Chiaro Mario
Una pace possibile in un mondo frantumato
2023/9, p. 38
Si cerca «un paese innocente» che persegua ‘la pace come politica’. In questo «paese esigente» anche la VC riscopre una testimonianza evangelica che ostinatamente persegua il dialogo aperto con tutti.

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Pasquale Ferrara Cercando un paese innocente. La pace possibile in un mondo in frantumi Città Nuova Editrice, Roma 2023, pp. 160, € 16,90
Una pace possibile in un mondo frantumato
Si cerca «un paese innocente» che persegua ‘la pace come politica’. In questo «paese esigente» anche la VC riscopre una testimonianza evangelica che ostinatamente persegua il dialogo aperto con tutti.
Nel 1989 il politologo Francis Fukuyama profetizzava l’imminente «fine della storia» immaginando che, dopo il crollo del comunismo sovietico e la fine della Guerra Fredda, la democrazia liberale e il capitalismo avrebbero pervaso tutte le nazioni (cfr La fine della storia e l’ultimo uomo, 1992). Secondo questa tesi storiografica, il processo di evoluzione socio-politico dell’umanità avrebbe raggiunto il suo culmine alla fine del 20° secolo. Fukuyama scriveva dopo il biennio avviato dalla caduta del Muro di Berlino (9/11/1989) e chiuso dalla implosione dell’Unione Sovietica (25/12/1991). Una previsione rivelatasi una illusione.
Smarriti in un ordine illusorio
Oggi non sperimentiamo «la fine della storia», ma la «fine della pace». Papa Francesco non perde occasione per richiamare i leader mondiali a comprendere che stiamo vivendo una «guerra mondiale combattuta a pezzi». Abbiamo assistito al decennio della Guerra del Golfo (a seguito dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq); ai conflitti di successione in Jugoslavia; al ventennio delle «guerre al terrorismo» (crollo delle Torri Gemelle l’11 febbraio del 2001 e reazione contro gli islamisti di al-Qāʿida insieme ai governi talebano in Afghanistan e baathista in Iraq); all’odierna contestazione della Russia verso l’ordine americano, con la scellerata operazione di «denazificazione» dell’Ucraina; alla parallela sfida della Cina contro gli Usa per il controllo dell’isola di Taiwan. «Le narrazioni correnti suonano apocalittiche fra epidemie, guerre, disastri ambientali e migrazioni di massa […] Pullulano storie particolari e particolaristiche, che regimi di vario tono erigono ad auto-legittimazione o a giustificazione di guerre di “recupero” di territori propri» (cfr. Lucio Caracciolo, La pace è finita, 2022). L’invasione dell’Ucraina (24/2/2023) rivela l’esaurimento dell’illusione di una progressiva occidentalizzazione del pianeta. La fine della Guerra Fredda aveva già prodotto un mutamento delle relazioni internazionali, che in dieci anni (1991-2001) si sono trasformate da bipolari (Stati Uniti e Unione Sovietica) a unipolari (supremazia americana). «La differenza, tuttavia, rispetto alla condizione attuale non è solo quantitativa, con l’emergere di diversi poli nel mondo, in competizione tra loro. È anche qualitativa, perché è in corso una vera e propria riconfigurazione dell’ordine mondiale o di quello che riteniamo tale, con un ritorno a una politica delle grandi potenze […] Le scelte di politica internazionale sono ormai fortemente condizionate da variabili indipendenti estranee alla politica intesa in senso stretto: i cambiamenti climatici, le conseguenze della realtà digitale, per non parlare dei rischi dell’intelligenza artificiale». Queste sono alcune autorevoli considerazioni contenute in un volume del diplomatico di carriera Pasquale Ferrara (cf. Cercando un paese innocente. La pace possibile in un mondo in frantumi, Città Nuova Ed., Roma 2023, pp. 160). Il ruolo degli Stati Uniti in fondo è stato quello di una specie di «Leviatano liberale» che ha portato a un ordine egemonico mondiale caratterizzato da tre elementi: sicurezza, prosperità e progresso sociale. Oggi questo scenario è in crisi. Vediamo potenze in ascesa (Cina e India, ma anche Nigeria, Messico, Indonesia, Sudafrica e Turchia), potenze in relativa regressione (Russia e in parte Stati Uniti), nuove aggregazioni (i cosiddetti Brics: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), raggruppamenti regionali (Europa, Asean-associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, Mercosur-mercato comune dell’America meridionale che si affianca alla Comunità Andina, alla Comunità Caraibica e al Sistema di integrazione centroamericana). Mondi paralleli e mentalità contrapposte.
Realismo ideologico ed esportazione della democrazia
Ferrara si discosta dall’idea dominante, secondo cui occorre essere realisti in politica estera. I principi cardine del «realismo ideologico» sono: la centralità dello Stato, che ha per obiettivo principale la propria sopravvivenza, l’autotutela facendo affidamento solo su se stessi. Così la normalità delle relazioni internazionali sarebbe il conflitto (vedi i mantra: «se vuoi la pace, prepara la guerra»; «la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi»). Questo è il filtro intellettuale che fa leggere il mondo in termini di rapporto di forza e di potenziali minacce. L’analista definisce pericolosa la semplificazione e approssimazione occidentalista, che riduce i sistemi politici alle due grandi categorie di democrazie e autocrazie. Oggi rinveniamo una «serie vastissima di variazioni sul tema del governo, tanto da potere concludere che, in fondo, la gran parte dei sistemi politici sono regimi ibridi […] invece della dicotomia democrazie/autocrazie – troppo facile, culturalmente pigra e politicamente infondata – troviamo una grande variabilità, anzi una biodiversità politica impressionante». Questa consapevolezza ci libera da un’altra pericolosa ‘credenza’, secondo la quale la democrazia sia esportabile: è la convinzione che immettere procedure elettorali in contesti con insufficiente grado di cultura partecipativa, pluralista e inclusiva, possa produrre cambiamenti della forma di governo. Si dimentica che anche la democrazia è in una fase di «deconsolidamento» assumendo nuove forme di consultazione popolare e di partecipazione di gruppi di interesse!
La ricerca di un «paese innocente»
Il titolo del libro si rifà a un verso di Giuseppe Ungaretti scritto al fronte nel 1918: cerco un paese innocente. Il «paese innocente» da cercare consiste in una politica internazionale che «guardi al mondo con la fiducia e con la volontà di “fabbricare la pace” […] Mi riferisco soprattutto a coloro che papa Francesco chiama gli “artigiani della pace”, il mondo del volontariato, le organizzazioni non governative, figure internazionali prominenti che si spendono per relazioni internazionali pacifiche, cittadini consapevoli e impegnati». Per il paese innocente la sola politica realistica, un ordine duraturo e non semplici tregue tra guerre, «è quella della pace strutturale, della pace che diventa un’infrastruttura estesa nelle relazioni internazionali, fondate su pratiche di corresponsabilità […] La politica della pace è sicuramente indispensabile, ma ben più urgente è la pace come politica. La pace come politica significa che il valore politico centrale è sempre la pace, e attraverso di essa sono concepite tutte le politiche, mentre la politica della pace è un esercizio di risoluzione dei conflitti che si aggiunge a tante altre priorità politiche […] Come disse Martin Luther King, “la pace non è semplicemente un obiettivo lontano che cerchiamo, ma un mezzo attraverso il quale arriviamo a tale obiettivo. Dobbiamo perseguire fini pacifici con mezzi pacifici” (Discorso al Nation Institute, Los Angeles, 25/2/1967)». Il paese innocente non è il paese incosciente, ma è il paese esigente che cura il bene comune mondiale e i beni comuni universali, finendo così per fare anche il proprio interesse.
Consacrate e consacrati, cittadini di un paese innocente
In questo impegno di cura verso il mondo e di servizio alla pace, anche la VC è chiamata a rinnovare il carisma, aprendo canali di dialogo con tutti. Nel viaggio apostolico in Marocco, papa Francesco ha incontrato sacerdoti e religiosi (cattedrale di Rabat, 31/3/2019) condividendo l’idea di una Chiesa inserita nella storia: «Consapevole del contesto in cui siete chiamati a vivere la vostra vocazione battesimale, il vostro ministero, la vostra consacrazione, cari fratelli e sorelle, mi viene in mente quella parola del papa san Paolo VI nell’Enciclica Ecclesiam suam: “La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio”. […] Il cristiano, in queste terre, impara a essere sacramento vivo del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva. […] Come non evocare la figura di san Francesco d’Assisi che, in piena crociata, andò ad incontrare il Sultano al-Malik al-Kamil? E come non menzionare il beato Charles de Foucauld che, profondamente segnato dalla vita umile e nascosta di Gesù a Nazaret, che adorava in silenzio, ha voluto essere un “fratello universale”? O ancora quei fratelli e sorelle cristiani che hanno scelto di essere solidali con un popolo fino al dono della propria vita?».
MARIO CHIARO