GLI UNDICI MARTIRI DI DAMASCO
2024/10, p. 20
La canonizzazione dei martiri di Damasco era un dono molto atteso dai cristiani del Medio Oriente. La loro storia riassume infatti molte delle loro soferenze. Appartenenti alle diverse tradizioni cristiane, queste figre sono semi di unità perché esprimono un «ecumenismo del sangue».
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SANTITÀ IN SIRIA
Gli undici martiri di Damasco
La canonizzazione dei martiri di Damasco era un dono molto atteso dai cristiani del Medio Oriente. La loro storia riassume infatti molte delle loro sofferenze. Appartenenti alle diverse tradizioni cristiane, queste figure sono semi di unità perché esprimono un «ecumenismo del sangue».
Nell’immagine ufficiale realizzata dall’illustratore italiano Andrea Pucci in vista della canonizzazione degli undici martiri di Damasco (Siria) che avverrà in Vaticano il 20 ottobre 2024, gli undici santi sono disposti su due file con ciascun nome. Da sinistra a destra compaiono Mooti Massabki, Nicanor Ascanio, Juan Jacob Fernandez, Francisco Pinazo, Engelbert Kolland, Francis Massabki, Raphael Massabki, Manuel Ruiz, Carmelo Bolta, Pedro Soler. Insieme agli otto frati minori della Custodia di Terra Santa sono ritratti anche i tre laici maroniti compagni di martirio, che vivevano un rapporto di stretta collaborazione con i religiosi. P. Manuel Ruiz, superiore del convento, con la stola rossa sulle spalle, ha tra le mani la pisside con le specie eucaristiche. Dagli atti del martirio si apprende infatti che la sera del 9 luglio 1860, nel momento del maggior pericolo, tutti si radunarono in chiesa per pregare, confessarsi e ricevere la comunione. Nell’immagine, due dei santi recano in mano la croce della Custodia di Terra Santa e lo stemma del Patriarcato maronita.
Il contesto storico
La Palestina nel 637 d.C. cade in potere dei musulmani e vi rimane, tranne l’intervallo dei Crociati (1099-1187), fino al 1918, quando passa sotto l’Inghilterra come potenza mandataria. I custodi dei luoghi santi sono gli eredi di San Francesco, che nel 1219 aveva predicato il Vangelo al sultano d’Egitto. Nelle varie epoche storiche i papi confermano ai francescani le facoltà per il governo delle nascenti comunità cattoliche. Nel corso dei secoli essi subiscono massacri, violenze ed espulsioni. In particolare, a Damasco in Siria nel luglio del 1860 divampa una sanguinosa persecuzione da parte dei Drusi musulmani, sostenuti dalle autorità turche. Alcuni anni prima (1853-1855) era scoppiata una guerra in Crimea contro la Russia, che voleva il dominio esclusivo sui luoghi santi e lo smembramento dell’impero ottomano. Il conflitto cesserà con il Trattato di Parigi (1856), in cui il sultano è costretto a riconoscere la libertà di culto per ogni comunità religiosa: per i musulmani questo è un vero e proprio oltraggio al Corano. Per scatenare l’ira di questi nemici dei cristiani basta un incidente tra due ragazzi, uno druso e l’altro maronita. I villaggi cristiani sono invasi e bruciati; giovani, donne e anziani sono massacrati.
L’evento martiriale
Anche a Damasco, i Drusi si scagliano contro i cattolici assistiti da diverse famiglie religiose. La vigilia del 9 luglio 1860 dalle moschee provengono parole incendiarie, mentre gruppi di Drusi e di musulmani percorrono le vie del quartiere cristiano Bab-Touma. L’emiro delle città cerca di mettere in salvo il più grande numero possibile di cattolici con i gesuiti, i lazzaristi, le Figlie della Carità e gli alunni delle scuole. I francescani invece rimangono nel convento ritenuto sicuro, ma sono traditi forse da un loro domestico, che indica agli assalitori una porticina per entrare nell’edificio. Il primo a cadere vittima dell’odio degli insorti è il superiore spagnolo p. Emmanuele Ruiz. Egli aveva già scritto al Procuratore di Terra Santa: «Noi ci troviamo in grave pericolo. La nostra fede è minacciata dai drusi e dal pascià, che somministra loro i mezzi necessari per dare la morte a tutti i cristiani senza distinzione, siano essi europei od orientali […] ma, innanzi tutto, si compia la volontà di Dio!». Quando gli aggressori gli chiedono di rinunziare alla fede cristiana e di abbracciare l’islam, egli oppone un deciso rifiuto dichiarando di voler morire da cristiano: appoggia la testa sull’altare e consegna il suo corpo. Sul pavimento rimane insanguinato il piccolo messale arabo di cui si serviva per la traduzione dei brani evangelici. I corpi degli undici martiri sono collocati in un sotterraneo del convento e, dopo un anno dal martirio, in una tomba aperta nel pavimento della chiesa. Le loro reliquie oggi sono venerate in Damasco nella chiesa dedicata a S. Paolo e officiata dai francescani.
Un esempio della comunione tra i diversi riti
I frati francescani (sette spagnoli e un austriaco) vivevano nel quartiere cristiano di Damasco, dove dividevano il pane con i poveri in un tempo molto difficile. Il Custode di Terra Santa, p. Francesco Patton, ha accolto con gioia la notizia: «I martiri di Damasco sono una bella immagine di Chiesa che ha saputo vivere la testimonianza missionaria fino al dono della vita». Ha anche auspicato che i nuovi santi siano «un segno di speranza per tutta la Chiesa in Siria, in particolare per la nostra presenza francescana. Che questi martiri siano di esempio per tutti noi, frati della Custodia, a non risparmiarci mai nella nostra missione��. Fra Patton ha poi messo in particolare evidenza la presenza congiunta, nel gruppo dei martiri, di frati minori e di fedeli laici maroniti: «Sia un esempio di come bisogna collaborare tra i diversi riti all’interno della Chiesa cattolica e tra le diverse Chiese, per far conoscere Gesù Cristo e custodire la presenza cristiana in Siria, piccola ma estremamente significativa e importante». Dal canto suo p. Firas Lufti, guardiano del convento francescano del quartiere Bab-Touma, luogo del massacro, ha espresso commozione e speranza: «Questa notizia arriva in un momento in cui tutto il Medio Oriente, compresa la Siria, vive momenti di dramma e di conflitto, di guerre e di crisi. La santità è la speranza di un mondo nuovo. Malgrado gli orrori del peccato che l’uomo è capace di scrivere, la storia la scrive Dio, che è il Signore della storia, insieme ai suoi santi».
L’ecumenismo del sangue
La storia di queste vittime diventa una grande testimonianza dell’ecumenismo dei martiri vissuto insieme nella storia da tante comunità cristiane del Medio Oriente, che pur divise per ragioni storiche da riti diversi si sono ritrovate anche in tempi recenti a testimoniare insieme fino al dono della vita la stessa fede in Cristo Gesù. La loro canonizzazione sarà dunque molto significativa anche alla luce del Giubileo del 2025, nella cui bolla di indizione Spes non confundit papa Francesco scrive: «Abbiamo bisogno di custodire la testimonianza dei martiri per rendere feconda la nostra speranza. Questi martiri, appartenenti alle diverse tradizioni cristiane, sono anche semi di unità perché esprimono l’ecumenismo del sangue». La vicenda dei nostri undici uomini spinge con più slancio a confidare in Dio che pone nei cuori dei cristiani semi di amore e di unità, per affrontare le sfide ecumeniche di oggi. Il pontefice ha indicato l’origine dell’espressione «ecumenismo del sangue» in occasione del 50º anniversario del decreto conciliare Unitatis redintegratio (20/11/2014), un testo nel quale spicca proprio l’invito a valorizzarla «riconoscendo, nei fratelli e nelle sorelle di altre Chiese e Comunità cristiane, la capacità – donata da Dio – di dare testimonianza a Cristo fino al sacrificio della vita (cf. n. 4)». Queste testimonianze continuano anche ai nostri giorni: «Sta a noi accoglierle con fede e lasciare che la loro forza ci spinga a convertirci a una fraternità sempre più piena. Coloro che perseguitano Cristo nei suoi fedeli non fanno differenze di confessioni: li perseguitano semplicemente perché sono cristiani […] Sono convinto di questo: in un cammino comune, con la guida dello Spirito Santo e imparando gli uni dagli altri possiamo crescere nella comunione che già ci unisce».
MARIO CHIARO