UNA SOLITUDINE ABITATA
2024/10, p. 36
La solitudine dell’eremo è una «solitudine in compagnia» e non un isolamento malato di ego. Dopo 15 anni di esperienza, un eremita che preferisce rimanere anonimo ci testimonia come questa scelta di vita è maturata dopo un lungo percorso di ricerca, guidata e sostenuta dall’amicizia con Gesù.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
TESTIMONIANZA DI VITA EREMITICA
Una solitudine abitata
La solitudine dell’eremo è una «solitudine in compagnia» e non un isolamento malato di ego. Dopo 15 anni di esperienza, un eremita che preferisce rimanere anonimo ci testimonia come questa scelta di vita è maturata dopo un lungo percorso di ricerca, guidata e sostenuta dall’amicizia con Gesù.
So con certezza che Dio attraversa la vita di ogni uomo, seminando in tutti noi la nostalgia di Lui. Per questo motivo ho accettato di dare la mia semplice testimonianza del «perché» di questa scelta indirizzata non direttamente all’attività pastorale, bensì alla preghiera solitaria, al silenzio e al lavoro manuale. Ho la speranza che, se Egli lo vorrà, queste mie parole possano servire a rendere esplicite le domande e i desideri che, spesso silenziosamente, abitano nel cuore di tanti sacerdoti, religiosi e religiose e laici, e lo rendono inquieto finché non trovano in Dio Padre l’unica vera risposta. Non di rado mi capita di incontrare amici che mi chiedono: «Ma cosa fai qui in eremo tutto solo?». E io: «Ma io non sono mai solo!». E ora vorrei con semplicità rendere esplicita questa mia affermazione, togliendo di mezzo tutti i possibili dubbi in merito.
L’amicizia con Gesù
La vita in eremo è semplicemente la vita di ogni persona che cerca il volto del Padre, la Sua Volontà ed il Suo Amore, vivendo una vita scandita dal ritmo monastico: preghiera, lavoro e rari ma intensi momenti d’incontro fraterno. Niente di eccezionale, bensì una scelta che richiede di accogliere alcune dimensioni proprie e innegabili della vita stessa: la solitudine, il silenzio, ma soprattutto la preghiera e l’ascolto disponibile dei fratelli. Tutti questi mezzi ascetici, che oggi sicuramente non sono di moda, risultano essenziali perché la vita si trasformi in ponte di comunione coi fratelli e le sorelle. Questa mia scelta è nata e maturata dopo un lungo percorso di ricerca, fatta anche di ripensamenti, ma guidata e sostenuta sempre dall’amicizia con Gesù. Ormai sono passati più di 15 anni da quando mi sono messo alla ricerca di una dimensione umana e spirituale che potesse appagarmi e allo stesso tempo rispondere a quella chiamata interiore che sentivo forte in me. Ho fatto alcune esperienze monastiche, ma dopo breve non ero appagato: qualcosa mi mancava. Alcune letture mi hanno indirizzato e dato coraggio a intraprendere questo cammino eremitico: il libro I cercatori di Dio di Francesco Antonioli, che riporta testimonianze di uomini e donne che vivono la vita eremitica, nelle quali mi rivedevo e sentivo sempre più che era quella la mia vita che desideravo condurre. È stata una scoperta meravigliosa e inaspettata. Poco tempo dopo l’incontro con un sacerdote eremita che è diventato a breve il mio padre spirituale e con il quale ho steso la mia Piccola Regola di Vita, dove vi sono indicati gli aspetti fondamentali della vita in eremo.
Soli in compagnia
Il cuore della giornata che si conduce in eremo è questo stare alla «Sua presenza»: la solitudine dell’eremo non è la stessa solitudine che il mondo conosce e combatte con tanti strumenti spesso effimeri e deleteri che risultano essere più dei riempitivi, e che alla lunga svuotano di senso il vivere stesso. La solitudine dell’eremo è una «dolce compagna» che ti dona serenità, capacità di guardare e scorgere la luce «Taborica» in ogni cosa: nella natura, nel ritmo delle stagioni, nel canto degli uccellini, nella fatica e nel sudore del lavoro che si conduce, perché l’essere «custodi» del luogo che si è ricevuto in dono richiede sforzo e costanza, impegno e anche qualche sana rinuncia. Il silenzio e la solitudine sono mezzi e non il fine di questa vita: è facile cadere in qualche forma «patologica» ed è per questo indispensabile che il cammino eremitico venga fatto sempre con un accompagnamento spirituale serio… sono mezzi che ci aiutano ad avvicinarci al fine di questa vita che è la comunione con Dio, con noi stessi e con i fratelli. A questo riguardo il grande comandamento che Gesù stesso ci ha lasciato: «Ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo tuo come te stesso» ne attesta la veridicità. La solitudine dell’eremo è quindi una «solitudine in compagnia» e non un isolamento malato di ego… la distanza tra queste due solitudini è breve e il rischio può essere alto, ma ciò che mi dona fiducia e vince ogni mio possibile scoraggiamento è proprio il fatto di sperimentare ogni giorno la grazia di Dio, cioè la sua mano provvidente che non mi lascia mai solo e mi afferra nei momenti più difficili e quando vengono meno le mie forze! A chi desidera e sente dentro al cuore questo anelito alla vita eremitica suggerisco tanta prudenza e un lungo cammino di prova… la fretta è sempre una cattiva consigliera. Concludo con una frase di Giacomo Leopardi sul tema della solitudine che può chiarire la grandezza e allo stesso tempo il rischio che si corre nell’entrare realmente nella dimensione della solitudine: «La solitudine è come una lente d’ingrandimento, se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo». A questo pensiero, che confermo per esperienza personale, aggiungerei però una nota: sia nel nostro stare bene o male, la solitudine evidenzia ai nostri sensi ciò che siamo veramente, sia in positivo come in negativo, e anche la Sua Presenza – Assenza diviene più evidente! La solitudine quindi possiamo dire che è un ottimo rimedio per la «miopia spirituale».
UN EREMITA