La Mela Maria Cecilia
Daniele, preghiera di liberazione
2023/6, p. 32
Ci congediamo dagli oranti del Primo Testamento – dalla prossima volta chiameremo all’appello alcuni del Secondo Testamento – puntando i riflettori sul profeta Daniele: lo prendiamo a modello, in particolare, per riflettere sulla preghiera di liberazione.

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Testimoni
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DESTINATI ALLA LIBERTÀ
Daniele
preghiera di liberazione
Ci congediamo dagli oranti del Primo Testamento – dalla prossima volta chiameremo all’appello alcuni del Secondo Testamento – puntando i riflettori sul profeta Daniele: lo prendiamo a modello, in particolare, per riflettere sulla preghiera di liberazione.
Il testo sacro accompagna questa bella figura di credente presentandocelo dalla giovinezza fino all’anzianità. Ne rivisitiamo alcune sequenze lasciandoci guidare, appunto, dal filo rosso della liberazione. Innanzitutto dall’esperienza – siamo al cap. 3 – vissuta insieme a tre giovani «deportati» nella reggia di Nabucodonosor e particolarmente favoriti di uno spirito di sapienza e grande maturità. Costretti a rendere onore agli idoli dei babilonesi, rimangono fermi nella loro fede e per questo sono condannati ad essere arsi vivi. Daniele è testimone dell’eroica risolutezza dei tre giovani che sfidano lo stesso re: «Sappi che il nostro Dio, che noi serviamo, se lo vuole, può liberarci dalla fornace del fuoco ardente e ci libererà dalla tua mano […]. Anche se non lo facesse, sappi, o re, che noi non serviremo i tuoi dei e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto».
Ci ha sempre colpiti la fede profonda di questi giovani, ancor più il loro non mercanteggiare con Dio: sono certi che Lui può liberarli, e se anche non dovesse farlo, loro rimarranno ugualmente fedeli perché, ben oltre la liberazione fisica, c’è un qualcosa di più grande ed è Dio stesso, la sua volontà. E questa rende veramente liberi.
Ancorati alla preghiera
Ecco ancora il giovane Daniele quando, per liberare Susanna (cap. 13), ingiustamente condannata per un adulterio cui invece non era incorsa, viene suscitato come strumento di salvezza: Susanna si rifugia nella preghiera, viene esaudita e liberata dalla morte e, soprattutto, dalla macchinazione dei due perversi anziani che, non potendo godere di lei, cercano di vendicarsi infamandone l’onore ed esponendola alla lapidazione.
Ci concentriamo però più diffusamente sulla parte finale della vita di Daniele (cap. 14) che, già entrato nelle grazie del re Baltazar dopo avergli interpretato un sogno enigmatico, rimane ancorato alla sua vita di preghiera anche quando subentrerà a regnare il re persiano Dario. I ministri del re, a seguito della trasgressione all’editto che prescriveva l’atto di venerazione agli dei, costringono Dario – che lo fa a malincuore – a punire Daniele. «Allora il re ordinò che si prendesse Daniele e si gettasse nella fossa dei leoni. Il re, rivolto a Daniele, gli disse: “Quel Dio, che tu servi con perseveranza, ti possa salvare!”. Poi fu portata una pietra e fu posta sopra la bocca della fossa: il re la sigillò con il suo anello e con l’anello dei suoi grandi, perché niente fosse mutato sulla sorte di Daniele. Quindi il re ritornò alla reggia, passò la notte digiuno, non gli fu introdotta alcuna donna e anche il sonno lo abbandonò. La mattina dopo il re si alzò di buon’ora e sullo spuntar del giorno andò in fretta alla fossa dei leoni. Quando fu vicino, chiamò: “Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio che tu servi con perseveranza ti ha potuto salvare dai leoni?”. Daniele rispose: “Re, vivi per sempre. Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui; ma neppure contro di te, o re, ho commesso alcun male”».
I messaggeri di Dio
Ancora una volta un angelo viene mandato in soccorso ai servi fedeli: così come aveva allontanato le fiamme dai tre giovani nella fornace ardente, ecco adesso chiudere la bocca dei leoni. È sempre Dio che invia il suo messaggero per liberare i giusti; nel caso di Susanna è addirittura lo stesso Daniele. Nella tradizione biblica sappiamo bene come l’angelo sia percepito come Dio stesso, una sorta di sua visibilità. Il Signore è il liberatore, Colui che ha fatto uscire il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto e sostiene il resto di Israele nel periodo della deportazione a Babilonia.
La pericope su cui stiamo meditando non riporta la preghiera di Daniele, bensì ci consegna quella del re, un sovrano che ha a cuore la vita del suo più fidato amico. E sarà proprio la liberazione di Daniele che «aveva confidato nel suo Dio», a far scaturire dal cuore del re una sentita professione di fede. Così egli «scrisse a tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano tutta la terra: “Pace e prosperità. Per mio comando viene promulgato questo decreto: In tutto l’impero a me soggetto si onori e si tema il Dio di Daniele, perché egli è il Dio vivente, che dura in eterno; il suo regno è tale che non sarà mai distrutto e il suo dominio non conosce fine. Egli salva e libera, fa prodigi e miracoli in cielo e in terra: egli ha liberato Daniele dalle fauci dei leoni”».
Preghiera e libertà
Tre elementi vorremmo mettere in evidenza collegandoli tra loro in una possibile lettura meditativa: le fiamme della fornace, i sassi della lapidazione, le fauci dei leoni. Non entrando nel merito di una lettura esegetica, è possibile comunque intendere la preghiera di liberazione rivolta soprattutto a nemici, accusatori, visti in senso figurato. Così come si possono interpretare alcuni salmi, anche sulla scia di sant’Agostino, partendo sì dalla situazione storica, concreta, ma pure come applicazione al proprio mondo interiore. Ad esempio, quando l’orante del salmo 58 prega «liberami dai nemici, mio Dio, proteggimi dagli aggressori», oltre ai nemici effettivi – pensiamo ai vari popoli che entravano in conflitto con Israele oppure a reali nemici personali – potremmo intendere questa preghiera anche come una richiesta di liberazione dai propri nemici interiori, le passioni, il peccato, i difetti che non si riescono a vincere, le difficoltà, i pregiudizi… Liberazione, dunque, dalle ombre, dalle paure, dagli irrigidimenti, dalle ansie, dai blocchi, da se stessi prima di tutto. Un invito ad uscire, a non rimanere chiusi nel proprio io, imbrigliati e paralizzati, e questo è possibile solo nella relazione con Dio, in una crescente maturazione che ci fa essere uomini e donne veramente liberi.
Nella nostra Regola, san Benedetto al capitolo VII, parlando dell’umiltà, dice che per salire bisogna prima ridiscendere, salire una scala che ci fa giungere in alto dopo averla percorsa in discesa. Entrare nella fornace ardente, scendere nella fossa dei leoni, è prendere coscienza della propria creaturalità, con tutti i suoi limiti, e sperimentare che proprio in essa il Signore viene a liberarci. Così commenta il benedettino Anselm Grün: «Il paradosso cristiano sta nel fatto che per ascendere a Dio, dobbiamo discendere nella nostra realtà; soltanto chi incontra se stesso, incontrerà Dio. Senza questo incontro autentico con se stessi, incontreremo le nostre proiezioni di Dio, ma non il Dio reale […]. Soltanto chi ha il coraggio di accettare la propria origine dalla terra, la propria umanità, ascende alla contemplazione di Dio […]. Nel cammino verso Dio, io incontro il mio lato oscuro, le mie inquietudini, le mie passioni, i miei bisogni e le mie emozioni […]. L’ascesa passa prima per l’abbassamento: devo discendere nella mia realtà, nel mio essere terreno, e proprio attraverso questo abbassamento ascendere verso Dio. Mentre mi abbasso, mi si apre il cielo». Se tutto questo è accolto con senso di responsabilità e gratitudine, allora dovrebbe divenirci «abituale e familiare questa dinamica bella di discesa e risalita, di immersione e di ritorno alla superficie, di nascondimento e di rivelazione, di gestazione e di parto. Non ci spaventi il deserto, né il sostare dentro lo stallo della prova, della solitudine, dei vuoti: è annuncio di nascita ancora, anche in età adulta, anche nei giorni dell’anzianità».
Chissà quanti, al vederci uscire illesi da tante nostre fosse, sbalorditi come il re Dario, o addirittura quei giudei accorsi alla tomba di Lazzaro, percepiranno ancora di più la forza vitale della Pasqua, il prodigio del Signore risorto che ribalta la pietra del sepolcro, i macigni delle nostre prigioni, per aprirci alla luce, alla vera e piena libertà.
I primi a stupircene saremo proprio noi.
suor MARIA CECILIA LA MELA osbap