Ferrari Matteo
Una comunità che ascolta (1° parte)
2024/1, p. 18
Papa Francesco ha affermato nell’anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI che la sinodalità è ciò che Dio chiede alla Chiesa oggi. ..Come il Concilio Vaticano II è stato un passaggio fecondo per la comunità di Camaldoli e per l’intera Congregazione, così il percorso sinodale che stiamo vivendo può essere per Camaldoli e per tutte le nostre comunità un’occasione di nuova vitalità.

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Testimoni
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PERCORSI SINODALI
Una comunità che ascolta
Presentiamo una prima parte della relazione che dom Matteo Ferrari ha pronunciato al momento della sua elezione a Priore di Camaldoli e Priore Generale della Congregazione Camadolese dell'Ordine di San Benedetto, il 22 novembre scorso.
Papa Francesco ha affermato nell’anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI che la sinodalità è ciò che Dio chiede alla Chiesa oggi: «Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “sinodo”. Camminare insieme (…) è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica» (Roma, 17 ottobre 2015).
Come il Concilio Vaticano II è stato un passaggio fecondo per la nostra comunità di Camaldoli e per l’intera Congregazione, così il percorso sinodale che stiamo vivendo può essere per Camaldoli e per tutte le nostre comunità un’occasione di nuova vitalità. Infatti il Concilio per Camaldoli ha provocato sia una riforma interna alla Comunità, sia la nascita di un impegno all’esterno, in particolar modo attraverso l’ospitalità. Da una parte la Comunità è profondamente cambiata grazie all’insegnamento conciliare. Basta pensare le relazioni interne di comunione e fraternità, la centralità della liturgia e della Sacra Scrittura nella lectio divina. Dall’altra la comunità di Camaldoli ha aperto le porte della foresteria per divenire luogo ospitale nel quale l’insegnamento del Concilio sulla Chiesa, sulla liturgia, sulla parola di Dio, sul dialogo ecumenico e interreligioso, sul dialogo con il mondo contemporaneo… potesse essere elaborato, approfondito, assimilato. Le nostre comunità sono state veramente, pur con i nostri limiti, un laboratorio teologico e spirituale degli insegnamenti conciliari. Così ora può accadere per la Sinodalità. La Relazione di sintesi del Sinodo dei Vescovi dello scorso ottobre, al quale abbiamo partecipato mettendoci a servizio della liturgia e della preghiera, riguardo al percorso sinodale, afferma: «Il Concilio Vaticano II è stato come un seme gettato nel campo del mondo e della Chiesa. (…) Il Sinodo 2021-2024 continua ad attingere all’energia di quel seme e a svilupparne le potenzialità. Il cammino sinodale sta infatti mettendo in atto ciò che il Concilio ha insegnato sulla Chiesa come Mistero e Popolo di Dio, chiamato alla santità. (…) In questo senso costituisce un vero atto di ulteriore recezione del Concilio, che ne prolunga l’ispirazione e ne rilancia per il mondo di oggi la forza profetica» (Relazione di sintesi, Introduzione). Il percorso sinodale in atto, come accadde per il Concilio, può essere un momento favorevole per la crescita interna delle nostre comunità e della Congregazione nel suo insieme, ed essere, al contempo, stimolo per la nostra testimonianza di monaci nella Chiesa. La nostra accoglienza, con le varie proposte che la contraddistinguono, potrebbe avere nella sinodalità il suo elemento ispiratore.
Quali sono i tratti di una comunità sinodale che possa crescere nella comunione e testimoniare oggi nella Chiesa e nel mondo la gioia del Vangelo? Provo a delinearne alcuni semplici tratti.
Una comunità che ascolta
La prima caratteristica, quella fondamentale, di una comunità dallo stile sinodale è l’ascolto. La prima parola del vocabolario sinodale è “ascolto”. Innanzitutto si tratta di ascoltare la voce dello Spirito «rimanendo aperti alle sorprese che certamente predisporrà per noi lungo il cammino» (Documento preparatorio 2). Il primo volto dell’ascolto è un atto di fede nella presenza dello Spirito che guida con creatività la vita della Chiesa. È la sconfitta di ogni forma di smarrimento, di rassegnazione e di disfattismo. La seconda immagine biblica che il Documento preparatorio propone - «l’esperienza dello Spirito in cui Pietro e la comunità primitiva riconosce il rischio di porre dei limiti ingiustificati alla condivisione della fede» (DP 16) – è particolarmente significativa per questo aspetto.
Il secondo ambito dell’ascolto riguarda la Parola di Dio. È alla luce della Scrittura che la Chiesa, pellegrina nel tempo, è chiamata a leggere il suo presente e a pensare il proprio futuro. In questo senso il Documento preparatorio propone due immagini bibliche sulle quali soffermarsi per comprendere il percorso sinodale (cf. DP 16-26). Nella prima di queste la Chiesa di oggi viene invitata a confrontarsi con il rapporto tra Gesù, i suoi discepoli e le folle, per riscoprire il fondamento di uno “stile sinodale” per la vita delle comunità cristiane. Infine l’ascolto deve riguardare le comunità stesse: occorre intraprendere «un processo ecclesiale partecipato e inclusivo, che offra a ciascuno l’opportunità di esprimersi e di essere ascoltato per contribuire alla costruzione del popolo di Dio» (DP 2). L’ascolto di tutti caratterizza in modo particolare la prima fase del processo sinodale, attraverso la consultazione delle Chiese particolari (cf. DP 25-32), a partire da una domanda fondamentale: «Una Chiesa sinodale, annunciando il Vangelo, “cammina insieme”: come questo “camminare insieme” si realizza oggi nella vostra Chiesa particolare? Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere nel nostro “camminare insieme”?» (DP 26).
Liturgia, esperienza di sinodalià in atto
Questi tre spunti che riguardano l’ascolto non possono non toccare il cuore di una comunità monastica. In particolare la centralità della lectio divina che caratterizza la vita delle nostre comunità dal Concilio in poi è un’eredità che non possiamo sprecare. Solo una comunità che mette al centro la Parola di Dio – in particolare quella che la liturgia di ogni giorno ci dona – può essere veramente “sinodale”. Solamente se ci mettiamo ogni giorno in ascolto della Parola, sapremo ascoltare veramente il fratello. La liturgia che ogni giorno celebriamo è luogo generativo della nostra vita, esperienza di sinodalità in atto. Curare la celebrazione liturgica, l’ascolto della Parola con «nobile semplicità» (SC 34) è il primo fondamentale modo per crescere come comunità dallo stile sinodale, nella scoperta che «tutto è grazia».
La centralità dell’ascolto ci invita anche a riflettere sul senso del silenzio e della solitudine: due elementi particolarmente cari alla tradizione camaldolese, come possiamo leggere nel Liber Eremitice Regule al cap. 44, dedicato al silenzio e alla meditazione: «segue infine la meditazione silenziosa, quando si uniscono indissolubilmente la regola del tacere e la vigile occupazione del meditare» (LER 44); o ancora quando Thomas Merton ricordò ai Camaldolesi, – poco prima che venisse fondata New Camaldoli –, che «la vocazione monastica è per sua stessa natura una chiamata al deserto, perché è una chiamata a vivere nella speranza» (Silence in haeven, Abbey of Our Lady of Gethsemani, Advent 1954, 2).
La compresenza di eremi e di monasteri nella nostra Congregazione ci invita ad essere testimoni del dialogo profondo tra solitudine e comunione, soprattutto da quando, in quel lontano 2 luglio 1935, la tradizione eremitica e quella cenobitica si ricompose nella nuova istituzione dei Monaci Eremiti Camaldolesi, che siamo noi oggi.
Ai nostri giorni la testimonianza di un silenzio che è accoglienza della Parola è particolarmente prezioso nella vita della Chiesa. Papa Francesco nella veglia ecumenica celebrata in Piazza San Pietro alla vigilia dell’Assemblea sinodale ha affermato: «Essere sinodali vuol dire accoglierci gli uni gli altri così, nella consapevolezza che tutti abbiamo qualcosa da testimoniare e da imparare, mettendoci insieme in ascolto dello “Spirito della verità” (Gv 14,17) per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese” (Ap 2,7). E il silenzio permette proprio il discernimento, attraverso l’ascolto attento dei “gemiti inesprimibili” (Rm 8,26) dello Spirito che riecheggiano, spesso nascosti, nel Popolo di Dio» (Roma, 31 ottobre 2023).
Ascolto e dialogo ecumenico
e interreligioso
Per noi l’ascolto si concretizza anche nel dialogo ecumenico, interreligioso, e con la cultura contemporanea. Tre dimensioni che, in base alle sensibilità e ai doni presenti in comunità, non dobbiamo cessare di coltivare con serietà e competenza.
Nel testo della Dichiarazione Comune di Papa Francesco e di Sua Grazia Justin Welby Arcivescovo di Canterbury a conclusione dei vespri celebrati nella nostra Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio nell’ottobre 2016, – in occasione del 50° anniversario dell’incontro tra Paolo VI e l'Arcivescovo Michael Ramsey e l'istituzione del Centro anglicano di Roma –, si legge: «Cinquant’anni fa i nostri predecessori, Papa Paolo VI e l’Arcivescovo Michael Ramsey, si incontrarono in questa città, resa sacra dal ministero e dal sangue degli Apostoli Pietro e Paolo. In seguito, Papa Giovanni Paolo II e gli Arcivescovi Robert Runcie e George Carey, Papa Benedetto XVI e l’Arcivescovo Rowan Williams hanno pregato insieme in questa Chiesa di San Gregorio al Celio, da dove Papa Gregorio inviò Agostino ad evangelizzare le genti anglosassoni. In pellegrinaggio alle tombe di questi Apostoli e santi Padri, Cattolici e Anglicani si riconoscono eredi del tesoro del Vangelo di Gesù Cristo e della chiamata a condividerlo con il mondo intero. » (Celebrazione dei Vespri con la partecipazione di Sua Grazia Il Dottor Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury e Primate della Comunione Anglicana, in commemorazione del 50° anniversario dell’incontro tra Paolo VI e l'Arcivescovo Michael Ramsey e l'istituzione del Centro anglicano di Roma, Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio Mercoledì, 5 ottobre 2016, 3). Questo fa del nostro monastero di San Gregorio al Celio un luogo privilegiato di incontro e ascolto tra le Chiese, che la nostra Congregazione è chiamata a custodire e far crescere.
Allo stesso modo la comunità camaldolese del Saccidananda Ashram, Shantivanam, – che custodisce l’esperienza religiosa di Jules Monchanin, Henri Le Saux e Bede Griffiths, capaci di realizzare nella loro vita un «matrimonio tra Oriente e Occidente» –, invita ognuno di noi a mettersi in ascolto delle tradizioni religiose viventi.
Ed è proprio Bede Griffiths che ci ricorda cosa significa vivere nel momento presente, in dialogo con il contemporaneo, senza dimenticare che lo facciamo come monaci, partendo dalla sua idea di «pensiero integrale», attraverso il quale tentò di armonizzare la visione spirituale e quella scientifica del mondo. Nel 1983 scriveva che «stiamo vivendo una sfida, per creare una teologia che si serva delle scoperte della scienza moderna e del misticismo orientale, e per sviluppare da esse una nuova teologia che risulti molto più adeguata».
DOM MATTEO FERRARI,
Priore di Camaldoli e Priore Generale
della Congregazione Camaldolese
dell’Ordine di San Benedetto