Zgheib Siham
In mezzo all’impossibile si compie l’opera di Dio
2023/4, p. 1
Sr. Siham Zgheib è una suora di origini libanesi. È responsabile della comunità di Suore Francescane Missionarie di Maria (FMM) di Aleppo e direttrice del centro «principale» per bambini autistici, che si occupa del loro accompagnamento pastorale e psico-spirituale.

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Testimoni
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TESTIMONIANZA DA ALEPPO
In mezzo all’impossibile si compie l’opera di Dio
Sr. Siham Zgheib è una suora di origini libanesi. È responsabile della comunità di Suore Francescane Missionarie di Maria (FMM) di Aleppo e direttrice del centro «principale» per bambini autistici, che si occupa del loro accompagnamento pastorale e psico-spirituale.
Pubblichiamo la sua testimonianza presentata all’Assemblea Plenaria della UISG (Roma, 2-6 maggio 2022), sul tema «Abbracciare la vulnerabilità nel cammino sinodale».
Mi chiamo Siham Zgheib. Sono una suora di origini libanesi e sono responsabile della comunità di Suore Francescane Missionarie di Maria (FMM) di Aleppo, nonché direttrice del centro «principale» per bambini autistici, che si occupa del loro accompagnamento pastorale e psico-spirituale. Con le consorelle della nostra comunità, lavoriamo insieme a gruppi femminili, famiglie e giovani, al servizio dei gruppi di accoglienza.
Il 14 settembre scorso ho festeggiato l’anniversario d’argento della mia consacrazione come Francescana Missionaria di Maria. Nel 2004, ho professato i voti perpetui e sono stata mandata in missione in Siria: ho trascorso 7 anni a Damasco, la capitale di questa nazione, 7 anni a Hassaké, una città nel nord della Siria e al momento lavoro ad Aleppo.
Il nostro istituto: al servizio della missione nel mondo
Fondato nel 1877 da suor Maria della Passione (Hélène de Chappotin), sulla base della grande iniziativa missionaria del XIX secolo, l’Istituto delle Suore Francescane Missionarie di Maria (FMM) è attualmente una congregazione cattolica internazionale che opera in 73 Paesi, sparsi nei 5 continenti e che fa parte della famiglia delle Francescane.
Siria
Situata in Medio Oriente, la capitale della Siria è Damasco, una città di cui sentiamo parlare anche nella Bibbia; infatti, alle sue porte, Paolo (Saul; Shaol) ricevette dal Signore l’incarico di entrare nella città e convertirla. (Atti 9,1-20).
Fu ad Antiochia (situata in Siria fino al 1917) che i credenti vennero per la prima volta chiamati «cristiani» (Atti 11,19-26).
Io vivo ad Aleppo, una delle città abitate più antiche del mondo. Tradizione vuole che Abramo, in viaggio da Ur, raggiunse la regione dei Caldei passando per Aleppo.
La popolazione siriana rappresenta un grande mosaico di etnie e religioni. È composta da più di 17 comunità: i sunniti (che rappresentano la maggioranza della popolazione), gli sciiti, gli alauiti, i drusi, sei comunità cattoliche e ortodosse e alcune comunità protestanti.
All’inizio del XX secolo, i cristiani rappresentavano il 25% della popolazione. Ora, sono diventati una piccola minoranza, che a malapena compare all’interno delle statistiche.
La Siria è la terra dei grandi santi della storia della Chiesa, come san Simeone lo Stilita, san Marone, san Efrem e molti altri. Nei vari siti archeologici, è possibile rintracciare una splendida tradizione romana, bizantina, siriana e assiro-cristiana.
Non basterebbero ore per raccontarvi della Siria, un Paese che, negli ultimi anni, è stato al centro dell’attenzione mediatica mondiale, palcoscenico della guerra più iniqua dell’inizio del XXI secolo.
La popolazione siriana era composta di circa 24 milioni di persone, metà delle quali erano giovani al di sotto dei 15 anni.
La guerra si è fatta largo all’interno del tessuto umano e sociale della Siria per distruggere, razziare e spazzar via tutto ciò che incontrava sul suo cammino: non solo ha alterato per sempre le statistiche demografiche, ma ha spezzato legami comunitari, ha destabilizzato la popolazione e ha soprattutto dato origine a enormi sfide per il futuro.
L’invito
Il vostro invito a darvi testimonianza delle mie esperienze durante il conflitto in Siria coincide armoniosamente con le celebrazioni dei miei 25 anni di vita religiosa.
Si tratta veramente di una grazia straordinaria, poiché mi permette di ripercorrere le mie esperienze di questo periodo e scoprire la Sua presenza originatrice di vita nelle esperienze che ho vissuto. Nel rivivere questi ricordi, ho scoperto che la Sua forza è in grado di dominare le mie debolezze e che il Suo potere si rivela nella mia precarietà, mentre la Sua vittoria emerge nei miei fallimenti.
Mi sono trovata in due comunità in cui tutti noi eravamo esposti a pericoli di vario genere: assedi, rapimenti, migrazioni, bombardamenti, perdita di servizi pubblici essenziali (come fornitura di acqua, carburante, pane, gas…).
Con voi vorrei condividere due esperienze: la prima è iniziata a settembre 2011 ed è terminata nel maggio 2013 nella città di Hassaké, nel nord est della Siria, al confine tra Iraq e Turchia, nel punto in cui la regione è attraversata dal fiume Khabour.
La seconda si è svolta tra il 2014 e il 2016 ad Aleppo, nel nord della Siria, città considerata
come la capitale economica del Paese.
Hassaké, 2011-2013
«È in mezzo all’impossibile che si compie l’opera di Dio»
(Maria della Passione, nostra fondatrice).
La nostra comunità era formata da 4 suore di diverse nazionalità (polacca, pakistana, siriana e libanese). Vivevamo al centro della città. Iniziammo a capire che la situazione stava peggiorando sempre di più. I primi gruppi di terroristi (Al Nosra, gruppo affiliato ad Al-Qaeda) invasero i villaggi cristiani intorno alla città. I cristiani stessi incominciarono a migrare o a venire rapiti: medici, bambini, giovani, per i quali venivano richiesti riscatti altissimi.
Posta di fronte a questi pericoli, la nostra fede iniziò a interrogarci: Siamo pronte a morire? Siamo pronte a offrire le nostre vite per Cristo? Come dovremmo reagire se ci fosse richiesto di rinnegare la nostra fede?
Queste e molte altre domande ci invitarono alla preghiera personale e comunitaria. Condividemmo questi momenti con i giovani e le loro famiglie. Sentivamo con forza la nostra impotenza e incapacità a rispondere a queste sfide. Ma lo Spirito ci rispose: «Non abbiate paura… Lo Spirito Santo arriverà in vostro soccorso».
Di fronte al pericolo di essere rapite, stuprate, torturate, costrette a indossare il velo, la mia principale e unica preoccupazione era di non fiaccare e rinnegare la mia fede. La preghiera che recito quotidianamente dice: «Signore, non espormi a una tentazione che sia al di là del mio controllo.» In fondo al mio cuore, mi era chiaro di non essere pronta a morire o a diventare una martire, ma non avevo il coraggio di chiedere a Lui di proteggermi.
Un giorno, nel bel mezzo dello scompiglio causato da tante, insopportabili sofferenze, prima del Santissimo Sacramento, mentre riflettevo con il Signore e Gli chiedevo quale fosse il significato di tutto ciò che stava accadendo, ricevetti la notizia della morte di mio fratello, una morte totalmente inaspettata. Dovevo scegliere tra recarmi in Libano per essere accanto alla mia famiglia nel lutto o rimanere al fianco della mia comunità in questa situazione così rischiosa. Decisi infine di rimanere accanto alla comunità e ai suoi membri, offrendo questo sacrificio come segno di condivisione e vicinanza alla mia famiglia.
Dovemmo sostenere un isolamento di 3 mesi: nessun contatto con le nostre famiglie o con la congregazione, niente elettricità, solo una candela come fonte di luce. L’oscurità in cui vivevamo mi invase, facendomi sprofondare senza trovare una via d’uscita. Anche in questa occasione, ciò che mi diede forza e mi sostenne fu aggrapparmi alla Croce e trarre forza dalla sua vulnerabilità. Adorare il Santissimo Sacramento sostenne la mia fede, in un momento in cui le violenze che mi circondavano mi impedivano di individuare la luce della presenza del Signore.
Come leader, avevo anche una grande responsabilità nei confronti delle mie consorelle, ma anche della popolazione e dei bambini. Avevo paura, ma non mi arresi. Come comunità di donne consacrate, dovevamo essere per chi ci era accanto fonte di testimonianza di Speranza. Organizzammo attività per i bambini, proprio all’entrata dell’edificio, ma anche mattinate di condivisione evangelica con le donne e momenti di adorazione per la comunità. Da tutte queste iniziative riuscimmo a trarre la nostra forza.
Aleppo, 2014-2016
Quando, nel 2014, arrivammo ad Aleppo, la nostra comunità era composta di 14 suore (3 francesi, 2 giordane, 2 italiane, 3 libanesi, 2 siriane, 1 pakistana e 1 polacca).
La nostra casa ad Aleppo era equipaggiata per accogliere anche le consorelle più anziane, provenienti dalle varie parti della Provincia.
In quel momento, Aleppo era sotto assedio e stava attraversando uno dei periodi più complessi della sua storia, poiché vi era scarsità di tutto (pane, carburante, gas, acqua…). Non c’era tempo per pensare. Avevamo paura. La nostra unica preoccupazione era aiutare, nel miglior modo possibile, le persone che vivevano in quello stato di shock, ansia e paura.
Trovarmi tra le mie consorelle mi insegnò a ricavare forza dalle loro debolezze, ma anche dal loro coraggio e della fede che riponevano in Dio e in tutte le persone a cui erano state inviate. Si rifiutarono di abbandonare Aleppo, desiderose di rimanere al fianco della gente come testimoni di Speranza. Erano anziane, è vero: ma furono sempre attive, nonostante la salute spesso traballante e i pericoli che le circondavano. La presenza delle nostre consorelle anziane fu un segno tangibile della presenza di Dio, attraverso il loro silenzio e le loro preghiere. Erano convinte che il Signore avrebbe protetto la nostra casa.
L’obbedienza delle mie consorelle si concretizzò infine in un doloroso abbandono: accettarono di lasciare Aleppo, per evitare di costituire una fonte di pericolo per la comunità locale. Le nostre consorelle non fuggirono dal pericolo per timore della guerra. Furono le Superiore a prendere questa decisione, poiché volevano garantire loro una vita più serena e pacifica e cure più adeguate per la loro età. Questa decisione permise alle suore che rimasero ad Aleppo di avere maggior libertà d’azione, prendere direttamente iniziative al fianco della popolazione e prevedere un’eventuale partenza, in caso le forze armate avessero invaso la città. Le nostre consorelle acconsentirono ad abbandonare Aleppo per garantire che la missione in questa città si svolgesse nelle migliori condizioni possibili.
La nostra vita attuale
Non cambierò la decisione che ho preso nel momento della luce
quando mi troverò nelle tenebre. (Maria della Passione)
Come in passato, siamo tre suore di nazionalità diverse (francese, siriana e libanese). Abbiamo deciso di restare e continuare la nostra missione in Siria, nonostante le grandi difficoltà, in spirito di solidarietà con la Chiesa locale e con le persone a cui siamo state inviate. Come in passato, mettiamo le nostre capacità al servizio di coloro che ne hanno più bisogno, senza operare alcuna differenza.
Viviamo in uno spirito familiare, condiviso con chi collabora con noi e con chi a noi si rivolge (sia cristiani sia musulmani), condividendo le loro gioie così come le loro preoccupazioni. In due occasioni, le nostre Superiore Maggiori ci hanno chiesto di lasciare Aleppo, se ci fossimo sentite in pericolo o avessimo avuto paura.
Ogni volta, dopo un momento di discernimento e preghiera, abbiamo sempre deciso di restare e la nostra risposta è stata: «Non cambieremo la decisione che abbiamo preso nel momento della luce quando ci troveremo nelle tenebre.»
Abbiamo offerto le nostre vite a Cristo. Non le richiederemo indietro.
SR. SIHAM ZGHEIB, FMM