Gellini Anna Maria a cura
«Ravviva il carisma di Dio che è in te»
2023/7, p. 7
Dal 24 al 26 maggio si è svolta alla Fraterna Domus di Sacrofano (Roma) la 99a assemblea dell’Unione dei Superiori Generali, per riflettere sul carisma della vita consacrata al servizio della Chiesa e del mondo, nel tempo storico attuale.

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99ª ASSEMBLEA USG
«Ravviva il carisma di Dio che è in te»
Dal 24 al 26 maggio si è svolta alla Fraterna Domus di Sacrofano (Roma) la 99a assemblea dell'Unione dei Superiori Generali, per riflettere sul carisma della vita consacrata al servizio della Chiesa e del mondo, nel tempo storico attuale.
Il tema dell'incontro è stato preso dalla 2 Lettera di San Paolo apostolo a Timoteo (1,6) «Ravviva il carisma di Dio che è in te!»
Giornate di riflessione e condivisione hanno coinvolto tutti i partecipanti, (canonici regolari, monaci, ordini mendicanti, chierici regolari, congregazioni clericali, istituti di fratelli, società di vita apostolica), in una lettura ampia ed approfondita del contesto sociale ed ecclesiale in cui è necessaria e urgente una rinnovata consapevolezza dei carismi della vita consacrata.
Chiamati alla conversione e alla maturazione
L’intervento del superiore generale dei missionari comboniani, padre Tesfaye Tadesse Gebresilasie, ha messo in evidenza che «per la credibilità della nostra testimonianza di consacrati, siamo chiamati a vivere la nostra fede e la nostra consacrazione in un mondo complesso che esige una continua chiamata alla conversione e alla maturazione. Siamo chiamati a prevenire e anche a gestire situazioni difficili; per questo abbiamo bisogno non solo del Vangelo, ma anche di indicazioni pratiche come i codici di condotta, di programmi per affrontare problemi di abuso a livello di relazioni umane e affettive, di abuso di potere e della propria posizione di servizio e di responsabilità, di cattiva amministrazione delle risorse, di dipendenze di vario tipo, come alcol, droga...».
Per ravvivare il carisma della vita consacrata, p. Tesfaye ha invitato a «vivere nella creatività i nostri servizi ai fratelli e alle sorelle, nel contesto di oggi, vivendo fra loro e con loro»; a riqualificare il nostro servizio nella complementarietà dei ministeri; a servire insieme dentro la società, assumendo impegni per la trasformazione sociale in collaborazione con la società, con diversi gruppi cristiani, con altre religioni; a «impegnarsi per la giustizia e la pace, per la Creazione, per la fraternità e il cammino di integrazione dei migranti e degli sfollati; a portare avanti servizi pastorali e sociali fra alcuni gruppi di popolazioni che sono al margine della società per motivi storici e sociali»; infine, ha dimostrato necessario «prestare servizio come persone consacrate con una preparazione professionale nell’ambito educativo, dell’istruzione, della sanità, per formare giornalisti, avvocati, scienziati…».
Il carisma vive in noi
«I nostri carismi sono realtà dinamiche e vive che trovano vita, energia e passione in una risposta alle circostanze e alle esperienze del nostro tempo», ha affermato fr. Mark Hilton, superiore generale dei Fratelli del Sacro Cuore. Ha poi aggiunto che «un carisma non può essere imbottigliato o vissuto solo in documenti scritti. Vive in noi, nelle persone infiammate dal carisma» del proprio fondatore.
«La prima sfida del carisma è immergersi profondamente nell’esperienza del fondatore. Gli enigmi e le domande della sua epoca si ripetono oggi. Le nostre difficoltà non sono uniche». «Siamo chiamati ad una disponibilità permanente all’ascolto dello Spirito, dei nostri fratelli, dei nostri collaboratori e di coloro che serviamo», ha precisato fr. Hilton, portando all’assemblea l’esempio della propria famiglia religiosa. Dobbiamo «alimentare le nostre famiglie carismatiche, o almeno la condivisione attiva e intenzionale del carisma con tutti e ciò non accade per osmosi o nella speranza che altri capiscano. Il nostro fondatore ha attirato nel suo lavoro laici, commercianti, catechisti, pastori, funzionari locali e altre persone attratte dalla sua visione e dall’importanza dell’azione per la quale ha chiamato».
Rinnovare il carisma
compito urgente
«Spesso vogliamo avere vocazioni senza accettare di generarle. Vogliamo membri delle nostre comunità più per sopravvivere che per trasmettere la vita. È come se non volessimo morire per i nostri figli, perdere la nostra vita per loro. È come se volessimo che le vocazioni vengano a dare la vita a noi, invece che dare noi la vita a loro»: questo l’ammonimento di padre Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense e vicepresidente dell’USG. Si tratta di una concezione «archivistica» del carisma, «come se le vocazioni dovessero venire per conservare un museo, un patrimonio, più che per trasmetterlo» ma «a Dio non importa lo spreco dei suoi beni, dell’eredità materiale». «Ciò che importa a Dio è il dono del suo amore di Padre e che noi torniamo ad attingere da Lui la sua grazia, anche se abbiamo perduto tutto il resto». «Un rinnovamento inizia dall’umiltà di accettare che a noi non è chiesto di più che di offrire un gesto semplice di fraterna comunione che si apre a Dio», mentre spesso, ha concluso l’abate, «abbiamo sprecato troppe energie e troppo tempo a pretendere che il rinnovamento dovesse venire da noi e non dallo Spirito Santo».
E ancora ha sottolineato che l’impegno a rinnovare la vita del fuoco del carisma di Dio è «un compito urgente oggi più che mai… Infatti, ovunque percepiamo che la vita di questo fuoco si sta come spegnendo, che sotto la cenere la brace si sta raffreddando». Facciamo nostre le domande che p. Lepori ha poi posto all’assemblea: «che ne è del soffio sulla brace che fu il Concilio Vaticano II, che ne è del soffio di san Paolo VI, di san Giovanni Paolo II, di Papa Benedetto XVI e ora di Francesco? Che ne è del soffio di grandi santi contemporanei, di tanti fondatori e fondatrici, di tanti martiri? O di tanti testimoni ecumenici, come il patriarca Atenagora, Frère Roger di Taizé, Matta el Meskin?»
Importante e non ultimo, il richiamo dell’abate a una rinnovata consapevolezza della nostra identità di consacrati. «La questione è essere coscienti del nostro carisma. Non tanto di quello che dobbiamo fare, ottenere, garantire. La vera domanda è qual è il dono di Dio che dobbiamo accogliere sempre di nuovo, che dobbiamo, appunto, ravvivare. Ravvivare non vuol dire andare a recuperare qualcosa in cantina, o in archivio, nei granai, nella cassaforte, in banca. Il dono si ravviva ravvivando il rapporto con il Donatore. Ravvivare il dono vuol dire aprire di nuovo le mani vuote davanti a un Padre buono che ci dà tutto; vuol dire domandare quello che Dio ci dona».
«Siamo chiamati a ricentrarci su ciò che è veramente essenziale nella vocazione: il carisma, non tanto o anzitutto quello che si deve fare o non fare, dire o non dire, perché allora quando si invecchia, quando si è pochi, si ha l’impressione di non poter più vivere la vocazione», ha aggiunto p. Lepori. «Invece no! Perché anche quando si è vecchi, quando si è pochi, si può sempre accogliere un dono, si può sempre avere una relazione confidente con il Padre e il Figlio, per accogliere lo Spirito. Anzi! Se non si accoglie il dono di Dio, è inutile essere giovani, è inutile essere tanti. Non si vive la vocazione quando non si accoglie il dono, il carisma».
«Se fossimo veramente interessati al carisma prima di tutto, faremmo attenzione, per esempio, alla qualità della preghiera, alla costanza nella preghiera, personale e comunitaria, oppure alla fedeltà alla meditazione della Parola di Dio. Ma anche, saremmo più attenti alla qualità della vita fraterna, perché il dono del carisma è un dono di comunione, è la comunione stessa fra di noi».
a cura di ANNA MARIA GELLINI