Mastrofini Fabrizio
Europa tra ideali e realtà
2023/6, p. 43
L’Europa: primo filo conduttore del viaggio di papa Francesco in Ungheria (28-30 aprile), unico paese visitato due volte, anche se la prima era stata solo una tappa per la conclusione del Congresso Eucaristico Internazionale nel 2021.

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Testimoni
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IL PAPA IN UNGHERIA
Europa
tra ideali e realtà
L’Europa: primo filo conduttore del viaggio di papa Francesco in Ungheria (28-30 aprile), unico paese visitato due volte, anche se la prima era stata solo una tappa per la conclusione del Congresso Eucaristico Internazionale nel 2021.
Questa tre-giorni del 2023 ha dato l’opportunità a papa Francesco di parlare di Europa in un paese con un governo «sovranista» – non propriamente in linea con l’approccio della Santa Sede ai maggiori problemi umanitari e sociali – e al confine con la guerra in Ucraina. Dunque per questi motivi la visita presenta elementi di grande interesse, come si è visto nel primo discorso, alle autorità e al corpo diplomatico. Come è noto, è in questo appuntamento di inizio viaggio che vengono riassunti i temi che il papa poi sviluppa nel seguito degli incontri. Questa volta papa Francesco ha preso spunto dalla realtà di Budapest, definita città di storia, città di ponti, città di santi, secondo uno schema tripartito che si ripete spesso nei discorsi. Città di storia, perché è una capitale fondata in tempi antichi, ha attraversato l’epoca moderna e contemporanea, la Seconda Guerra Mondiale, ed oggi si trova in Europa. «Nel dopoguerra l’Europa ha rappresentato, insieme alle Nazioni Unite, la grande speranza, nel comune obiettivo che un più stretto legame fra le nazioni prevenisse ulteriori conflitti. Purtroppo non è stato così. Nel mondo in cui viviamo, tuttavia, la passione per la politica comunitaria e per la multilateralità sembra un bel ricordo del passato: pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace, mentre si fanno spazio i solisti della guerra. In generale, sembra essersi disgregato negli animi l’entusiasmo di edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile, mentre si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi e si esasperano giudizi e toni nei confronti degli altri. A livello internazionale pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico.
Ma la pace non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti: attente alle persone, ai poveri e al domani; non solo al potere, ai guadagni e alle opportunità del presente». E citando i costruttori dell’Europa unita – De Gasperi, Schuman, Adenauer – papa Francesco ha messo a confronto gli ideali con la drammatica realtà del conflitto di oggi, chiedendosi: «In questa fase storica i pericoli sono tanti; ma, mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina, dove sono gli sforzi creativi di pace?». Domanda la cui drammatica urgenza si è riproposta nell’incontro con i giornalisti sul volo di ritorno.
Europa centrata
sulla persona e sui popoli
Per Budapest come città di ponti, per papa Francesco è necessaria «un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. È questa la via nefasta delle “colonizzazioni ideologiche”, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato “diritto all’aborto”, che è sempre una tragica sconfitta.
Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia – abbiamo Paesi in Europa con l’età media di 46-48 anni –, perseguite con attenzione in questo Paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno». Infine città di santi, perché il passato ungherese è segnato dalla testimonianza cristiana di governanti e persone semplici, che indicano la strada sempre attuale per una proficua collaborazione e non competizione, tra religione e politica.
Testimonianza cristiana nella storia
«È feconda una proficua collaborazione tra Stato e Chiesa che, per essere tale, necessita però di ben salvaguardare le opportune distinzioni. È importante che ogni cristiano lo ricordi, tenendo come punto di riferimento il Vangelo, per aderire alle scelte libere e liberanti di Gesù e non prestarsi a una sorta di collateralismo con le logiche del potere. Chi si professa cristiano, accompagnato dai testimoni della fede, è chiamato principalmente a testimoniare e a camminare con tutti, coltivando un umanesimo ispirato dal Vangelo e instradato su due binari fondamentali: riconoscersi figli amati del Padre e amare ciascuno come fratello».
Nella cattedrale di Santo Stefano, incontrando i vescovi, il clero, consacrati e consacrate, seminaristi, operatori pastorali, papa Francesco ha avuto parole chiare a favore della collaborazione, dell’incontro, del dialogo, della lettura dei segni dei tempi, per una efficace presenza e testimonianza cristiana nella storia. «State attenti al processo di mondanizzazione. Cadere nella mondanità forse è il peggio che può accadere a una comunità cristiana. Vediamo che anche in questo Paese, dove la tradizione di fede rimane ben radicata, si assiste alla diffusione del secolarismo e a quanto lo accompagna, il che spesso rischia di minacciare l’integrità e la bellezza della famiglia, di esporre i giovani a modelli di vita improntati al materialismo e all’edonismo, di polarizzare il dibattito su tematiche e sfide nuove. E allora la tentazione può essere quella di irrigidirsi, di chiudersi e di assumere un atteggiamento da ‘combattenti’. Ma tali realtà possono rappresentare delle opportunità per noi cristiani». Ma anche una buona pastorale ed un atteggiamento di misericordia sono i due temi su cui il Papa ha insistito. «Una buona pastorale è possibile se siamo capaci di vivere quell’amore che il Signore ci ha comandato e che è dono del suo Spirito. Se siamo distanti o divisi, se ci irrigidiamo nelle posizioni e nei gruppi, non portiamo frutto; pensiamo a noi stessi, alle nostre idee e alle nostre teologie. È triste quando ci si divide perché, anziché fare gioco di squadra, si fa il gioco del nemico: il diavolo è quello che divide, ed è un artista nel fare questo, è la sua specialità. E noi vediamo i vescovi scollegati tra loro, i preti in tensione col vescovo, quelli anziani in conflitto con i più giovani, i diocesani con i religiosi, i presbiteri con i laici, i latini con i greci; ci si polarizza su questioni che riguardano la vita della Chiesa, ma pure su aspetti politici e sociali, arroccandosi su posizioni ideologiche. Non lasciate entrare le ideologie! La vita di fede, l’atto di fede non può essere ridotto a ideologia: questo è del diavolo. No, per favore: il primo lavoro pastorale è la testimonianza della comunione, perché Dio è comunione ed è presente dove c’è carità fraterna. Superiamo le divisioni umane per lavorare insieme nella vigna del Signore!».
La dimensione della carità è stata evidenziata dal Papa in alcuni altri incontri: a Budapest con i bambini dell’Istituto «Beato László Batthyány-Strattmann», un’attività assistenziale e caritativa; con poveri e rifugiati nella chiesa di Santa Elisabetta. Nel dialogo con i giovani, rispondendo ad alcune domande che gli sono state poste – come avviene di solito – papa Francesco ha invitato a seguire l’esempio di Gesù, a «svegliarsi», a radicare la vita nel Vangelo e nella preghiera, nella ricerca della volontà di Dio. È necessario «prendere in mano la vita per aiutare il mondo a vivere in pace. Lasciamoci scomodare da questo, chiediamoci, ciascuno di noi: io che cosa faccio per gli altri, che cosa faccio per la società, che cosa faccio per la Chiesa, che cosa faccio per i miei nemici? Vivo pensando al mio bene o mi metto in gioco per qualcuno, senza calcolare i miei interessi? Per favore, interroghiamoci sulla nostra gratuità, sulla nostra capacità di amare, amare secondo Gesù, cioè di amare e servire».
E la domenica, giornata conclusiva del viaggio, la messa si è svolta davanti ad una grande folla di fedeli, nella piazza Kossuth Lajos di Budapest, dove è risuonato l’annuncio del Vangelo di Gesù buon pastore. «Fratelli e sorelle, essere “in uscita” significa per ciascuno di noi diventare, come Gesù, una porta aperta. È triste e fa male vedere porte chiuse: le porte chiuse del nostro egoismo verso chi ci cammina accanto ogni giorno; le porte chiuse del nostro individualismo in una società che rischia di atrofizzarsi nella solitudine; le porte chiuse della nostra indifferenza nei confronti di chi è nella sofferenza e nella povertà; le porte chiuse verso chi è straniero, diverso, migrante, povero. E perfino le porte chiuse delle nostre comunità ecclesiali: chiuse tra di noi, chiuse verso il mondo, chiuse verso chi “non è in regola”, chiuse verso chi anela al perdono di Dio. Fratelli e sorelle, per favore, per favore: apriamo le porte! Cerchiamo di essere anche noi – con le parole, i gesti, le attività quotidiane – come Gesù: una porta aperta, una porta che non viene mai sbattuta in faccia a nessuno, una porta che permette a tutti di entrare a sperimentare la bellezza dell’amore e del perdono del Signore». E papa Francesco ha insistito ancora su questo tema: «Fratelli, incoraggiamoci ad essere porte sempre più aperte: “facilitatori” della grazia di Dio, esperti di vicinanza, disposti a offrire la vita, così come Gesù Cristo, nostro Signore e nostro tutto, ci insegna a braccia aperte dalla cattedra della croce e ci mostra ogni volta sull’altare, pane vivo spezzato per noi. Lo dico anche ai fratelli e alle sorelle laici, ai catechisti, agli operatori pastorali, a chi ha responsabilità politiche e sociali, a coloro che semplicemente portano avanti la loro vita quotidiana, talvolta con fatica: siate porte aperte! Lasciamo entrare nel cuore il Signore della vita, la sua Parola che consola e guarisce, per poi uscire fuori ed essere noi stessi porte aperte nella società».
Progresso e civiltà umana
Ultimo appuntamento è stato con il mondo universitario e della cultura, fornendo l’occasione per riflettere sulle sfide che il progresso pone all’avanzare di una civiltà umana. Il messaggio del papa è stato molto preciso. «La cultura davvero rappresenta la salvaguardia dell’umano. Immerge nella contemplazione e plasma persone che non sono in balia delle mode del momento, ma ben radicate nella realtà delle cose. E che, umili discepole del sapere, sentono di dover essere aperte e comunicative, mai rigide e combattive. Chi ama la cultura, infatti, non si sente mai arrivato e a posto, ma porta in sé una sana inquietudine. Ricerca, interroga, rischia, esplora; sa uscire dalle proprie certezze per avventurarsi con umiltà nel mistero della vita, che si sposa con l’inquietudine, non con l’abitudine; che si apre alle altre culture e avverte il bisogno di condividere il sapere».
Il viaggio ha avuto due «code» da evidenziare. Nel volo di ritorno, parlando con i giornalisti, papa Francesco si è riferito ad un’attività diplomatica di mediazione avviata dalla Santa Sede nel conflitto in Ucraina. Nei giorni seguenti, Russia ed Ucraina si sono affrettate a smentire la circostanza, mentre la Santa Sede attraverso il cardinale Pietro Parolin, segretario di stato, ha ovviamente confermato le frasi del papa. Da rilevare che nel viaggio c’è stato l’incontro, non annunciato prima, con l’arcivescovo russo ortodosso Hilarion Alfeyev, già numero due del patriarcato di Mosca, mandato a Budapest – in molti lo considerano «esiliato» in Ungheria – probabilmente a causa delle sue posizioni critiche verso la guerra.
In secondo luogo, in chiave italiana, si è registrata una volontà di «arruolare» il papa nelle file dei sostenitori del governo ungherese. Ad esempio «Micromega», in un commento pubblicato a inizio maggio sul suo sito, ha notato che le «lodi» papali alla Costituzione, le preoccupazioni espresse per la colonizzazione ideologica in atto in Europa, sarebbero segnali a favore del sovranismo in auge nel paese. In realtà i discorsi fatti in Ungheria vanno letti tutti e integralmente. Per verificare che c’è un Magistero lineare e costante sulle radici cristiane del vecchio continente, sui valori, sull’accoglienza. E papa Francesco ripropone un messaggio chiaro, ogni volta, ai politici europei che dimenticano.
FABRIZIO MASTROFINI