Restitutio al popolo di Dio latinoamericano e caraibico
2023/7, p. 1
«Ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti».
Proponiamo la prima parte dell’articolo di Rafael Luciani sull’attuale fase di ricezione del Concilio attraverso una lettura approfondita delle dinamiche sinodali.
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PROCESSI SINODALI
Restitutio al popolo di Dio
latinoamericano e caraibico
«Ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti».
Proponiamo la prima parte dell’articolo di Rafael Luciani sull’attuale fase di ricezione del Concilio attraverso una lettura approfondita delle dinamiche sinodali.
L'attuale fase di ricezione del Concilio è caratterizzata dalla maturazione di un modello di Chiesa di Chiese basato sulla pratica del sensus fidei. Alla luce di questa ecclesiologia, il Sinodo sulla sinodalità ha introdotto una nuova dinamica comunicativa chiamata restituzione. Questa consiste nel restituire a ciascuna porzione del popolo di Dio ciò che è stato ascoltato per raggiungere il consenso. In questo articolo analizziamo la sua novità, soprattutto le sue implicazioni per una Chiesa sinodale in cui «ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti».
1. Verso una nuova ecclesialità sinodale
La nostra epoca ecclesiale è testimone di una svolta ecclesiologica che sta emergendo alla luce della pratica della teologia del sensus fidei nelle Chiese locali. Da questa pratica sta emergendo un'ecclesialità sinodale. La consapevolezza di questa novità è stata espressa da voci latinoamericane e caraibiche, in particolare nella Sintesi della fase continentale del Sinodo sulla sinodalità in America Latina e nei Caraibi, quando sottolineano che,«in tutto il processo dell'Assemblea, sentiamo la fecondità reciproca e la tensione positiva tra ecclesialità sinodale e collegialità episcopale» (SFC ALyC 96). Possiamo affermare che siamo di fronte a un modo di procedere ecclesiale in cui il discernimento della gerarchia è legato all'attuazione di processi di consultazione e di ascolto di tutti i fedeli. Questo apre la strada alla costruzione delle decisioni pastorali da parte di tutti, in modo che la decisione della gerarchia sia espressione del sensus ecclesiae, e non di alcuni, perché «in un processo vissuto sinodalmente, l'elaborazione e la decisione da parte delle autorità competenti cresce in legittimità e favorisce una ricezione più positiva da parte della comunità» (SFC ALyC 96). Tuttavia, molte voci latinoamericane e caraibiche affermano che è necessario cercare un modo di articolare la collegialità episcopale e l'ecclesialità sinodale, che ci inviti a pensare a come integrare il processo di elaborazione e di decisione, perché «la dimensione sinodale della Chiesa deve esprimersi attraverso la realizzazione e il governo di processi di partecipazione e discernimento capaci di manifestare il dinamismo della comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali» (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 76. Sarà citato: CTI, Sinodalità)" (SFC ALyC 81).
Ciò presuppone di accogliere con fedeltà creativa il testo e lo spirito del concilio Vaticano II, secondo il quale l'esercizio episcopale del vescovo è concepito come voce della porzione del popolo di Dio – la diocesi – (LG 23) nella quale egli vive come testimone, custode e garante (DV 8). Il recupero di questa visione conciliare è un passo fondamentale per il rinnovamento del ministero gerarchico in una Chiesa sinodale, poiché collega la pratica del sensus fidei (LG 12) con l'esercizio episcopale. Ciò implicherebbe almeno due cose. Primo, che l'infallibilità magisteriale sia esercitata all'interno dell'infallibilità dell'intero popolo di Dio. In secondo luogo, che un vescovo che partecipa a un Sinodo o a un'Assemblea non lo faccia per esprimere la propria opinione individuale, ma come testimone e voce di un discernimento ecclesiale fatto sulla base di una consultazione nella sua diocesi. Questo quadro teologico e pastorale ha implicazioni per la governance e la responsabilità nella Chiesa, ma non è estraneo a ciò che il diritto canonico ci offre oggi. Come spiega il canonista Beal, il canone 369 riconosce che: «La porzione del popolo di Dio è primaria; sia logicamente che storicamente, precede il vescovo e il presbiterio. Questa porzione del popolo di Dio è affidata (concreditur) a un vescovo, cioè il vescovo è costituito in un rapporto fiduciario con la porzione del popolo di Dio, un rapporto che teologicamente e canonicamente si chiama pastorato. Il vescovo è obbligato, in virtù di questo rapporto fiduciario, ad agire sempre a favore della porzione di popolo di Dio che gli è stata affidata ed è quindi responsabile nei suoi confronti della sua pastorizia».
La ricezione di questa teologia è fondamentale. Infatti, le numerose voci consultate nel continente latinoamericano e caraibico hanno avvertito che «stiamo imparando che, se il ministero dei vescovi non è situato all'interno di un'ecclesialità sinodale, può impoverirsi non ricevendo i frutti di un ampio scambio e sentendosi minacciato come se la sinodalità fosse una democratizzazione che mette in discussione l'istituzione gerarchica della Chiesa» (SFC ALyC 96).
In un'ecclesialità sinodale, l'esercizio episcopale ha il suo inizio e il suo culmine in ogni portio Populi Dei – diocesi – e questo presuppone di pensare, in uno spirito di fedeltà creativa alla tradizione, a una nuova cultura ecclesiale in cui il consensus ecclesiae non si costruisca dall'alto, ma dal basso e in modo poliedrico che eviti ogni omogeneità; che non sia elaborato solo da alcuni, ma dall'interazione corresponsabile di tutti i fedeli; che non sia lineare, ma circolare e processuale; e che, nel ritornare alle Chiese locali attraverso la restituzione o la restituzione di ciò che è stato detto da tutto il popolo di Dio, siano pubblicamente riconosciute le voci dei fedeli, che hanno il diritto di verificare (accountability) ciò che è stato raccolto per discernerlo nuovamente fino a raggiungere il consensus omnium populo Dei.
In America Latina e nei Caraibi si riconosce che ciò non deve rimanere a livello di sviluppo teorico. La rilevanza di questo momento ecclesiale è tale che «l'emergere di una nuova ecclesialità sinodale ci pone di fronte alla sfida di immaginare nuove strutture. Alcune sono già sorte, come la Conferenza Ecclesiale per l'Amazzonia (CEAMA) e la prima Assemblea Ecclesiale dell'America Latina e dei Caraibi» (SFC ALyC 81). L'aspetto più rilevante di questa petizione è che è stata concepita all'interno di un'ecclesialità sinodale, in modo tale che «se il popolo di Dio non è costitutivo di un corpo che prende decisioni per la Chiesa nel suo insieme, nemmeno questo corpo è sinodale (Ceama-Repam)» (SFC ALyC 81). Tuttavia, questa richiesta non si limita a migliorare l'inclusione dei soggetti nelle strutture ecclesiali. L'intenzione è quella di cambiare i modi in cui la partecipazione di tutti alla vita e alla missione della Chiesa è concepita e realizzata in modo effettivo e non solo affettivo. Ciò implica, nello specifico, «il rinnovamento e la ricreazione di strutture a carattere deliberativo» (SFC ALyC 78, 79 e 100).
SFC ALyC 74 avverte che «troviamo persone e gruppi che vogliono separare il cambiamento di mentalità e la conversione personale dalla riforma delle strutture, così come c'è chi non vuole la riforma della Chiesa». Tuttavia, la conversione sinodale – sia personale che ecclesiale – presuppone sempre una riforma strutturale che renda attuabile la missione della Chiesa in ogni tempo e luogo, perché «a una Chiesa incarnata corrisponde un'evangelizzazione inculturata e inculturante della Chiesa come istituzione, nella sua organizzazione e nelle sue strutture» (SFC ALyC 55). Infatti, in America Latina, «le regioni consultate hanno affermato che la sinodalità richiede una conversione personale, comunitaria, ecclesiale e strutturale (Cono Sud), e quindi è urgente un cambiamento di mentalità e un cambiamento di strutture (Camex)» (SFC ALyC 73). Ciò è cruciale per l'approfondimento e la maturazione dell'ecclesialità sinodale che sta emergendo alla luce della sinodalità, perché «queste nuove strutture ci mettono di fronte a forme di organizzazione e di funzionamento che devono vedere come articolare il senso della fede di tutti i fedeli, l'autorità episcopale e il servizio della teologia, perché lo Spirito Santo parla attraverso tutto il popolo di Dio nel suo insieme e non solo attraverso alcuni (i vescovi) o uno solo (il vescovo di Roma, che ha il primato)» (SFC ALyC 81).
2. La novità della teologia del sensus fidei alla luce della sua pratica
Come espressione di una prima emergenza di ecclesialità sinodale, il Sinodo sulla sinodalità si è sviluppato in diverse fasi, come previsto dalla Costituzione apostolica Episcopalis Communio. La SFC ALyC 105 descrive il processo come segue: «stiamo attraversando un processo che parte dalle Chiese locali, si arricchisce nelle conferenze nazionali, raggiunge ora dimensioni continentali e nell'Assemblea sarà vissuto a livello di tutta la Chiesa». L'esperienza delle Chiese dell'America Latina e dei Caraibi ha permesso di constatare che «la Chiesa è oggi più che mai impegnata in un nuovo stile relazionale più contestualizzato, incarnato nella realtà, capace di ascoltare e far risuonare le diverse voci, e di posizionarsi per generare il necessario dialogo che favorisca l'incontro. A tal fine, ci sentiamo chiamati a generare autentiche dinamiche di ascolto, partecipazione, comunione, missione condivisa e corresponsabilità» (SFC ALyC 30).
L'esperienza di queste dinamiche comunicative rappresenta un'attuazione della teologia del sensus fidei che genera il collegamento di tutti i soggetti ecclesiali nel discernimento comunitario di ciò che lo Spirito chiede alla Chiesa oggi. Il testo della Gaudium et spes 11 è qui opportuno quando sottolinea che «il popolo di Dio, mosso dalla fede, che lo spinge a credere che è lo Spirito del Signore che lo guida, che riempie l'universo, cerca di discernere negli eventi, nelle richieste e nei desideri in cui condivide con i suoi contemporanei i veri segni della presenza o dei progetti di Dio». Da questo testo conciliare si può dedurre – come spiega Carlos Schickendantz –che, «Dio si comunica negli eventi-segno contemporanei. Attraverso i segni dei tempi rivela debolmente il suo volto, rivela il volto dell'essere umano e la sua dignità, e indica anche i modi in cui vuole guidare la sua Chiesa con il suo Spirito per offrire una testimonianza adeguata del vangelo nelle nuove circostanze storiche. Per questo motivo, nei segni che si manifestano nei processi storici – sempre poveri e ambigui – le comunità credenti devono intravedere – faticosamente – le irruzioni messianiche che illuminano il cammino da percorrere, spesso emergendo in tragiche esperienze politiche. Dio non delega la sua guida e la sua provvidenza; dice e si dice nei segni-eventi. Le comunità credenti sono chiamate a essere comunità permanenti di memoria e di interpretazione dei percorsi di Dio nella storia, a farli propri e a percorrerli con e a servizio dell'intera umanità».
Qui troviamo uno dei fondamenti teologici alla base del processo sinodale riflesso nell'ALyC durante la Fase Continentale. Infatti, accogliendo la Gaudium et spes 11, la pratica del sensus fidei ha portato i partecipanti ad affermare che «siamo chiamati a vivere una conversione che ha origine nell'ascolto fedele di Dio e della realtà, ascolto che è la condizione per la trasformazione del cuore. Dobbiamo ascoltarci reciprocamente e discernere i segni dei tempi per cercare insieme la volontà di Dio alla luce della Sacra Scrittura» (SFC ALyC 29). Il metodo teologico-pastorale latinoamericano, ispirato al discernimento e all'esame dei segni dei tempi e dei luoghi, è stato integrato nel corso del processo sinodale universale dalla teologia e dalla pratica della Lumen gentium 12. L'esperienza vissuta nei gruppi attraverso le dinamiche comunicative ha facilitato un modo di procedere ecclesiale che recupera «il prezioso tesoro teologico contenuto nel racconto di un'esperienza: quello di aver ascoltato la voce dello Spirito da parte del popolo di Dio, lasciando emergere il suo sensus fidei» (Documento per la fase continentale del Sinodo 8). Questa affermazione del DEC è riconosciuta e confermata nella SFC ALyC dove si sostiene che «il discernimento delle voci e delle espressioni del sensus fidei fidelium, la partecipazione responsabile e corresponsabile di tutti, presenta il quadro interpretativo adeguato – teorico e pratico – per ascoltare, dialogare e discernere insieme sulla base della comune dignità ricevuta nella grazia filiale e fraterna del battesimo» (SFC ALyC 96).
Alla luce di tutto ciò, il sensus fidei diventa il canale del processo sinodale, facilitando «un cammino di conversione verso una Chiesa sinodale che, ascoltando, impara a rinnovare la sua missione evangelizzatrice alla luce dei segni dei tempi (DTC 13). È addirittura possibile affermare che, nella teologia e nella pratica del sensus fidei, si trova il cuore dell'attuale ricezione dell'ecclesiologia del popolo di Dio. Il suo recupero e la sua maturazione sono un elemento fondamentale per comprendere l'ecclesiologia pneumatologica contemporanea. Essa riconosce nel sensus fidei la dinamica più appropriata per la riconfigurazione permanente della vita ecclesiale, collegando corresponsabilmente tutti i fedeli tra loro attraverso l'azione dello Spirito. Ne consegue che, in un modello di Chiesa concepita come popolo di Dio in comunione, tutti i fedeli sono organicamente uniti tra loro e devono quindi partecipare, in qualche modo e ciascuno secondo la propria vocazione, all'elaborazione delle decisioni pastorali sulla vita e la missione ecclesiale. Per questo motivo, la consultazione latinoamericana e caraibica sostiene che «se il popolo di Dio non fosse un soggetto nel processo decisionale, non ci sarebbe sinodalità (Ceama-Repam)» (SFC ALyC 81).
3. La restituzione dell'ascolto:
una nuova dinamica comunicativa
Durante la celebrazione delle diverse fasi del Sinodo sulla sinodalità, è emersa una nuova dinamica comunicativa che cerca di collegare tra loro le diverse fasi –diocesana, continentale e universale – in modo circolare e multidirezionale, piuttosto che piramidale e unidirezionale. È stata chiamata restitutio e consiste nel restituire o reintegrare a ciascuna porzione del popolo di Dio [diocesi] ciò che è stato consultato e ascoltato nella fase diocesana e successivamente raccolto nelle Sintesi che le Conferenze episcopali hanno inviato alla segreteria del Sinodo per redigere il DTC. Quest'ultimo documento è servito da guida per l'ascolto discernente svolto nelle 7 Assemblee continentali che sono culminate nella stesura delle Sintesi Continentali Finali. Nel nostro caso abbiamo presentato alcuni punti salienti teologici e pastorali dell'ALyC della SFC. Lo scopo della restitutio è quello di aiutare a costruire il consenso ecclesiale tra tutto il popolo di Dio attraverso processi organici di interazione e comunicazione tra tutti i fedeli a tutti i livelli – diocesano, continentale e universale. Il DTC è stato concepito con questo obiettivo, per raccogliere e restituire [restitutio] alle Chiese locali ciò che è stato detto dal popolo di Dio in tutto il mondo» (DTC 105).
RAFAEL LUCIANI