E se per strada si incontrasse Dio…?
2023/7, p. 23
Il lessico della spiritualità dei giovani ha smarrito la parola Dio e ha trovato
quello di un’umanità che percorre la strada dell’interiorità, dell’introspezione, del silenzio.
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Testimoni
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VIAGGIO ALLA RICERCA DI SE STESSI
E se per strada si incontrasse Dio…?
Il lessico della spiritualità dei giovani ha smarrito la parola Dio e ha trovato quello di un’umanità che percorre la strada dell’interiorità, dell’introspezione, del silenzio.
Introduzione
L’allontanarsi dei giovani dalla Chiesa è un fenomeno talmente evidente che non vi è nemmeno bisogno di ricordarlo. Ma l’abbandono della comunità cristiana e della pratica religiosa non significa per le giovani generazioni approdo a indifferenza gaudente e superficiale. Proprio la lontananza da quella comunità cristiana che negli anni della fanciullezza e forse dell’adolescenza ha fornito risposte alle prime domande della vita fa sì che gli interrogativi si affaccino con maggiore forza, generino inquietudini e a volte un dolore profondo, generato dal senso di solitudine che i giovani sperimentano davanti al mistero dell’esistenza, dell’universo, del tempo. La secolarizzazione non ha decretato la fine delle religioni, ma, come fa notare Tomas Halik, ha prodotto la loro trasformazione; in molti casi la religione si è trasformata in spiritualità, in «una religiosità che si allontana dalla Chiesa».
Alla ricerca di un senso
I giovani si interrogano; le loro domande, ad esempio, riguardano la morte: «La domanda su che cosa ci sarà dopo la morte è assolutamente la domanda che mi faccio di più», dice un giovane. Perché nel mondo c’è tanto male? «Se c’è un Dio, come mai accadano delle cose terribili a delle persone che non hanno fatto assolutamente nulla?». E poi ci sono le domande che riguardano direttamente la propria vita. «Che futuro avrò»? – si chiede un giovane ventiduenne. «Che persona sarò? Chi sarò tra 5 -10 anni, domani? Troverò una svolta nella mia vita?». Su tutte, la domanda delle domande riguarda il senso della vita: «Mi chiedo se ci sia un senso a questa vita che stiamo vivendo e se sì, mi chiedo quale sia. Mi chiedo un po’ com’è che siamo arrivati a vivere in un mondo che mi sembra molto lontano da quella che è la nostra natura (…) dov’è che trovo il senso e il significato nella mia vita?». È l’esperienza del giovane protagonista del romanzo Tutto chiede salvezza, di Daniele Mencarelli: ciò che turba il suo equilibrio, fino al ricovero in un ospedale psichiatrico, è la domanda di salvezza. Il giovane protagonista ha passato i primi vent’anni a cercare le parole per dire lo struggimento che prova, senza riuscire a dargli un nome; ha trovato tutte le parole possibili, ma inutilmente. Allora ha iniziato di giorno in giorno a toglierne una, la meno necessaria, finché ne è rimasta una sola: salvezza. E così la spiega al medico che vorrebbe capire: «è tutto senza senso, e se ti metti a parla’ di senso ti guardano male, ma è sbagliato cerca’ un significato? Perché devo aver bisogno di un significato? Sennò come spieghi tutto, come spieghi la morte? Come se fa ad affrontare la morte di chi ami? Se è tutto senza senso non lo accetto, allora vojo morì». Sono queste alcune delle domande che in mille forme diverse i giovani si pongono oggi. Se la crisi della religione ha prodotto un esito, è quello di aver risvegliato le grandi domande della vita, che ora non trovano più la risposta rassicurante che un tempo il catechismo, il parroco o i genitori erano pronti a dare.
Le domande sospingono verso la ricerca; sono scomode, urgono nella coscienza, non lasciano tranquilli. Contribuiscono a svegliare un mondo interiore che talvolta sembrava essere assopito nella comodità di facili risposte. Molti percorsi spirituali hanno qui la loro origine: su interrogativi difficili, ai quali non si sa come rispondere.
Spiritualità è viaggio
Molti giovani definiscono la spiritualità come un viaggio alla ricerca di se stessi. Nella molteplicità delle immagini con cui essi rappresentano la loro idea di spiritualità, colpisce il duplice carattere di queste immagini: una serie di esse ha un carattere dinamico: spiritualità è viaggio, salita, strada, viaggiare per conoscere, viaggiare come esperienza interiore: «Viaggiare… io penso che viaggiare potrebbe significare qualcosa di interiore nel senso… viaggiare dentro se stessi per scoprirsi… quindi di conseguenza scoprire la felicità!». Smarrito il senso della vita, è spesso smarrito anche quello della propria identità, del proprio futuro, del proprio percorso verso la felicità. Le esperienze spirituali dei giovani sono molto semplici: uno sguardo pacificante alla natura, l’esperienza della bellezza, un intenso legame di amicizia, meditare in silenzio. Il lessico della spiritualità dei giovani ha smarrito la parola Dio e ha trovato quello di un’umanità che percorre la strada dell’interiorità, dell’introspezione, del silenzio. È interessante ascoltare alcune definizioni che i giovani danno di spiritualità: «Essere nella natura, mi sembra una forma di preghiera e di ascolto proprio, ascolto del mondo interno e del mondo esterno, e profonda presenza, mi trasmette molta serenità». Un’altra giovane dice: «Essere spirituali penso significhi essere una persona che si fa delle domande, si impegna nella ricerca delle risposte, una persona curiosa di scoprire il senso che c’è nelle cose e di scoprire la bellezza che c’è nel mondo e negli altri. Penso che una persona spirituale sia una che lascia spazio a una serie di desideri che penso tutti abbiamo dentro». E ancora: «È entrare in comunione con ciò che ti circonda… È trovare gli stimoli, la felicità e la pace, la quiete dentro te stesso e non cercarla fuori». Per questo la spiritualità passa attraverso la capacità di introspezione; d’altra parte, se è un «viaggio alla ricerca di se stessi» non può che avere nella propria interiorità il suo luogo e nella capacità di introspezione la principale competenza.
Spiritualità è avere radici
Spiritualità è anche bisogno di stabilità: spiritualità è radici, centro, porto sicuro, equilibrio, pace interiore. Spiritualità cioè è stabilità, solidità, riferimento sereno.
Si potrebbe dire che i giovani interpretano la loro vita come un viaggio alla ricerca di un «dove» piantare le proprie radici; è domanda di stabilità, ma di una stabilità capace di integrare una componente di provvisorietà, di ulteriorità. Una stabilità inquieta, una ricerca di armonia e benessere, tensione verso una felicità soggettiva, identificata con uno stato interiore che tiene in armonia corpo, psiche, spiritualità, religione. Viaggio e radici: è un paradosso. Ma è un paradosso cristiano.
La spiritualità dunque, nella concezione che i giovani ne hanno, porta verso se stessi, verso la propria interiorità, ed è percepita come esperienza molto diversa da quella religiosa, che invece porta verso Dio, esterno a me, anzi, talvolta percepito come una presenza minacciosa, giudicante, garante di quelle regole che i giovani percepiscono come mortificanti del loro desiderio di vita e di libertà.
Esperienza spirituale sono anche le relazioni, così importanti nella vita dei giovani. Le relazioni hanno un valore spirituale. Quando sono stati invitati a dire quali sono le parole che associano a spiritualità, moltissimi hanno citato proprio la parola «relazione» nella molteplicità delle sue espressioni. Relazione fa rima con amicizia, condivisione, famiglia, amore. Allo stesso modo ciò che non è spirituale è ciò che interrompe la relazione: abbandono, conflitto, tradimento, incomprensione, soprattutto solitudine, cioè assenza di relazione.
Dalla spiritualità a (forse) Dio
Dalle testimonianze dei giovani emerge che è possibile una spiritualità senza Dio, come pura ricerca di sé, che può raggiungere grandi profondità.
E se un tempo non ancora concluso molte persone hanno vissuto e vivono un percorso che va da Dio alla spiritualità, come espressione del proprio modo personale di vivere dentro di sé e nelle proprie scelte il rapporto con Dio, oggi mi pare che il percorso abbia invertito direzione: dalla spiritualità a -forse- Dio. Non si arriva a Dio per la via di ciò che si è ricevuto dalla fede di chi ha creduto, ma vi si giunge per un’esplorazione personale che si compie dentro il proprio mondo interiore. Oggi i giovani che si accostano anche attraverso l’inquietudine di percorsi personali che non hanno nulla di scontato, pensano che la dimensione religiosa della vita sia spirituale, interiore e sentono l’aspetto istituzionale della fede come un inciampo che può avere anche l’esito di un rifiuto di tutto. Se per loro è possibile incontrare Dio, questo può accadere solo dentro percorsi ed esperienze interiori, che portino a scoprire che la Verità «abita nell’interiorità dell’uomo».
Da qui potranno scaturire percorsi di incontro con Dio originali, forse anche stravaganti, lontani da quelli canonici riconosciuti nell’ambito ecclesiale, ma personali e vivi. La condizione di incredulità, vera o presunta che sia, suscita domande, rende più acuti gli interrogativi in un’esperienza interiore spesso sofferta.
Si direbbe che anche questo prevalere della spiritualità, così intesa, sia uno dei frutti di quel cambiamento antropologico in atto, che porta le persone e soprattutto i giovani a dare una valutazione importante, quando non anche esasperata, del proprio sé, in una sorta di soggettivismo spiritualistico e narcisistico che può chiudere dentro di sé.
Una sensibilità che provoca
Qualcuno potrà obiettare che in questa impostazione vi sono molte ambiguità. Ed è vero che la ricerca di relazioni può essere l’esito della solitudine, a sua volta frutto dell’accentuazione del valore del soggetto; è vero che vi è un modo di intendere la spiritualità come esclusiva ricerca di se stessi, un modo per guardarsi allo specchio in un’auto contemplazione che non apre né al mondo, né agli altri né a Dio. Si tratta di obiezioni che hanno un fondamento importante; ma occorre non esasperare gli aspetti di limite della sensibilità di oggi che potrebbe portare a non vedere ciò che in essa vi è di positivo, fecondo, capace di innovare la sensibilità del passato. Anch’essa aveva le sue ambiguità; tutto ciò che è umano corre questo rischio. Ciò che può sciogliere le ambiguità è l’educazione, l’esperienza di chi ha già vissuto, si è già misurato con questo rischio e può accompagnare il percorso delle nuove generazioni; a condizione di non presumere di ricondurle dentro il proprio modo di pensare, di credere, di cercare il bene e la felicità. Accompagnare, da adulti sempre in ricerca, è diverso dal pretendere di insegnare, di trasmettere la propria visione e la propria sensibilità. Papa Francesco nella Christus vivit ha scritto che «noi adulti corriamo il rischio di fare una lista di disastri, di difetti della gioventù del nostro tempo» (n. 66). Dovremmo invece saper «individuare percorsi dove altri vedono solo muri, saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli» (CV 67). L’occhio allenato a vedere solo pericoli rischia di perdere la ricchezza che le nuove generazioni portano con sé, che è quello di sospingere tutti verso il futuro, verso l’inedito e l’inesplorato. Anche questa è un’esperienza spirituale in cui forse i giovani, con le loro provocazioni, possono fare da apripista nel cammino verso una fede, una spiritualità, un’umanità contemporanee. E questo sarà un guadagno per tutti.
In fondo, anche in questo modo i giovani esercitano la loro funzione innovativa, contribuiscono al ringiovanimento della Chiesa e la sospingono verso il futuro.
PAOLA BIGNARDI