Andrea e fratelli Monaci di Dumenza
Guerra a pezzi e pace a pezzi
2024/1, p. 22
La prospettiva dell’occhio per occhio non farà che rendere ciechi tutti i partecipanti al conflitto. E farà covare vendetta nei cuori delle generazioni a venire, per decine di anni.

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RESPONSABILITÀ STORICHE
Guerra a pezzi e pace a pezzi
La prospettiva dell’occhio per occhio non farà che rendere ciechi tutti i partecipanti al conflitto. E farà covare vendetta nei cuori delle generazioni a venire, per decine di anni.
«Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre. Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti» (Is 9,5-6). Questo testo del profeta Isaia è proclamato nella notte e nel tempo di Natale. Attesta inequivocabilmente e in maniera stabile la presenza di una pace che non avrà fine, realizzata attraverso un misterioso personaggio, che noi riconosciamo in Gesù di Nazareth. Questa, anziché l’autorevole Parola di Dio, sembra una sarcastica beffa, tutt’al più una bucolica speranza adolescenziale. La crudeltà, la violenza, l’escalation di popoli coinvolti nei conflitti esplosi appena fuori della porta di casa nostra hanno la forza di spegnere ogni anche pur minimo tentativo di cambiare rotta e segno alla storia. La terza guerra mondiale a pezzi ha generato una pace ormai a pezzi… Non ho le competenze né la preparazione per cercare di analizzare le guerre in corso. Sono però stupito da un ricorrente approccio, sostenuto con vigore e continuità anche da giornalisti, politici, opinion leaders: cercare un colpevole. Individuato, sarà pertanto possibile dividere il mondo in due gruppi: i buoni e i cattivi, i giusti e gli ingiusti. Ma mi chiedo: quale bontà o giustizia vi può essere in un missile, in una bomba, scagliati verso una città, un villaggio, provocando vittime e feriti civili? Come possiamo pensare che questo non alimenterà a sua volta un desiderio di vendetta, di rivalsa, di contrapposizione pura, di volontà di annientamento dell’altro? L’unica conseguenza che siamo sicuri si avrà è quella della scomparsa di ogni dimensione di benevolenza, di accoglienza, di perdono per lasciar spazio soltanto all’odio radicale, che desidera solo la morte, la scomparsa, la distruzione dell’altro. La prospettiva dell’occhio per occhio non farà che rendere ciechi tutti i partecipanti al conflitto. E farà covare vendetta nei cuori delle generazioni a venire, per decine di anni...
Precise responsabilità
«Chi ha sparato? Chi ha iniziato? Sono domande insensate, visto che la volontà di guerra, di uccisione dell’avversario e di rifiuto della pace ha coinvolto tutti in un mix di odio, umiliazioni e disonore. È tipico della guerra distogliere lo sguardo da sé per sviarlo su chi si combatte». Questo non significa certo negare precise responsabilità storiche o, peggio ancora, attribuire salomonicamente 50% e 50% di colpe a entrambi: sarebbe una violenza ancor più terribile per chi sta patendo dolore e morte. Ma tentare di sciogliere un nodo - meglio, ricostruire un tessuto relazionale - attraverso la ricostruzione storica dei fatti una volta che si è scatenata la violenza in modo strutturale come avviene in una guerra, questo non può riuscire a ri-aprire la strada verso il recupero di una qualità di vita che non sia ossessionata dal ricordo del male subito o imbrigliata dal desiderio di vendetta. Scriveva papa Francesco nel Messaggio per la pace del 2017: «Che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace. Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti» (nn.1.2). «Bisogna semplicemente avere il coraggio di smettere, solo con il silenzio delle armi si può recuperare lucidità e controllo». E in questo lavoro di tessitura di nuove relazioni pacifiche e pacificate, le donne possono avere un ruolo fondamentale, dal momento che la guerra sembra essere quasi esclusivamente affare maschile. «Se ci fossero donne ai posti di responsabilità, loro saprebbero trovare un linguaggio, un’azione di leggerezza, un’attesa; le donne sono esperte, si sa, di attesa. Senza attesa non nasce niente, proprio niente. Questa è una guerra di uomini che alzano muri, scrivono articoli nei giornali del mondo, governano la propaganda, spediscono armi e carri armati e lanciano proclami. Si arricchiscono in commerci innominabili. Le donne sanno che il dolore delle madri che perdono i figli si somiglia, sanno entrare nel dolore dell’altra, sanno quanto è difficile, meraviglioso ma difficile e lungo, far crescere un bambino, sanno che la morte di un figlio soldato è sempre una bestemmia alla vita. Odiano la guerra, le donne. Niente di buono viene dalla guerra, niente. È un’arte femminile sciogliere i nodi. Per adesso è così, forse un giorno gli uomini potranno imparare. Soprattutto se si lasceranno affiancare da donne che governano, decidono con loro, pensano pensieri nuovi e soluzioni che siano diverse dalla vendetta». Come procedere quindi? Ci giunge un prezioso suggerimento da papa Benedetto XVI: «Nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo di più viene da Dio» (Benedetto XVI, Angelus 18-2-2007). La pace non sarà frutto della distruzione dell’altro né vi si giungerà attraverso una bacchetta magica che dovrebbe risanare tutto. Sarà una pace che, coerentemente con una guerra che si è disseminata, si è fatta a pezzi nella nostra quotidianità, verrà costruita pezzo per pezzo, relazione su relazione, mediante la stima, il perdono, il riconoscimento del dolore altrui, l’accoglienza delle sorelle e dei fratelli in umanità, anche di etnie, popoli e nazioni differenti. Una pace da costruire a pezzi, cominciando da chi abbiamo a fianco.
FR. ANDREA E FRATELLI
Comunità Monastica SS.ma Trinità di Dumenza