Giaretta Rita
Abitare il territorio abitare le relazioni
2024/1, p. 8
Le giovani donne prostituite scuotono oggi la vita di donne consacrate, risvegliando la propria umanità. La Chiesa su questa realtà è ancora troppo silente, con una mentalità maschilista e patriarcale che fa fatica a mettersi in gioco. L’invito è quello di trovare il coraggio di assumere un volto più femminile e meno clericale.

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Testimoni
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AGLI INCROCI DELLE STRADE
Abitare il territorio
abitare le relazioni
Le giovani donne prostituite scuotono oggi la vita di donne consacrate, risvegliando la propria umanità. La Chiesa su questa realtà è ancora troppo silente, con una mentalità maschilista e patriarcale che fa fatica a mettersi in gioco. L’invito è quello di trovare il coraggio di assumere un volto più femminile e meno clericale.
È bello essere qui con voi questa mattina e portarvi brevemente la mia testimonianza che sento ha dato e continua a dare significato, valore, gioia e speranza alla mia vita. Una vita, la mia che si è fatta missione, scelta, impegno, cammino, intreccio con la vita di tante giovani donne migranti, spesso incinte o con bambini piccoli, molte di loro avvinghiate nella rete della tratta, in gravi condizioni di sfruttamento, di violazione dei diritti umani, ridotte in schiavitù. Una esperienza che si è concretizzata prima a Caserta (per quasi 25 anni), insieme ad altre consorelle, dando vita a Casa Rut (luogo di accoglienza) e alla cooperativa sociale newHope, un laboratorio di sartoria etnica che continua a promuovere dignità, diritti e integrazione attraverso la formazione e soprattutto il lavoro (il prossimo anno la newHope celebra 20 anni di presenza e di servizio). Tutto questo è stato reso possibile grazie alla vicinanza e al sostegno della diocesi di Caserta, che continua tutt’oggi, grazie alle tante ‘alleanze’ create sia nel territorio locale ma anche nazionale e oltre.
Missione in cammino
Una missione in cammino, la mia, che continua ora a Roma, in uno dei quartieri più popolosi: Tuscolana /Don Bosco. Qui da circa tre anni, insieme a sr. Assunta e ad alcune giovani che desiderano condividere un «nuovo sogno di fraternità e amicizia sociale» (FT), abbiamo dato vita a Casa del Magnificat, in un appartamento al sesto piano di un grande condominio, ricevuto in comodato d’uso gratuito dalla parrocchia di San Gabriele dell’Addolorata. In Matteo c. 21 Gesù dice, e non per scherzo: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel Regno di Dio». Un’affermazione, questa, rivolta anche oggi a ognuna/o di noi, che dovrebbe scuoterci e inquietare. Almeno per me posso dire che sono state proprio loro, queste giovani donne prostituite, nostre sorelle, a scuotere la mia vita di donna e di consacrata, a risvegliare la mia umanità e a tenere viva e appassionata la mia fede. Sono state proprio loro, queste giovani donne (Joy, Jumi, Racheal, Mirela, Blerina, Vera, Blessing) che mi hanno provocato a guardare e a ‘toccare’ le fragilità, le tante ferite che abitano la loro vita, ma anche a riconoscere le nostre, che spesso nascondiamo o non vogliamo vedere. Sono loro che ci hanno insegnato a non sentirci noi le salvatrici, i salvatori, a non sentirci noi i buoni, i migliori, quelle e quelli che stanno dalla parte giusta, magari con la scusa di essere di Dio perché battezzati, o perché praticanti, magari religiose o operatori Caritas, illudendoci così di poter essere cristiani senza essere umani.
Risveglio di umanità
«Non ti chiamerai più Joy, ma Jessica, farai soltanto quello che dico io»: così narra Joy, giovane donna nigeriana, nel libro che racconta la sua storia dal titolo «Io sono Joy. Un grido di libertà dalla schiavitù della tratta», con la prefazione di papa Francesco. «Mi avevano rubato tutto. Il nome, la dignità, il corpo, l’anima, la libertà, il futuro. Ero una delle migliaia di schiave, vittime della tratta, che vivono nei sotterranei della storia». Ero una delle migliaia di schiave: come non sentire la forza delle parole di papa Francesco, che sono come un grido che squarcia il buio di questa nostra cultura dell’indifferenza e dello scarto. Davanti al dolore, l’indifferenza non è una scelta possibile. La tratta di persone è violenza! E la violenza sofferta da ogni donna, da ogni uomo e da ogni bambino è una ferita aperta nel corpo di Cristo, nel corpo dell’umanità intera, è una ferita profonda che riguarda anche ognuno di noi. Sì, questo dramma, questo «crimine contro l’umanità», che sempre più tende a istallarsi come modalità sistemica, è impiantato anche nelle nostre città (cfr. EG), nei nostri territori, nei nostri quartieri, vicino alle nostre chiese, alle nostre case. E ci tocca, riguarda anche ognuno di noi. Pertanto dovrebbe scuotere le nostre coscienze di donne e di uomini, aiutandoci ad aprire gli occhi per riconoscere che anche noi, in qualche misura, con più o meno consapevolezza, siamo parte e solidali nel male. Siamo parte di un sistema che rischia di mercificare tutto in nome del profitto, anche i corpi delle persone, dei poveri, dei migranti, di chi scappa da guerre, da carestie, da disastri ambientali. Sì, siamo parte di un sistema che sacrifica tutto al dio denaro.
Quanto costi?
Quanto costi? è la domanda dei tanti, troppi clienti. Penso che quando un uomo chiede a una giovane donna, (che potrebbe essere sua figlia, sua sorella, sua nipote, la sua fidanzata) quanto costi? stia dando unicamente valore e potere al denaro. Così non solo sfigura l’umanità della donna, insultando la sua libertà e dignità, ma disumanizza anche se stesso. Dobbiamo chiederci, anche qui, oggi, perché c’è così tanta domanda? Perché tanti maschi hanno bisogno di comprare il corpo di una ragazza, a volte ancora bambina? È giusto fare di tutto per aiutare queste ragazze a ritrovare dignità e libertà, ma sono convinta che sia ancor più necessario attivare processi che formano l’uomo a relazioni nuove, al rispetto, alla gestione serena e costruttiva della sessualità, dell’affettività, per sé e per la donna. Non è più rimandabile un forte impegno formativo, educativo, umano e di sensibilizzazione da parte di tutti. Al fondo di tutto ci deve essere il riconoscimento dell’altro come persona con la stessa dignità e gli stessi diritti. Non un oggetto o, peggio, una merce che si compra, si usa e si getta. Purtroppo devo riconoscere che la chiesa, in tutto questo, è ancora troppo silente. Forse perché ancora tanto maschilista e patriarcale e pertanto fa fatica a mettersi in gioco, in maniera libera e liberante, su questa realtà.
Quanto sarebbe auspicabile ed evangelicamente profetico, anche per poter incidere in modo trasformante a livello di mentalità, di cultura, che la chiesa non avesse paura di toccare e vivere le sue povertà, oserei dire la sua nudità, e trovasse il coraggio di assumere un volto più femminile, meno clericale. È il Vangelo che lo chiede. È la Vita che lo provoca.
Ciò che salva è lo sguardo
Mi ha sempre colpita l’affermazione di Simone Weill: «Ciò che salva è lo sguardo». Ecco sono state proprio queste donne, i cui volti sono oggi scolpiti uno ad uno, nel mio cuore di donna, di madre e sorella (e c’è ancora posto)… che mi hanno fatto scoprire l’incanto, la bellezza e l’umile forza sanante di questa affermazione che profuma di Vangelo. «Uscire verso l’altro, gli altri – è l’invito di papa Francesco in EG –, per giungere alle periferie umane… mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare… per accompagnare chi è rimasto a bordo della strada (EG 46) e dare quindi al nostro cammino il ritmo lento e salutare della prossimità, (non passare oltre…) con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo, sani, liberi e incoraggi» (EG 169).
San Francesco ricordava ai suoi frati che non basta, anzi è insufficiente, fare del bene, perché fare del bene appartiene all’esteriorità, spesso al nostro bisogno di immagine, del sentirci a posto, dalla parte dei buoni, mentre ciò che conta, che vale, che «tocca» le vite è il voler bene. Questo appartiene all’affettività, all’interiorità, al cuore. Voler bene crea riti e costruisce legami, relazioni: questi non solo nutrono, ma si prendono cura della vita, di tutto e di tutti e così diventiamo preziosi e unici l’uno per l’altro (ricordiamo tutti e con emozione il racconto del Piccolo Principe). È il tempo che diamo alle persone che le rende preziose, non inchiodate al passato ma riconsegnate al futuro, alla speranza. Alda Merini, in maniera poetica direbbe: «Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle, sentire gli odori delle cose, catturare l’anima. Coloro che hanno la carne a contatto con la carne del mondo. Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore».
La tratta delle persone è una grande sfida per noi tutti: è oggi il tempo favorevole di stare agli incroci delle strade, di abitare il territorio, di abitare le relazioni. Oggi è il tempo favorevole per osare come chiesa, come Caritas, nuovi cammini di umanità, percorrendoli, non da solitari, ma insieme, con audacia, creatività e fiducia, anche «sconfinando» dai percorsi abituali, purché si realizzi il sogno di Dio: mai più schiave e schiavi, ma sorelle e fratelli tutti.
SUOR RITA GIARETTA
Orsolina del Sacro Cuore di Maria