Chiaro Mario
C'è ancora domani
2024/1, p. 38
Una sala piena di persone attente ed emotivamente coinvolte davanti a un film in bianco e nero. Mentre scorrono i titoli di coda scatta un convinto e prolungato applauso.

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RECENSIONE FILM
C’è ancora domani
Una sala piena di persone attente ed emotivamente coinvolte davanti a un film in bianco e nero. Mentre scorrono i titoli di coda scatta un convinto e prolungato applauso.
Ho assistito a questa proiezione spinto da mia moglie: ne usciamo pieni di gratitudine per aver portato alla luce le nostre storie di famiglia, ma anche per comprendere meglio quali sono le radici del maschile che continua anche oggi a usare violenza sul femminile. “C’è ancora domani” è diretto e interpretato da Paola Cortellesi, al suo esordio come regista, presentato alla 18ª edizione della Festa del Cinema di Roma in concorso nella categoria “Progressive Cinema - Visioni per il mondo di domani”. La Cortellesi ha spiegato la scelta di ambientare il film nella città: «La storia del film è inventata, ma c’è moltissimo dei racconti della mia famiglia. Sono per metà romana e per metà abruzzese. Mia madre venne a Roma a sei anni, ha trascorso qui la sua primissima infanzia. Ma molte delle storie da cui ho tratto ispirazione sono di mia nonna. È anche il motivo per cui ho immaginato l’opera in bianco e nero. Quando ti tornano in mente le immagini del passato a Roma non sono mai a colori. I cortili romani in cui tutto veniva messo in piazza. Si viveva insieme, non c’era discrezione, però era bello. La Roma di “C’è ancora domani” è molto lontana dalla Roma di oggi [...] abbiamo messo in scena un’incomunicabilità totale, che rappresenta la differenza di ceto sociale a Roma, come nel resto di Italia. Roma è tante cose. C’è la Roma del centro, la Roma dei quartieri bene, poi c’è la Roma popolare, quella delle periferie, delle borgate».
La commedia drammatica
Maggio 1946. Roma affronta la povertà lasciata dalla Seconda guerra mondiale, i reparti militari degli Alleati in giro per le strade e la voglia di cambiamento accesa dal referendum e dall’elezione dell’Assemblea Costituente del 2 e 3 giugno. Delia (Paola Cortellesi) è la moglie di Ivano (Valerio Mastandrea) ed è madre di tre figli. Moglie e madre sono i ruoli che la definiscono. Ogni giorno mette in ordine il suo seminterrato del quartiere Testaccio a Roma, aggiusta ombrelli, fa le punture nelle case degli altri, rammenda, lava i panni dei signori, riceve lo schiaffo che il marito le dona come “cura” giornaliera. Ivano è capo e padrone della famiglia, lavora per portare i pochi soldi a casa e li usa malamente. Ha rispetto solo per suo padre, il sor Ottorino (ex predatore di tombe), vecchio rancoroso e dispotico di cui Delia è di fatto la badante. La donna trova un po’ di sollievo nell’amicizia con Marisa, spiritosa e ottimista, e in Nino, un meccanico con cui in passato ha avuto una relazione. Un giorno, Delia restituisce una foto di famiglia al soldato afroamericano William, il quale si offre di aiutarla notando su di lei i segni delle violenze domestiche. Nel frattempo la donna riceve anche una lettera che decide di custodire. La primogenita Marcella si fidanza con Giulio, di famiglia benestante grazie ai proventi del loro bar. Dopo un imbarazzante pranzo coi futuri consuoceri, Giulio propone a Marcella di sposarlo. Assistendo per caso a un dialogo in cui Giulio minaccia Marcella, Delia intuisce che il promesso sposo riserverà a sua figlia il suo stesso destino e chiede aiuto al soldato William per distruggere il locale del futuro genero, costringendo i suoi genitori a lasciare la città. A questo punto il racconto fa intendere che Delia sia decisa a scappare di casa accettando l’invito del suo ex fidanzato di fuggire insieme il 2 giugno. Prepara tutto: camicia nuova, soldi e una borsa. Ma in quello stesso giorno il suocero muore improvvisamente e la donna rimane bloccata in casa. Ciononostante, il giorno dopo, Delia lascia i soldi risparmiati alla figlia e si avvia per compiere ciò che ha programmato.
La trama simbolica
Il film è un racconto della e per la gente comune: richiama il filone cinematografico del Dopoguerra denominato ‘neo-realismo’. La sua visione richiede però lo sforzo di collegare i fili di una matassa intrisa di violenza ma anche di speranza. La tensione sembra essere quella di allargare la vicenda di Delia verso una dimensione non più solo individuale, ma collettiva e sociale. Anche per questo motivo la sceneggiatura cerca di trovare un equilibrio tra una chiave realistica e una più simbolica. Richiamo qui alcuni segnali e metafore che contribuiscono a leggere dietro le righe della narrazione: il triste ballo dei due coniugi, l’esplosione del negozio dei futuri consuoceri, il verdetto su Delia che ricade su Ivano, la morte del patriarca, il rossetto sulle labbra nel finale a sorpresa. La scena del ballo tra il marito violento e la moglie risponde a una precisa scelta della Cortellesi: “Ho pensato che la violenza è stata raccontata in modo realistico in tantissimi film. Non volevo farlo in maniera così voyeuristica (da cinici guardoni). Ho pensato che fosse più violento raccontarlo con qualcosa di metaforico come una danza”. La richiesta di Delia al militare di far esplodere il bar dei benestanti in qualche modo svela il volto della borghesia nascente, un ceto che dietro una bella facciata ipocrita nasconde la medesima prevaricazione e violenza di chi arranca nella vita. In un dialogo serrato col figlio ai piedi del letto, il vecchio malato mette il sigillo sulla mentalità maschilista trasmessa per educazione paterna; il problema è che la moglie Delia non rimane passiva e non sta zitta: “risponne” (risponde), “c’ha er difetto che risponne”! Per contrasto, proprio accanto alle spoglie del padre di Ivano, proprio Delia pronuncia la frase liberatoria che diventa il titolo del film: “C’è ancora domani”.
Le storie fanno la Storia
Il film racconta il percorso di crescita della protagonista, in un contesto comune a tante donne dell’epoca: una storia di coraggio, di emancipazione e di ricerca della libertà. È una fotografa dell’Italia di ottant’anni fa, che mostra punti di contatto con la situazione odierna. “Delia non vale niente, così le hanno insegnato - dice la Cortellesi - ma una lettera con sopra il suo nome e l’amore per sua figlia le accendono il coraggio per cambiare le cose. Ho tentato di immaginare cosa abbiano provato quelle donne, quelle reali, nel ricevere una lettera in cui qualcuno - tanto più importante dei loro aguzzini domestici - certificava il loro diritto di contare. Con C’è ancora domani ho voluto raccontare le imprese straordinarie delle tante donne qualunque che hanno costruito, ignare, il nostro paese”. Recensendo il film della Cortellesi, Federica D’Alessio (su Micromega 10/11/2023) arriva a ragionare sull’oggi delle donne: «per immaginare e sperimentare una vita diversa per le donne e gli uomini è necessario un senso di sé umano a tutto tondo, un’autocoscienza, individuale e collettiva, capace di radicare il cambiamento nella vita intima. La storia, dopo Delia, è andata avanti. La violenza maschile contro le donne non si è fermata, la malapianta della misoginia non è stata estirpata. Il potere patriarcale è stato contenuto a livello istituzionale, ma non c’è stata ancora una invenzione delle donne tale da riuscire ad affermare un potere antropologicamente diverso, una cultura altra di quel delicato terreno delle relazioni intime fra i sessi e con i bambini. La famiglia si è rivelata un’istituzione molto più perniciosa dello Stato, perché chiama in causa un sentimento di appartenenza, fedeltà e devozione non patriotticamente astratto ma umanamente concreto […] La rivoluzione delle donne non è ancora completa perché non abbiamo ancora capito come rovesciare questa appartenenza, come sottrarla alla linea patriarcale e come dissociarla dall’obbligo di fedeltà al clan/famiglia». Questa consapevolezza è presente anche nel magistero di papa Francesco che di recente è arrivato a fare queste dure affermazioni: «la violenza sulle donne è una velenosa gramigna che affligge la nostra società e che va eliminata dalle radici. E queste radici sono culturali e mentali, crescono nel terreno del pregiudizio, del possesso, dell’ingiustizia. In troppi luoghi e troppe situazioni le donne sono messe in secondo piano, sono considerate “inferiori”, come oggetti: e se una persona è ridotta a una cosa, allora non ne se ne vede più la dignità, la si considera solo una proprietà di cui si può disporre in tutto, fino addirittura a sopprimerla […] Dal cuore e dalla carne di una donna è venuta al mondo la salvezza; da come trattiamo la donna, in tutte le sue dimensioni, si rivela il nostro grado di umanità» (Messaggio per la campagna nazionale contro la violenza sulle donne, 27 ottobre 2023).
MARIO CHIARO