Ronzoni Giorgio
Chi può cadere vittima dell’abuso spirituale?
2023/7, p. 3
È presto detto: chiunque.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Chi può cadere vittima dell’abuso spirituale?
È presto detto: chiunque.
Sarebbe rassicurante poter dire che c’è una ben precisa categoria di persone esposta al rischio dell’abuso spirituale, così tutti gli altri starebbero tranquilli. Invece, a parte forse i paranoici che hanno altri grossi problemi perché non si fidano di nessuno, tutti corriamo il rischio di cadere vittime di abuso quando chiediamo un accompagnamento o anche solo un consiglio spirituale, perché i potenziali abusatori, come si è visto, sono persone affascinanti, molto dotate, capaci di trovare i nostri punti deboli per approfittarne. E ciascuno di noi, nessuno escluso, ha i propri punti deboli.
Spesso, una volta uscite dall’abuso, le vittime si colpevolizzano e si chiedono: «Come ho potuto essere così ingenuo? Come ho potuto permettere che mi facessero questo?». Altre volte sono gli altri a colpevolizzarle dicendo: «Se l’è andata a cercare». Ma nessuno vuole essere abusato e tutti abbiamo bisogno di qualche aiuto nel cammino spirituale: bisogna essere consapevoli che non tutti sono meritevoli della nostra fiducia e che a volte proprio i personaggi più affascinanti e famosi sono quelli dai quali bisogna guardarsi maggiormente. Non occorre diventare esageratamente sospettosi: è sufficiente essere vigilanti e sapere quali sono i confini che non possono essere violati. I temi più importanti, a proposito di confini invalicabili, sono l’obbedienza e la separazione tra foro interno e foro esterno.
Un adagio ripetuto, a proposito dell’obbedienza cristiana, a generazioni di novizi/e e seminaristi afferma che «il superiore può sbagliare nel dare un ordine, ma chi obbedisce non sbaglia». Esiste però un limite preciso: quando il superiore comanda qualcosa che va contro la legge divina o ecclesiastica, anche in cose minime, non è più interprete della volontà di Dio. Quale che sia la cosa richiesta, chi obbedisce deve giudicare se è o non è conforme alla legge divina; perciò, l’obbedienza non è mai automatica e implica la partecipazione dell’intelligenza di colui che obbedisce. Perciò l’obbedienza religiosa non è mai «cieca e assoluta», ma si rivolge a una coscienza vigile e responsabile: richiede la sottomissione della volontà, non dell’intelligenza. Infatti, si può obbedire anche se si comprende che il superiore sta sbagliando da un punto di vista pratico, ma non si è obbligati a credere che l’errore non sia tale. L’obbedienza cristiana è filiale, non servile; va vissuta in modo responsoriale, non legalistico; deve condurre alla libertà dei figli di Dio.
La Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica del 2008, ha pubblicato l’Istruzione Il servizio dell’autorità e l’obbedienza. Faciem tuam, Domine, requiram, che sembra quasi rispondere puntualmente a tante situazioni di abuso descritte in letteratura, ed è probabile che sia così: la Congregazione è certamente a conoscenza di eventi che hanno sollecitato il suo intervento per correggere errori nell’esercizio del potere all’interno delle comunità religiose. Nel mio libro sull’abuso spirituale ho dedicato un capitolo a commentare numerosi passaggi dell’istruzione.
Si dice che la distinzione tra «foro esterno» e «foro interno» sia il concetto più odiato dai superiori-guru. Infatti, è tipico di chi commette abusi spirituali utilizzare le confidenze più intime delle sue vittime per poi manipolarle a proprio piacimento. Per questo la Chiesa cerca di tenere distinti e separati il più possibile gli ambiti chiamati «foro interno» e «foro esterno».
Questa distinzione è necessaria per difendere due principi irrinunciabili. Il primo è sancito dal can. 220 del Codice: «Non è lecito ad alcuno […] violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità». L’altro riguarda il sacramento della penitenza: il can. 983 §1 afferma «Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto, non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa». Il can. 984 §1 aggiunge: «È affatto proibito al confessore far uso delle conoscenze acquisite dalla confessione con aggravio del penitente, anche escluso qualsiasi pericolo di rivelazione».
Invece il tipico «superiore-guru» gestisce tutto in una persona: nel foro esterno decide le funzioni, i posti, il lavoro, gli orari, la remunerazione, ecc.; nel foro interno fonda le sue decisioni su pretese illuminazioni spirituali, ma in realtà soprattutto sui suoi bisogni – consapevoli o no – e su quanto ha saputo delle relazioni, del passato, dei desideri umani e spirituali di chi è affidato alla sua guida. Perciò sono abusanti comunità e leader che non rispettano la separazione tra foro interno ed esterno.
Il maestro o la maestra del noviziato ricopre un ruolo molto delicato perché ha due funzioni: di formazione e di accompagnamento. La prima non ammette eccezioni, mentre la seconda può essere affidata a qualcun altro se l’accompagnato/a non riesce a entrare in sintonia con lui o lei. Ci sono vari motivi e circostanze che motivano questa concentrazione di funzioni in una sola persona: quando entra in monastero il/la giovane non conosce nessuno; perciò, è l’istituzione che provvede a fornire una guida; il/la maestro/a non si nomina da solo/a ma è nominato/a. Soprattutto, il noviziato ha una durata limitata nel tempo: uno o al massimo due anni. Tuttavia, gli abusi sono possibili e bisogna vigilare perché non accadano.
Esempi di abusi
a)Comunità invischiate. Sono quelle comunità dove esiste un gruppo molto coeso per età, nazionalità o altro che di fatto è la vera autorità: perfino il superiore può essere abusato da questo gruppo, tanto più i nuovi membri e quelli che non fanno parte del «gruppo degli eletti». Dove agiscono poteri non regolati dal diritto c’è sempre pericolo di abuso.
b)Fondatori e fondatrici. Il fondatore o la fondatrice diventa facilmente un’autorità che non ha alcun contropotere che possa limitarla o correggerla almeno fino a quando non vengono approvati gli statuti e i regolamenti, ma spesso per tutta la vita. L’autorevolezza di cui gode fa sì che i nuovi entrati si consegnino, cioè raccontino tutto di sé nella speranza di trovare qualcuno che li aiuti a capirsi e a trovare la loro strada, ma esponendosi così al rischio di essere usati e manipolati in seguito per fini tutt’altro che nobili, rimanendo a lungo o per sempre in una sorta di «minorità» né francescana né evangelica.
c)Superiori perfezionisti. Ci sono formatori che prendono sul serio l’appartenenza agli «istituti di perfezione» e chiedono obbedienza totale su tutto, quasi che il modo di piegare il tovagliolo abbia la stessa importanza del modo di pregare o di vivere le relazioni fraterne e sia comandato dalla stessa autorità divina. Le norme hanno origine, importanza e valori diversi: probabilmente nessuno contesta questo principio, in teoria, ma in pratica le richieste di uniformare tutto il proprio comportamento a norme minuziose possono diventare asfissianti.
d)Superiori «ci penso io». Ad esempio, il rettore del seminario che vuol fare il padre spirituale di alcuni seminaristi (per il Diritto Canonico è cosa proibitissima); o la superiora tanto materna che vuole raccogliere tutte le confidenze delle sue suore (per aiutarle, si capisce). Tutti i superiori che vanno oltre i confini assegnati al loro ruolo, anche se animati da buone intenzioni.
Nel Codice di Diritto Canonico c’è tutta una serie di norme che assicura la più ampia facoltà di scegliere il proprio confessore e direttore spirituale e nello stesso tempo impedisce a coloro che hanno giurisdizione sul foro esterno di averne anche sul foro interno delle persone loro affidate. L’apertura al superiore è possibile, la confidenza è raccomandata, a condizione che sia realmente libera e spontanea. Libertà di scegliere significa anche libertà di lasciare sia nel sacramento della penitenza come nella direzione di coscienza: nessuno può essere obbligato a restare con un direttore spirituale che non gli vada bene. Quanto alla libertà di apertura, si riferisce sia alla persona sia a ciò che si sceglierà di dire o di tacere.
È o non è abuso?
Nella vita comunitaria ci possono essere situazioni difficili e/o conflittuali che possono far soffrire anche molto, ma non tutte sono abusi.
Non è abuso quando la persona che ha la responsabilità di prendere l’ultima decisione usa il suo miglior giudizio e va contro l’opinione di altri, mentre è abuso se l’opinione contraria di qualcuno è usata per svalutare la spiritualità altrui. Non è abuso quando un cristiano (che sia un superiore o no) rimprovera un altro cristiano per un peccato, una scorrettezza o anche un errore in buona fede che deve essere corretto. Può essere abuso se arriva a denigrare, far vergognare o screditare, anziché risanare, salvare e ripristinare.
Non è abuso dissentire in pubblico o in privato in materia dottrinale o su altri argomenti; bisogna però ricordare di mantenere il rispetto e non sminuire o attaccare le persone. Un leader non è automaticamente un abusatore solo perché è forte e deciso. Non è abuso mantenere determinati standard di condotta di gruppo (come, per esempio, un certo modo di vestire). Diventa abuso quando gli altri sono spiritualmente degradati o svergognati perché non hanno le stesse opinioni. Parafrasando uno slogan televisivo di molti anni fa, potremmo dire dell’abuso spirituale: se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti farà del male.
GIORGIO RONZONI