La Mela Maria Cecilia
Simeone preghiera di contemplazione
2023/9, p. 31
Contemplare è un guardare più profondo, è raggiungere con il cuore ciò che la vista in parte svela perché, per entrare dentro, gli occhi soltanto non bastano, ci vuole incanto, stupore di fanciullo, purezza di sguardo.

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SEGNO E LUCE
Simeone
preghiera di contemplazione
Contemplare è un guardare più profondo, è raggiungere con il cuore ciò che la vista in parte svela perché, per entrare dentro, gli occhi soltanto non bastano, ci vuole incanto, stupore di fanciullo, purezza di sguardo.
Per parlare della preghiera di contemplazione, tra i vari oranti del Nuovo Testamento, abbiamo scelto il vecchio Simeone (Lc 2, 25-4): il suo cantico scandisce ogni sera il nostro andare incontro alla notte accompagnati dalla luce della fede che sa vedere oltre e già pregustare l’alba. La preghiera liturgica di Compieta completa appunto la giornata, la compendia e la socchiude dandole un respiro di attesa e serena consegna, la fiducia ben riposta in Colui che solo può illuminare il nostro cammino e condurci al nuovo giorno. E come quando ci è dato di contemplare il sorgere del sole nella magnificenza cromatica dell’aurora, così le parole del vecchio Simeone aprono spiragli di tacita, stupita contemplazione, laddove il chiarore crescente diventa trasfigurazione, riconoscimento, assenso, ciò che nelle religioni orientali viene chiamato “risveglio dell’io interiore”. Contemplare è un guardare più profondo, è raggiungere con il cuore ciò che la vista in parte svela perché, per entrare dentro, gli occhi soltanto non bastano, ci vuole incanto, stupore di fanciullo, purezza di sguardo. Non sempre il contemplare suscita gioia estatica, appagamento dell’animo, spesso è fatica, fedeltà, eppure arreca un frutto impareggiabile, la pace del cuore, perché la contemplazione è prima di tutto un dono, essa si innesca a partire dall’iniziativa di Dio.
Ascolto e sguardo
«Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio». C’è tutto un gioco del verbo vedere che esprime quanto vorremmo dire: Simeone, che viene definito con appellativi simili a quelli di Giuseppe lo Sposo di Maria, vive l’attesa messianica lasciandosi guidare dallo Spirito Santo. Nel giorno in cui i genitori di Gesù si recano al tempio secondo la prescrizione della legge mosaica, è questo stesso Spirito a muovere i passi dell’anziano verso il tempio, luogo della manifestazione di Dio, là dove il vedere apre all’incontro. «Se l’occhio non prende fuoco / il Dio non sarà visto […] (Theodore Roszak). La mente umana non sarebbe in grado di elevarsi così in alto per contemplare e aderire all’illuminazione divina, se Dio stesso non l’attirasse a sé e la illuminasse con i suoi raggi divini, come afferma un padre della Chiesa, san Massimo il Confessore».
Simeone, prima di tutto è un uomo che ascolta la Parola di Dio, che presta orecchio alla propria interiorità, che nel silenzio cerca di udire la voce dello Spirito per poter agire e vedere di conseguenza. In questo senso l’anzianità, oltre che come età cronologica, può essere intesa come sapienza, saggezza, intuizione profetica.
Simone, dunque, ascolta e vede. Viene in mente quel bellissimo verso di una poesia dedicata da Montale alla moglie defunta: «Ascoltare era il solo tuo modo di vedere», e non solo perché era affetta da una forte miopia, ma soprattutto perché dotata di «un senso infallibile», di un «radar di pipistrello» tipico di chi nell’ombra impara a scrutare. Perché vedere è più che guardare, è prendere l’altro, la realtà, la storia tra le proprie braccia e benedire Dio:
«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2, 29-32).
Questo servo che ha ascoltato, che si è mosso secondo la Parola del Signore, vede la salvezza divina riconoscendola come luce e gloria; il vedere apre alla dimensione della luminosità e dello splendore. Il contemplare - che del resto ha una affinità etimologica con il tempio (=con templum) - non è perdersi nel vuoto, isolarsi in una esperienza intimistica, ma è un guardare tutto il resto aprendosi agli altri, a tutti i popoli, riconoscere che la salvezza non è per pochi, per i giusti, ma illumina tutte le genti. Come affermava Thomas Merton, la contemplazione è l’«esperienza trascendente della realtà e della verità vissuta in un amore supremo e finalmente liberato». Per Simeone contemplare la salvezza incarnata in un bambino all’apparenza uguale agli altri, in quel momento preciso, in quel luogo santo, spalanca uno spiraglio sull’eternità: egli può ormai morire non perché ha raggiunto la fine della sua vita, bensì il fine. Il suo approdo ultimo è inscritto tra la benedizione rivolta a Dio e quella ai genitori del bambino anch’essi presi da meraviglia contemplativa: «Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui».
Alla benedizione è legata la profezia. Poi «parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima”». La profezia non è solo un predire il futuro, ma prima di tutto un cogliere i segni del presente sotto i riflettori della rivelazione divina, è la capacità di leggere quanto accade con lo sguardo di Dio. Quello di Simeone, pertanto, è un ministero della speranza perché rimanda sì alla contraddizione, al dolore, alla spada, ma intravedendo in essa, quasi presagita, la luce della Pasqua. Non è in fondo questo il compito della sentinella di cui parla il profeta Isaia (21,11)? «Sentinella, quanto resta della notte?». La sentinella veglia, sta in allerta per cogliere un eventuale pericolo e subito dare l’allarme; per fare questo sta di vedetta, in alto, aguzza la vista, tende le orecchie, si protende lontano. Proprio per questa sua posizione privilegiata, pur carica di responsabilità, è la prima a scorgere i segni della luce e dare l’annuncio del nuovo giorno.
Contemplazione e profezia
Papa Francesco nella lettera Vultum Dei quaerere indirizzata alle contemplative, accosta appunto contemplazione e profezia, segno e luce: «Innumerevoli donne consacrate, nel corso dei secoli fino ai nostri giorni, hanno orientato e continuano a orientare “tutta la loro vita e attività alla contemplazione di Dio”, quale segno e profezia della Chiesa (n. 3). Il mondo e la Chiesa hanno bisogno di voi, come “fari” che illuminano il cammino degli uomini e delle donne del nostro tempo. Questa sia la vostra profezia (n. 35)».
Per questo vogliamo congedarci con una bella riflessione di san Rafael Maria Arnáiz Barón, patrono delle GMG, un contemplativo la cui vita è davvero una profezia per il nostro tempo: «Adesso, contemplando i cieli sereni di Castiglia, questo trappista vede in essi la grandezza di Dio […]. E quel trappista vestito di bianco e che sotto il suo grande cappello di paglia lavora e suda nei campi di Castiglia […]. E se al suo orecchio arriva ogni tanto il suono della campana del monastero, senza alzare lo sguardo da terra, eleva una supplica a Dio che, nascosto umilmente nel tabernacolo della sua chiesa, lo aspetta e sta in attesa finché, una volta terminato il suo lavoro, quel trappista venga alla sua presenza e gli mostri il frutto del suo lavoro, che non consiste nel numero di ore, né se è stato nella vigna o nell’orto, con una zappa o un rastrello, bensì nell’intenzione con la quale quel trappista ha lavorato».
Contemplare è vivere alla presenza di Dio e questo è per tutti i battezzati – consacrati, laici, sposi cristiani ecc. – in quanto rivestiti di dignità regale, sacerdotale e profetica. Si può dunque vivere in unione profonda con il Signore anche tra pentole e fornelli, tra carte di ufficio e banchi di scuola, nell’eremo come nel tram… Basta volerlo, basta crederci, basta ascoltare e vedere per raggiungere il cuore, essere «contemplattivi», per dirla con un neologismo di don Tonino Bello, procedendo con coraggio, perseverando nel cammino di fede e nell’attività quotidiana fatta di relazioni fraterne con fortezza, con audacia e senza timore.
SUOR MARIA CECILIA LA MELA, OSBAP