Gellini Anna Maria
Io voglio andare
2023/7, p. 36
Davide Delbarba, autore del libro, è un religioso dei Fratelli della Sacra Famiglia di Belley, congregazione approvata da papa Gregorio XVI nel 1841, fondata da Gabriele Taborin, proclamato venerabile nel 1991 da papa Giovanni Paolo II. Fratel Davide ha festeggiato i suoi 60 anni di professione il 1° maggio 2022. Il libro è nato durante l’anno della pandemia e ci offre una «storia di salvezza che il Signore ha scritto con l’alfabeto della sua vita» .

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Davide Delbarba Io voglio andare Leggimi Edizioni, Vignolo (CN) 2022, pp. 237, € 15,00
«Io voglio andare»
Davide Delbarba, autore del libro, è un religioso dei Fratelli della Sacra Famiglia di Belley, congregazione approvata da papa Gregorio XVI nel 1841, fondata da Gabriele Taborin, proclamato venerabile nel 1991 da papa Giovanni Paolo II.
Fratel Davide ha festeggiato i suoi 60 anni di professione il 1° maggio 2022. Insegnante elementare, di lingue e letterature straniere e di educazione religiosa, è stato missionario 10 anni in Messico e 16 anni nelle Filippine. In entrambi i paesi ha aperto scuole per ragazzi e per giovani.
Il dono di un’autobiografia
Il libro è nato durante l’anno della pandemia e ci offre una «storia di salvezza che il Signore ha scritto con l'alfabeto della sua vita». Leggerlo è davvero piacevole, coinvolgente, in tanti passaggi commovente, tanta è l’immediatezza e la freschezza del racconto. Si può individuare anche un valore pedagogico nei numerosi aspetti emergenti di amore, umiltà, determinazione, coraggio, passione e saggezza di fratel Davide. Piccole perle di saggezza sono anche le brevi frasi che fanno da sommario ad ogni capitolo. E, certamente non ultima qualità, l’autobiografia è una testimonianza di vita edificante: in ognuno dei 22 capitoli è rivelata, direttamente o indirettamente, l’azione della grazia di Dio.
Un esempio, estratto da una delle 237 pagine: «Nessuno, credo, riesce a vivere pienamente la vita sognata da giovane. A tutti manca sempre qualcosa. Ho anch'io i miei sogni frustrati e un sacco di traguardi mai raggiunti, occasioni di crescita perse o lasciate scivolare via per indolenza e poi quel senso di insoddisfazione e incompletezza che prende quando la quotidianità sembra fatta di niente. Benedico in questi momenti i miei vari sì detti e vissuti, le sfide accettate e la gioia di averle potute superare con l'aiuto di Qualcuno che ho sempre sentito accanto a me… L'unico fondamento immutabile della vita è solo Dio e il suo amore che continua ad attraversarmi non perché ho fatto tutto bene ma perché, come suo figlio, i miei limiti continuano a farmi provare il desiderio di Lui. “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”. Solo per scoprire che, alla fine, tutto è grazia! ».
Nel suo racconto fratel Davide parte dalle prime esperienze di famiglia, caratterizzate da quella civiltà di paese e di campagna, dove tutto era condiviso, persino un piatto di minestra per chi bussava alla porta della cascina di suo padre Domenico, conosciuto da tutti come Menec Gambarel, e della mamma Palmira che amava ripetere che in otto anni aveva avuto sette figli. E a Davide, nato nel 1945, «toccò il ruolo di spazza nido». Nella sua mente ritornano la messa prima delle 5,30 del mattino, le melodie intense, il canto gregoriano, i racconti della Grande Guerra… Erano gli anni in cui a scuola, dal best-seller «Cuore» si imparavano le virtù civili, «l’amore per la patria, il rispetto per le autorità e per i genitori, lo spirito di sacrificio, l’eroismo, la carità, la pietà, l’obbedienza…».
«Io voglio andare»
«Era davvero un giorno come tanti, i soliti gesti abituali, le lezioni scolastiche, i compiti a casa, i piccoli lavori in cascina. Quella quotidianità così familiare ero sicuro sarebbe continuata immutata per me»… Invece «da quel giorno la mia vita sarebbe cambiata radicalmente e per sempre. Una mattina di maggio la signorina Ernesta Vezzoli, come tutti chiamavano la maestra della quarta elementare sezione unica, ci fece cenno di stare buoni. Alla porta era comparso un signore vestito da prete, magro, dall'aspetto austero, una tonaca addosso. Mi fece sognare. Ci parlò di un posto lontano dove i ragazzi come noi studiavano sì, e pregavano anche, ma dove soprattutto si giocava e si potevano fare un sacco di cose belle. Sembrava quasi il paese dei balocchi. E poi mostrò foto di grandi cortili, campi da gioco, case di vacanza. Ce n'era abbastanza per fantasticare su un futuro pieno di fascino»… «Poi, per verificare se la sua altisonante descrizione aveva suscitato qualche riscontro in noi, il prete o il frate consegnò un foglietto sul quale ognuno poteva esprimere l'interesse o meno per la proposta. Senza ammiccamenti con nessuno dei coetanei e senza fare il conto con i miei genitori, vi scrissi di getto «Io voglio andare!» E sotto, il mio nome e cognome. Era la chiamata del Signore? Che ne potevo sapere io in fondo della vita e delle partenze che comporta? Di una vocazione e dei sacrifici che sollecita? E poi come può una chiamata così impegnativa, avvenire così nel bel mezzo di una quotidianità anonima, proprio lì, in una scuoletta elementare di paese?
Non mi si richiedeva di essere uno specialista di Dio per accogliere quell'invito inespresso, né mi toccò andare a chissà quale santuario, nemmeno a quello di Madonna della Neve di Adro che frequentavo spesso con mia madre. In quel momento mi era bastato avere gli occhi, la mente e soprattutto il cuore bene aperti».
… «Non ho ancora capito tutto dell’essenza della vita, ma continuo a credere, so in quale direzione andare e so che solo alla fine del viaggio tutto mi sarà chiaro. Questa ricostruzione autobiografica mi ha aiutato a far luce sui due giorni più importanti della mia vita: quello in cui sono nato e quello in cui ho capito il perché. “Io voglio andare” è ora il desiderio supremo della mia vita: stare sempre con il Signore».
ANNA MARIA GELLINI