esperienze diverse, ma non per questo incompatibili.
Leggere un libro è un’esperienza personale e comunitaria allo stesso tempo. Non vi è mai capitato di sentirvi escluse quando delle persone parlano di un libro o di una serie tv che non avete letto o visto? A me sì.
Formarsi e formare attraverso i libri, spazi di parole di altre e altri, autrici e autori che, generosamente o per necessità, mettono su carta i loro pensieri e intuizioni. La scrittura, alcune volte, è una necessità. È come se non bastasse lo spazio dentro di noi per contenere ciò che si sente e si genera e allora scriviamo. Scrivere significa poterlo far emergere, dare vita e metterlo in circolo perché lettrici e lettori ne diventino, in qualche modo, co-creatrici e co-creatori.
«Spesso nella noia delle vacanze, nel caldo e nella solitudine di alcuni quartieri deserti, trovare un buon libro da leggere diventa un’oasi che ci allontana da altre scelte che non ci fanno bene. Poi non mancano i momenti di stanchezza, di rabbia, di delusione, di fallimento, e quando neanche nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell’anima, un buon libro ci aiuta almeno a passare la tempesta, finché possiamo avere un po’ più di serenità. E forse quella lettura ci apre nuovi spazi interiori che ci aiutano ad evitare una chiusura in quelle poche idee ossessive che ci intrappolano in maniera inesorabile. Prima della onnipresenza dei media, dei social, dei cellulari e di altri dispositivi, questa era un’esperienza frequente, e quanti l’hanno sperimentata sanno bene di cosa sto parlando. Non si tratta di qualcosa di superato». (2)
Papa Francesco manifesta una certa sensibilità classica con questa lettera (è stato insegnante di lettere a Santa Fé in Argentina). Ricordo anche la lettera Splendore della Luce eterna in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri.
Concludo questa mia riflessione con le parole di Nicola Gardini: «Che cosa ci fanno, infine, tutti quei libri sugli scaffali? Ci danno fiducia».
PATRIZIA MORGANTE