Ferrari Matteo
«Come è possibile?»
2023/7, p. 18
Maria e le domande dei giovani

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Testimoni
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SENSO DI OGNI VOCAZIONE
«Come è possibile?»
Maria e le domande dei giovani
Lc 1,26-38
In Christus Vivit diversi numeri sono dedicati alla figura della giovane Maria (CV 43-48), «grande modello di una Chiesa giovane» (CV 43). Nell’annuncio dell’angelo a Maria abbiamo un esempio di racconto di vocazione nel Nuovo Testamento che mette in luce elementi fondamentali del discernimento vocazionale di un giovane. Per Maria la sua vocazione è un esodo verso la fecondità, verso la possibilità di «dare alla luce Dio» nella sua esistenza. Non è forse questo il senso di ogni vocazione? Quello di «dare alla luce Dio» nella nostra vita, attraverso un «esodo» da noi stessi? Così papa Francesco parla della vocazione di Maria: «Quando era molto giovane, ricevette l’annuncio dell’angelo e non rinunciò a fare domande (cf. Lc 1,34)» (CV 43). Cerchiamo allora di ripercorrere la vocazione di Maria, per lasciarci raccontare il suo discernimento vocazionale.
«In una città della Galilea»
All’inizio del racconto, Luca ci fornisce alcuni dati importanti. Ne prendiamo in considerazione alcuni. Innanzitutto è importante l’indicazione geografica. Rispetto al racconto precedente, l’annuncio a Zaccaria, c’è un cambiamento totale di contesto: non siamo più a Gerusalemme, ma in una cittadina sconosciuta della Galilea; non siamo più nel tempio, ma in una abitazione privata probabilmente modesta; l’angelo non si rivolge a un uomo della classe sacerdotale, ma a una giovanissima donna. Dio si manifesta per Maria non nei luoghi «predisposti», ma agisce con fantasia e libertà.
Nazareth è una località sconosciuta nell’Antico Testamento, non vi è accaduto nulla di importante o di rilevante nella storia. Un luogo quindi sconosciuto nel quale non ci si sarebbe aspettati nulla, tantomeno un fatto così grande e decisivo come quello che Luca sta raccontando. La città di Nazareth si trova in Galilea, la regione del nord del Paese nella quale si vive non meno che in Giudea l’osservanza della religione di Israele, anche se con una forte influenza della cultura greco-romana, soprattutto nelle grandi città. Maria quindi non è una giovane ragazza che vive in una terra semipagana, ma una figlia di Israele radicata nella fede dei padri, e forse proprio per questo capace di ascoltare la chiamata di Dio, di comprendere veramente le parole dell’angelo. Questo primo aspetto ci parla dell’importanza del contesto familiare, religioso, culturale, per poter ascoltare la chiamata di Dio. Quello che un giovane riceve nella sua formazione, nella sua crescita gli dà gli «strumenti» per ascoltare e discernere la parola di Dio nella sua vita.
Poi entra in scena la protagonista del racconto, Maria: «una vergine, promessa sposa a un uomo della casa di Davide». Il racconto ancora prima di dire il nome della persona è interessato alla sua condizione di vergine e di promessa sposa. Maria ha superato i dodici anni, cioè vive quella fase della vita durante la quale una ragazza della sua epoca poteva essere promessa sposa a un uomo, senza tuttavia andare a vivere con il futuro marito. Era quindi in una situazione nella quale non è possibile avere un figlio. Con la cugina Elisabetta Maria condivide questa situazione: Elisabetta non può avere un figlio perché è sterile e ormai troppo avanzata in età; Maria non può concepire perché non vive ancora con il suo promesso sposo e non ha avuto con lui rapporti sessuali. Maria non potrebbe essere feconda secondo le normali leggi della natura, fondandosi unicamente sulle sole possibilità umane.
Maria potrebbe avere figli, potrebbe avere una vita feconda, ma la vera fecondità della sua vita dipende dalla sua risposta alla parola che Dio le rivolge attraverso l’angelo Gabriele: la vocazione è la strada della nostra fecondità. Maria ci dice che ci sono situazioni della vita nella quali la fecondità è questione di scelta e di ascolto disponibile della parola di Dio. Ci sono delle situazioni di infecondità, per uscire dalle quali occorre la nostra risposta alla parola del Signore che ci chiama. Certo Dio fa il primo passo, viene incontro a Maria con il suo messaggero; tuttavia occorre che Maria risponda alla sua Parola, a quella Parola unica e personale che il Signore rivolge alla sua esistenza. Maria non è sterile: potrebbe seguire altre vie per generare, potrebbe seguire la via normale della procreazione, assecondare i suoi progetti e quelli di Giuseppe suo promesso sposo. Maria non ha davanti a sé una strada chiusa, come la condizione di sterilità, ma più strade: deve dare una risposta, deve fare una scelta. Rispondere alla propria vocazione non significa avere una sola possibilità nella vita, ma fare una scelta. Nella vita di Maria c’è già un «progetto»: è promessa sposa di Giuseppe, umanamente il suo futuro è già tracciato. Dio la raggiunge proprio nel suo progetto e le chiede di «trasfigurarlo» alla luce della sua Parola. Qui emerge chiaramente che questo racconto è un racconto di «vocazione». La vocazione è proprio questo: fare entrare Dio nei nostri progetti, rispondere a quella Parola che egli rivolge alla nostra esistenza per renderla feconda.
«Entrando da lei»: vocazione come dialogo
Tra Maria e l’angelo si svolge un dialogo in tre tappe, ognuna segnata da una parola del messaggero divino e da una reazione/risposta della vergine. Le tre tappe rispecchiano la dinamica della vocazione. È importante sottolineare che si tratta di un dialogo. La chiamata di Dio per la vita di Maria non è una imposizione, non è nemmeno un destino ineluttabile, come spesso si pensa quando si parla di vocazione. Sovente, infatti, si usa l’espressione «avere la vocazione». Qui la vocazione è un dialogo tra Dio e Maria, potremmo dire, il frutto di tale dialogo. La vocazione è quindi fatta da una proposta divina e una risposta umana, è una interazione tra queste due «parole»: Parola divina e parola umana si incontrano. Per poter dare una risposta a Dio che ci chiama, dobbiamo entrare in questo dialogo con lui nell’ascolto e nella preghiera. Infatti, senza ascolto e senza preghiera non ci può essere autentico discernimento vocazionale. Perché ci sia discernimento occorre insegnare ad ascoltare e a pregare.
«Rimase turbata»
Nel primo movimento (Lc 1,28-29), nel quale emerge che l’iniziativa è di Dio - è Gabriele ad andare da Maria -, l’angelo si rivolge a Maria con un saluto, che potrebbe avere semplicemente il valore del saluto comune. Ma qui l’invito a gioire (chaire) potrebbe indicare molto di più; potrebbe costituire un invito rivolto a Maria a riconoscere le cose grandi che Dio vuole operare nella sua esistenza, a scoprire con gioia la salvezza operata da Dio. Per Maria la vocazione significa innanzitutto scoprire le cose grandi che Dio vuole operare nella sua vita, espresse con il termine kecharitomene, «tu che hai ricevuto grazia». Questo termine indica appunto il favore con cui Dio sta colmando la vita di Maria, il suo dono. Per Maria, come per ogni giovane, la vocazione consiste quindi nel riconoscere il dono di Dio nella propria esistenza.
In questa prima parte del dialogo Maria non viene chiamata con il suo nome proprio, ma semplicemente con questo participio kecharitomene. È quasi come se fosse questo per l’angelo il suo vero nome: il nome di Maria, così come quello di ogni uomo e donna, è il dono che Dio ha posto nella sua esistenza. La vocazione consiste nella scoperta o nella riscoperta del proprio vero nome. Maria non è chiamata a partire dalle proprie doti, dalla sua posizione sociale ed economica, dalla sua funzione religiosa, come avviene per Zaccaria. Maria non ha «titoli» da vantare, non è chiamata in base alle doti personali, ma unicamente per il dono che Dio pone nella sua vita. La scelta di Dio, che in fondo indica il suo amore e la sua elezione, non si basa su criteri umani o su meriti, ma unicamente sul suo amore e sulla nostra capacità di accoglienza.
Infine l’angelo si rivolge a Maria con l’espressione più tipica di ogni vocazione biblica: «il Signore è con te». Per la Bibbia questa è l’unica certezza del credente (cf. Es 3,12). La fede, la risposta alla Parola che Dio rivolge alla nostra vita, non è per nulla un’assicurazione per una vita spensierata e felice. C’è solo una certezza: l’assistenza e la presenza di Dio. Dio non ti mette al riparo dalle difficoltà, ma è con te per attraversarle. Ciò che sostiene la vocazione è saper percepire la presenza di Dio al nostro fianco, soprattutto quando ci è chiesto di attraversare le difficoltà, le incomprensioni e perfino le contrapposizioni che possono nascere dalla fedeltà alla sua Parola, la risposta alla nostra vocazione.
L’invito a rallegrarsi e a gioire per il dono di Dio non è quindi una «assicurazione sulla vita». Anzi l’ultima parola del primo intervento dell’angelo è quasi «una messa in guardia» circa le difficoltà che immancabilmente la scelta di Dio e di obbedire alla sua Parola mette davanti ai passi del chiamato. Per chi conosce la Bibbia, come Maria, donna ebrea di una terra profondamente radicata nella tradizione dei padri, l’espressione «io sarò con te», è quasi sinonimo di «preparati alla lotta». Per questo è così importante l’aspetto che sottolineavamo in precedenza circa il radicamento della Galilea nella tradizione ebraica, perché solo chi conosce la Scrittura, sa accogliere la Parola di Dio per la sua vita. Certo Dio, nella sua libertà, può scegliere anche altre vie. Tuttavia, la via ordinaria per riconoscere la Parola che Dio ci rivolge è la lettura e la conoscenza delle Scritture.
Dopo le prime parole dell’angelo abbiamo la prima reazione di Maria: una domanda «silenziosa». Maria è «scossa» dalle parole di Gabriele. In questo primo movimento Maria non dice nulla al messaggero di Dio. Il testo dice che Maria è «turbata». Ma il verbo greco potrebbe indicare quasi un movimento fisico. Maria è scossa, la sua vita «ribaltata». È la prima conseguenza della parola che Dio ci rivolge: ci scuote dai nostri progetti, getta all’aria le nostre certezze. Pensiamo ad Abramo nella Genesi. Quando Dio lo chiama gli chiede di «lasciare» tutto, la terra, la casa di suo padre… (cf. Gn 12,1). La vocazione anche per Maria, così come per ogni giovane chiamato, è uno sconvolgimento, qualcosa che ci risveglia e ci rimette in cammino: il cammino «serio» della vita. L’atteggiamento di Maria non è passivo: si interroga (doalogizomai) circa il contenuto del saluto dell’angelo. Il verbo utilizzato significa «riflettere valutando», «ponderare». È come se Maria avesse un dialogo interiore per valutare le parole dell’angelo. Maria ci appare quindi come una figura molto umana che, di fronte alla Parola divina che sconvolge la sua esistenza, è chiamata a fare un discernimento. Dio vuole la risposta di uomini e donne liberi, che liberamente e per amore rispondono alla sua Parola. Comincia ad emergere l’importanza delle domande nel cammino di discernimento vocazionale.
«Come avverrà questo?»
Dopo la prima reazione di Maria, troviamo la seconda parola dell’angelo (Lc 1,30-34). Gabriele interviene, utilizzando ancora una volta un’espressione tipica delle vocazioni bibliche: «non temere». Nella Genesi troviamo più volte questa espressione rivolta ai patriarchi (cf. Gn 15,1; 21,17; 26,24; 35,17; 46,3). Dio invita chi è chiamato a «non temere», a non avere paura di percorrere la strada della sua Parola. In fondo si tratta di un invito a non decidere in base alle sole proprie forze. Se guardiamo unicamente alle nostre capacità, alla nostra forza, nelle nostre valutazioni non può che emergere la paura, l’esitazione a rispondere positivamente alla chiamata di Dio. L’angelo invita Maria ad avere come «criterio di valutazione» – potrebbe essere questo il senso delle parole di Gabriele – non le proprie capacità vere o presunte, ma il dono di Dio, la forza della sua Parola.
Il secondo intervento dell’angelo è dunque un invito rivolto a Maria a cambiare i criteri del suo sguardo, a leggere la storia con gli occhi di Dio, a non valutare tutto a partire dal suo punto di vista ma da quello di Dio. I versetti che seguono (Lc 1,31-33) non sono altro che la storia vista con gli occhi di Dio. L’angelo mostra a Maria quello che Dio vede nella storia e che lei forse non riesce ancora a vedere. L’angelo mostra a Maria ciò che è umanamente impossibile nella sua vita: avere un figlio mentre è vergine. Proprio questo susciterà la reazione di Maria. Ma poi tutto il testo parla del figlio, che lei chiamerà Gesù. Parlando di Gesù l’angelo dice che sarà grande, chiamato Figlio dell’Altissimo, gli sarà dato il trono di Davide e regnerà per sempre. Umanamente sono «parole» impossibili. Come può verificarsi che il figlio di una giovane donna della Galilea incarni tutto ciò che l’angelo dice di lui? Chi legge questo testo, conoscendo la prosecuzione della narrazione evangelica, sa bene che le parole di Gabriele umanamente non si realizzeranno nella vita di Gesù: egli non sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, non sarà grande, non regnerà su Giacobbe. Eppure, secondo lo sguardo di Dio, le parole dell’angelo sono vere e propongono a Maria un’altra lettura della storia. Secondo lo sguardo di Dio nella vita di Gesù si manifesterà veramente il senso dell’essere Figlio dell’Altissimo, che cosa sia la vera grandezza, il rifiorire della promessa fatta a Davide. A Maria, come a ogni chiamato, Dio chiede di guardare la storia con occhi differenti, per sapervi scorgere l’invisibile. In fondo la vocazione è anche questo: saper vedere ciò che è invisibile agli occhi; vedere ciò che noi non vediamo, ma che Dio vede, conosce e ama nella nostra vita.
A questo punto abbiamo la seconda reazione di Maria (Lc 1,34). Per la prima volta Maria parla e pone una domanda esplicita. La prima parola di Maria è un’obiezione, che nasce dal fatto che ciò che l’angelo ha detto non è possibile, non è «visibile» nella sua esistenza. Nei racconti di vocazione le «obiezioni» sono un elemento molto importante. Questa giovane donna oppone «resistenza» alla Parola con cui Dio sconvolge la sua vita e pretende di mostrarle un punto di vista completamente nuovo sulla sua storia personale e su quella del suo popolo. L’elemento delle obiezioni caratterizza gran parte delle vocazioni bibliche (cf. Gdc 6,15; Ger 1,6; Is 6,1-13), ma in modo particolare quella di Mosè. In un racconto di vocazione le obiezioni sono un elemento di grande importanza. A questo proposito scrive Jean-Louis Ska: «Il perno di un racconto di vocazione è l’obiezione. (…) Nell’Antico Testamento, questa obiezione è l’elemento che permette di distinguere una vocazione autentica da quelle che non lo sono». Anche nella vocazione di Maria è così: l’obiezione è ciò che da una parte rende Maria molto vicina a noi, dall’altra ciò che attesta l’autenticità della sua chiamata. Una risposta alla chiamata di Dio senza resistenza, senza domande e obiezioni, non è un’autentica risposta. Se non ci sono resistenze, quella che noi crediamo adesione alla parola di Dio, in realtà è solamente la proiezione delle nostre parole, dei nostri progetti.
Mosè aveva detto al Signore: «come è possibile, non so parlare» (cf. Es 4,10). Maria obietta: «come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Entrambi obiettano a partire da loro stessi, dalle loro possibilità. Maria riconosce che nella condizione in cui si trova le parole dell’angelo sono irrealizzabili, impossibili. Se Maria guarda la sua vita con i suoi occhi, tutto ciò che ha ascoltato certamente non potrà realizzarsi. L’obiezione di Maria indica «una fede che interroga», che fa domande, che cerca. La risposta alla chiamata di Dio piena, come sarà quella di Maria, non è in contrasto con una ricerca profonda, con lo spazio lasciato alle nostre esitazioni e alle nostre domande. La fede autentica non è quella che non conosce il «dubbio».
«Avvenga per me secondo la tua parola»
Infine, abbiamo il terzo movimento del dialogo (Lc 1,35-38). All’obiezione di Maria l’angelo risponde «spostando» la sua attenzione da se stessa a Dio. È un «decentramento» da sé la vocazione! A Maria l’angelo dice: «lo Spirito santo scenderà su di te». C’è un’opera «interiore» di Dio nella vita di Maria che non cancella ciò che Maria è, ma la rende capace di vedere e di compiere l’opera di Dio. La potenza dell’Altissimo coprirà Maria con la sua «ombra». Non si tratta tanto di un’allusione al concepimento verginale, quanto all’accompagnamento di Dio in ciò che Maria vivrà. Il salmista prega: «Custodiscimi come pupilla degli occhi, all’ombra delle tue ali nascondimi» (Sal 17,8). L’ombra, quindi, indica dapprima la protezione di Dio lungo il cammino. Pensiamo a quanto sia importante, soprattutto in un luogo caldo e desertico, l’ombra per un viandante. La vocazione per Maria è come un esodo personale dal proprio io, allo sguardo di Dio. La vocazione è un decentramento da sé, confidando nell’accompagnamento di Dio, che ci copre con la sua ombra e ci dona il suo ristoro e la sua consolazione nella prova.
Grazie a questa azione di Dio, in Maria sarà realizzabile la seconda parola dell’angelo: «perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio». Guardando la storia con occhi umani nel cuore di Maria nasce la domanda «come è possibile?», ma guardandola con gli occhi di Dio, allora l’annuncio di Gabriele è realtà e può essere accolto nella vita di Maria. Se noi guardiamo la vita di Gesù con occhi umani, come fare a comprendere che egli è santo e Figlio di Dio? Solo perché la potenza di Dio copre Maria come ombra, colui che è generato in lei può essere conosciuto come santo e Figlio di Dio. Se un giovane guarda la sua vita con i propri occhi, come è possibile scorgervi la grandezza che ci vede Dio. È la potenza di Dio che copre la nostra vita come ombra che rende possibili le cose grandi alle quali il Signore ci chiama.
A questo punto l’angelo presenta a Maria un segno: la sterile ha concepito un figlio. Il messaggero del Signore mostra come la parola di Dio sia «affidabile» e capace di realizzare ciò che è impossibile: «nulla è impossibile a Dio». È un ulteriore elemento che attesta come la vocazione di Maria sia messa accanto a tutte le grandi chiamate del Primo Testamento, in particolare a quella di Mosè (cf. Es 3,11-12). Anche Maria, in fondo, potrebbe dire come Mosè «chi sono io?». L’angelo le risponde con «il segno» di Elisabetta, una donna sterile che genera un figlio. I «segni» nel cammino di discernimento vocazionale sono importanti: è necessario saper leggere la nostra vita, guidare un giovane a saper guardare la propria esistenza per scorgere i segni di Dio, ciò verso cui il Signore lo conduce.
A questo punto abbiamo la risposta di Maria. È il punto di arrivo di tutto il brano. Occorre il «sì» di Maria. Maria si dichiara «serva», pronta a rendere la sua vita spazio fecondo per il compimento della volontà di Dio. Maria dichiara: «avvenga per me – quindi anche “in mio favore” – la tua parola». Il «sì» di Maria consiste nell’acconsentire che la parola/azione (rema) di Dio prenda carne in lei. Questo il senso della vocazione: lasciare che la Parola/azione di Dio prenda carne nella nostra esistenza. La vita di Maria diventa realizzazione della Parola del Signore. A proposito del «sì» di Maria, papa Francesco scrive: «È stato il “sì” di chi vuole coinvolgersi e rischiare, di chi vuole scommettere tutto, senza altra garanzia che la certezza di sapere di essere portatrice di una promessa» (CV 44).
Conclusione
Nella vocazione di Maria noi troviamo gli elementi fondamentali di ogni vocazione. Innanzitutto, questo testo ci dice che la fecondità nasce dall’ascolto e questo non è vero solo per Maria ma per ogni cristiano, per ogni giovane chiamato a discernere il sogno di Dio per la sua vita. Una vita senza ascolto o è una vita sterile o è una vita che segue i propri progetti o le attese altrui, senza entrare in dialogo con la parola di Dio.
Tuttavia l’ascolto di Maria non è un ascolto «ingenuo» e «passivo», ma «intelligente» e «attivo». È questo l’ascolto che Dio si attende da noi: ci chiede di essere intelligenti e attivi. Egli non ha paura delle nostre domande, dei nostri dubbi. Anzi, Dio si attende le nostre resistenze, le nostre obiezioni. Da Dio noi impariamo a non aver paura delle domande dei giovani: una «Chiesa giovane» è una Chiesa che non teme le domande dei giovani. Scrive papa Francesco: «Quando si tratta di discernere la propria vocazione, è necessario porsi varie domande. (…) Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?”. (…) Tu sei per Dio, senza dubbio. Ma Lui ha voluto che tu sia anche per gli altri, e ha posto in te molte qualità, inclinazioni, doni e carismi che non sono per te, ma per gli altri» (CV 285-286). E ancora, rivolgendosi a chi accompagna i giovani nel discernimento vocazionale, il papa afferma: «per accompagnare gli altri in questo cammino, è necessario anzitutto che tu sia ben esercitato a percorrerlo in prima persona. Maria lo ha fatto, affrontando le proprie domande e le proprie difficoltà quando era molto giovane. Possa ella rinnovare la tua giovinezza con la forza della sua preghiera e accompagnarti sempre con la sua presenza di Madre» (CV 298).
MATTEO FERRARI, monaco camaldolese