Credo nell’Onnipotente nel dono
2024/11, p. 4
Il racconto biblico della creazione non situa l’atto creativo a livello di «capacità di potenza», ma chiaramente a livello di «capacità di dono».
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SPECIALE GIUBILEO
Credo nell’Onnipotente nel dono
Il racconto biblico della creazione non situa l’atto creativo a livello di "capacità di potenza", ma chiaramente a livello di "capacità di dono".
Alla luce della nostra sensibilità più diffusa, l’articolo del credo che afferma la paternità e l’onnipotenza di Dio deve essere meglio approfondito sotto vari aspetti. Infatti, una comprensione verticale e patriarcale dell’atto di fede ha inevitabilmente conseguenze di profonda portata per la comprensione dell’essere umano e dell’esperienza credente: se il modello è quello di un dominio maschile sulle forze avverse, non sarà difficile creare una scala di valori nel quale il femminile e il debole vengono messi ai margini di ogni considerazione, togliendo loro qualsiasi voce in capitolo.
Maternità di Dio
La teologia da tempo ha riscoperto altri volti biblici della figura di Dio e ha sottolineato come di fatto la paternità universale di Dio non significhi e non possa significare la sua caratterizzazione di genere. Ad un livello biologico, questo dovrebbe risultare chiaro: l’aggettivizzazione di Dio al maschile non significa che lo si deve considerare un maschio in senso biologico. In realtà, qui ci troviamo – almeno per quanto riguarda la lingua italiana – di fronte ad un difetto linguistico; non c’è infatti un genere per indicare Dio e questa mancanza agisce provocando un paradosso: invece di prendere la realtà divina a modello di quella umana, si applica alla prima il sistema di relazioni e di potere presente nella società dove si vive. In questo modo, si perpetua e si sacralizza il potere del più forte e del maschio sul resto della realtà.
Nella Bibbia, invece, troviamo a vari livelli anche una caratterizzazione femminile, o anche semplicemente “non alfa”, di Dio. Gli esempi possono essere vari. Vi sono episodi nei quali si narra che Dio cambia idea e cambia la propria posizione relativamente a chi gli sta di fronte: prima del diluvio universale si pente di aver creato l’essere umano e dopo il diluvio si pente di avere ordinato una tale strage (cf. Gen 6,6-7 e Gen 8,21), di fronte alla preghiera di Mosè e alla richiesta di perdono si pente di aver pensato di utilizzare la violenza per risolvere i problemi (cf. Es 32,14; Gio 3,10, Ger 18,8), di fronte al suo popolo si lascia commuovere fino alle viscere e piange se non riesce ad essere compreso (cf. Sal 103,13; Is 49,15), ha bisogno del suo lato femminile per poter creare nella bellezza (cf. Pv 8,22-31). Per quanto riguarda l’esperienza neotestamentaria, in realtà in Gesù di Nazaret si rivela un volto che accentua questo lato di Dio e che ne interpreta chiaramente la paternità più nel senso di una relazione di crescita che in una relazione di potere (si veda anche solo la parabola del padre misericordioso in Lc 15,1-32). Non andiamo oltre per non prendere molto spazio, ma su questo le teologhe del Novecento e quelle contemporanee ci stanno molto aiutando.
Onnipotenza e creazione
Vi è un altro aspetto che invece preme sottolineare per una migliore comprensione del primo articolo del credo. Ovviamente, l’atto creativo di Dio viene spesso pensato e presentato come un atto di potenza, anzi di onnipotenza, intendendo con questa parola che qualcuno ha voluto creare – non si sa perché – un regno sul quale esprimere il proprio dominio, proprio per volontà di potenza assoluta, evidentemente perché non soddisfatto del potere sino ad allora usato. Ancora una volta, si ribalta su Dio la costituzione della socialità umana. Il racconto biblico, invece, non situa affatto l’atto creativo a livello di ‘capacità di potenza’, ma chiaramente a livello di ‘capacità di dono’. Ne troviamo evidenza sia nell’interpretazione giudaica per la quale la creazione più che un prendersi spazi è un dare spazio a qualcuno, un permettere a qualcuno di stare di fronte (mi riferisco evidentemente alla dottrina cabalistica dello zimzum) sia in una lettura del testo che non lo carichi delle nostre attese; per esempio, se è vero che il primo racconto di creazione di fatto corrisponde alla descrizione di un ‘ordinamento’ del caos primordiale, la prima terminologia con la quale lo si esprime non è quella del ‘dominio’, ma è quella del ‘governo’: «E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre» (Gen 1,16-18a). Di fatto, si tratta di un’attribuzione di forza ad altri, non di una presa di potere per sé.
Tanto è vero che il concetto di onnipotenza, potrebbe più correttamente essere sostituito con quello di onnipotenzialità. Dio, infatti, è creatore perché permette a tutto di avere la propria potenzialità di esistenza e di vita. E propriamente questo corrisponde anche ad una efficace comprensione del concetto di grazia, che è appunto possibilità infinita, possibilità sempre aperta di futuro, perché viene dal futuro. Non per niente, per descriverlo ancora la Bibbia ha osato immaginare una nuova creazione (cf. Mi 4,1-4; Is 2,2-4; Is 65,17-22). Proprio in questa nuova creazione troverà fine il dominio come lo pensiamo nella società umana e sarà chiaro invece il dominio di Dio, il regno di Dio.
Fede e scienza
Dopo queste considerazioni mi pare evidente che vengano ad essere risolte molte delle questioni che sono sorte nei secoli relativamente alla comprensione biblica e alla comprensione scientifica dell’inizio del mondo e delle leggi fisiche dell’universo. Esse si trovano a due livelli complementari del discorso umano, nel senso che uno non sussiste senza l’altro e che ciascuno ha un proprio ordine di competenza.
A questo riguardo sono due le istanze solitamente messe in campo, nella consapevolezza che si tratta sempre di rispondere alla domanda sul «perché» esiste il mondo, cioè di cercarne le cause. Relativamente alla prima istanza, che è possibile far risalire già alle riflessioni di Galileo Galilei, la spiegazione scientifica dell’inizio del mondo è relativa alla ricerca delle leggi fisiche attraverso le quali le forze elementari interagiscono tra loro, mentre la spiegazione di fede è relativa alla ricerca del senso esistenziale di trovarsi in un mondo regolato da tali leggi. La seconda istanza sottolinea l’autonomia del creato, autonomia che è determinata dalla volontà di Dio di rendere tale l’universo; per tale autonomia, la ricerca scientifica ha non solo ampia libertà di procedere per ipotesi ed esperimenti, ma ha anche il dovere di non fermarsi mai di fronte a prese di posizione ideologiche.
Al contrario, la ricerca scientifica e le sue applicazioni tecniche e tecnologiche hanno necessità di lasciarsi questionare dalla visione di fede e, più in generale dalla questione religiosa. Nel loro apparato metodologico si trova sempre il pericolo di forzare la natura oltre i suoi limiti e di toccarne le corse più pericolose. Si prenda unicamente ad esempio la scoperta della possibilità di manipolare la forza nucleare o, più recentemente, le possibilità e i pericoli dell’intelligenza artificiale o, con più virulenza, le questioni legate al riscaldamento globale. Papa Francesco ha parlato in questo senso di «ecologia integrale» come mappa di lavoro che concili le varie istanze (cf. Laudato si’).
Le relazioni ecclesiali
Un’ultima serie di considerazioni riguarda quanto tutto questo si rifletta sulle relazioni, specialmente quelle dentro la società ecclesiale. La sacralizzazione del maschile, infatti, e la verticalizzazione del potere “in nome del padre” diventa la base ideale per comportamenti, aspettative e strutture di dipendenza che si sono resi estremamente visibili nella dolorosa questione degli abusi, sessuali, economici o spirituali che siano, compiuti da persone di genere maschile e di genere femminile, perché si tratta purtroppo di un ambiente vitale per il cammino di ciascun discepolo e ciascuna discepola di Gesù e l’aria che si respira viene respirata da tutti e da tutte. In tale prospettiva diventa molto difficile attuare una reale sinodalità diffusa e si tende a realizzare un concetto di obbedienza che poco ha a che fare con l’abbandono evangelico alla fonte della vita perché molto ha a che fare con il potere diabolico di autorità troppo umane per porsi come mediazione del divino.
Come sempre, l’atto di fede che il simbolo richiede ha bisogno di conversione, in questo caso più che mai necessaria. Come cercheremo di vedere anche nelle riflessioni critiche sul secondo articolo di fede, si tratta invece di costruire relazioni basate sulla dinamica del dono, più che su una catena di comando. La capacità del dono di essere possibilità di vita diventa infatti in Gesù di Nazareth racconto di una storia concreta e tragica, ma al contempo fonte di liberazione.
GIANLUCA MONTALDI