Ferrari Matteo
Discernere la voce di Dio. Samuele ed Eli
2023/6, p. 21
Il racconto della vocazione di Samuele presenta quegli elementi fondamentali che dovrebbero far parte di ogni cammino di discernimento vocazionale perché la Parola silenziosa e rara di Dio possa essere ascoltata e accolta.

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ASCOLTARE E ACCOGLIERE
Discernere la voce di Dio
Samuele ed Eli
Il racconto della vocazione di Samuele presenta quegli elementi fondamentali che dovrebbero far parte di ogni cammino di discernimento vocazionale perché la Parola silenziosa e rara di Dio possa essere ascoltata e accolta.
Il racconto della chiamata di Samuele (1 Sam 3,1-21) è particolarmente significativo perché, oltre a presentare molti elementi preziosi di un racconto di vocazione nella Bibbia, mette in luce in modo molto chiaro il ruolo di chi accompagna un giovane nel suo discernimento vocazionale. Infatti in questo racconto del Primo Libro di Samuele, a fianco del giovane protagonista, compare la figura di Eli, un vecchio sacerdote, non certamente esemplare e con una famiglia non senza problemi. Basta leggere l’episodio che precede immediatamente il racconto di vocazione di Samuele (1Sam 2,27-36), per scoprire che né Eli, né la sua famiglia sono esemplari per la loro condotta e il loro rapporto con il Signore. Troviamo nel racconto infatti una esplicita condanna verso Eli di aver calpestato i sacrifici e le offerte, traendo profitto personale dal servizio sacerdotale nel tempio (1Sam 2,29). Quindi «il padre spirituale» di Samuele non è certamente un uomo impeccabile, eppure è uno strumento per il giovane per poter discernere la parola che il Signore rivolge alla sua esistenza.
Una parola rara
Il racconto inizia con la sottolineatura che «la parola del Signore era rara in qui giorni» (1Sam 3,1) e termina affermando che il giovane Samuele non «lasciò andare a vuoto una sola delle parole del Signore» (1Sam 3,19). Forse sta proprio qui un nodo fondamentale per comprendere questo testo. La parola del Signore non era solamente rara ai tempi di Samuele, ma lo è in ogni tempo, lo è nella nostra vita. Oggi, ai nostri giorni, la parola del Signore è «rara», come è raro che un giovane sia capace di ascoltarla e di lasciarsi interpellare radicalmente da essa. Forse la vera sfida della vita è proprio quella di non lasciare andare a vuoto nessuna delle parole di Dio, come Samuele. Il Signore non è un «chiacchierone», la sua Parola è rara, preziosa, occorre saperla ascoltare e discernere tra le altre parole come qualcosa di unico e di decisivo per la nostra vita. Per questo è fondamentale prendersi cura del cammino di vocazione e del discernimento, perché la parola del Signore è rara e non la si può lasciare andare a vuoto; essa non fa rumore, è una parola silenziosa e discreta, che si può ascoltare solamente nel silenzio. Nella vita di ogni giovane che vive un cammino di fede e di ascolto è fondamentale «prendersi cura» del suo discernimento della parola di Dio. Questo è il compito degli adulti che stanno a fianco dei giovani nel loro cammino di fede.
Nel racconto della vocazione di Samuele, la parola del Signore si comunica nel tempio: è la casa di Dio e del popolo. Lì dove il popolo si riunisce per celebrare il Signore e vivere la comunione con lui. La parola di Dio per la nostra vita, la nostra vocazione, non è mai quindi una «parola privata», sebbene sia personale. Se vogliamo intercettare la parola rara del Signore occorre entrare nel suo santuario, nella comunità dei credenti, che, come dice il testo poco più avanti, non è priva di peccati e di contraddizioni. C’è una dimensione ecclesiale della vocazione che è rappresentata dalle persone che stanno accanto e che accompagnano un giovane nelle varie fasi della sua crescita spirituale. Un cammino di paternità/accompagnamento spirituale esprime questa dimensione ecclesiale: è la Chiesa che si prende cura del cammino di un suo figlio, di una sua figlia, nella figura di un padre/madre e un fratello/sorella che concretamente si fanno compagni di strada, almeno per un tratto della vita.
Inoltre il testo afferma che la vocazione di Samuele avviene mentre egli «serviva il Signore alla presenza di Eli» nel tempio (1Sam 3,1). La vocazione avviene durante un servizio, mentre Samuele è già intento a servire il suo Dio. C’è quindi un cammino di fede e comunitario che è l’ambiente «normale» e vitale per poter ascoltare ed accogliere la parola del Signore. Questo particolare mette in luce l’importanza di un impegno ecclesiale nel cammino di discernimento vocazionale, di un cammino di fede, che ha il suo inizio in famiglia e nella comunità cristiana. Nel caso di Samuele questo è molto chiaro: la sua vocazione ha origine addirittura nella preghiera di sua madre Anna (1Sam 1,9-18). Il contesto familiare e quello ecclesiale, sono fondamentali per il cammino vocazionale di un giovane. Certamente il Signore può chiamare chiunque e in qualsiasi condizione è possibile ascoltare una parola che Dio rivolge alla nostra vita. Tuttavia, per quanto sta a noi, l’ambiente familiare ed ecclesiale sono il luogo ordinario nel quale è possibile ad un certo punto discernere la parola di Dio. Forse oggi entrambi questi «ambienti», necessari al discernimento vocazionale, stanno attraversando un momento di crisi e per i giovani è sempre più difficile trovare spazi adatti per ascoltare la parola del Signore per la loro vita e persone disponibili ad accompagnarli.
La lampada del Signore
Samuele ascolta la parola del Signore di notte, cioè nel silenzio, quel silenzio che è condizione di libertà. Siamo di notte e sia Eli che Samuele stanno dormendo nel tempio. È una ambientazione molto suggestiva: siamo alla tenue luce della lampada del Signore che non è ancora spenta e che rischiara le tenebre della notte. «La lampada di Dio non era ancora spenta» (1Sam 3,3): annotazione che ci rimanda a quanto possa essere fragile e delicata una vocazione e quanto sia facile che la fievole luce dell’ascolto della Parola sia soffocata da altre parole e da altri rumori, da luci abbaglianti. La vocazione va coltivata, va curata, finché la lampada del Signore ancora arde nel cuore, prima che altre parole possano spegnerla, altre luci abbaglianti possano accecare. Infatti la parola di Dio è quasi sempre una parola sussurrata nel cuore, la sua luce è la fievole luce di una lampada, non è un grido o un faro abbagliante. La notte è il tempo nel quale non si lavora e non si produce, il tempo in cui ci si abbandona e, in qualche modo, ci si fida. Ed è proprio in questo tempo silenzioso, gratuito e di affidamento che la parola rara del Signore raggiunge la vita del giovane Samuele.
Un altro elemento fondamentale del discernimento vocazionale è il silenzio. Senza silenzio, senza mettere a tacere i rumori che distraggono, non è possibile ascoltare la parola che il Signore ci rivolge, non c’è libertà. Certo la parola del Signore è suo dono. Tuttavia occorre che noi facciamo in modo di creare le condizioni per poterla ascoltare: occorre fare tacere tutte le voci che non sono la sua, occorre fare silenzio. Solo nel silenzio più profondo dissipiamo le tenebre di ogni condizionamento, per essere veramente liberi nel rispondere alla chiamata di Dio. Il cammino vocazionale è necessariamente anche un «apprendistato del silenzio». Spesso, quando si incontra un giovane che si mostra in ricerca vocazionale, che lascia intuire dalle sue parole e dalla sua vita di aver sentito una chiamata di Dio, bisogna come prima cosa iniziare un cammino per entrare nella notte dell’abbandono, nella quale il Signore può parlare. Occorre creare le condizioni per entrare in quel silenzio abitato da Dio. Spesso nella vita dei giovani in ricerca ci sono tanti rumori, la loro esistenza è frastornata da tante parole, anche molto forti, che impediscono di ascoltare veramente la parola di Dio. Bisogna cercare, con un discreto e attento cammino spirituale, di mettere a tacere ogni rumore perché nella notte e nel silenzio la parola del Signore possa risuonare e chiamare. Oggi il silenzio è raro, proprio come è rara la parola del Signore. Pensiamo a quante «distrazioni», quante «connessioni», quante immagini stordiscono la vita di un giovane oggi. Un vero cammino di discernimento vocazionale, oggi più che mai, non può che essere anche un «apprendistato del silenzio».
Il discernimento della Parola
e l’accompagnamento/paternità spirituale
Ma poi, la Parola del Signore è difficile da discernere. Nel racconto della vocazione di Samuele questo è un aspetto particolarmente evidente e importante. Per tre volte il Signore si rivolge a Samuele nella notte ed egli non si rende conto che è Dio a parlargli, ma pensa che sia il sacerdote Eli a chiamarlo per qualche servizio. È normale. Samuele non ha mai ascoltato prima di allora la parola del Signore. Egli non sa come parla Dio. Il testo lo dice chiaramente: «In realtà Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore» (1Sam 3,7). Per poter ascoltare la parola del Signore ci vuole esperienza, assiduità. Il giovane Samuele, che sta facendo i suoi primi passi di servizio nel tempio, non è ancora in grado di discernere che quella parola che sente risuonare nella notte e nel silenzio è Dio che sta parlando alla sua esistenza e lo sta chiamando al suo servizio.
Qui, nel difficile discernimento della parola di Dio, entra in scena il vecchio sacerdote Eli, che sta dormendo nel tempio. Eli è come un padre per Samuele: lo chiama «figlio mio» (1Sam 3,6). Nella vita del giovane Samuele occorre un «mediatore», un padre, un fratello maggiore che lo aiuti, con dolcezza e fermezza, a discernere e a riconoscere la parola del Signore che si comunica nella sua esistenza. Giovanni Climaco lo chiamerebbe un «timoniere», Christoph Theobald parlerebbe di un «traghettatore», capace di traghettare il giovane all’incontro personale con Dio e a compiere le scelte della propria vita come risposta ad una parola divina ascoltata ed accolta. Si potrebbe dire che la parola del Signore non si discerne mai da soli, per riconoscerla occorre che qualcuno ci aiuti e ci stia accanto, senza, tuttavia, sostituirsi a noi. Eli è un peccatore, non è una persona perfetta, non un «superuomo», ma un uomo limitato come tutti. Così è Eli: un sacerdote non particolarmente brillante con una famiglia segnata da tanti difetti e delitti. Eppure quell’uomo limitato è il tramite attraverso il quale Samuele può riconoscere la parola di Dio per la sua vita. È molto bello che ad un certo punto nel testo anche Eli stesso si accorga, con stupore, che era il Signore a chiamare il ragazzo: «Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane» (1Sam 3,8). Anche lui deve fare per primo un’opera di discernimento, deve stupirsi nel comprendere che era proprio Dio che stava chiamando il giovane. Questo è il compito di chi accompagna, di un padre, un fratello nello Spirito: saper scoprire con stupore che Dio è all’opera e sta chiamando. Chi è «padre» nello Spirito – oggi non bisogna più aver timore di parlare di «paternità» in un mondo nel quale c’è bisogno di padri – deve saper intuire con libertà e semplicità quando il Signore chiama. Chi accompagna deve saper vivere per primo il discernimento della Parola, con cautela e rispetto per la vita della persona che ha davanti, consapevole della non piccola responsabilità che è chiamato ad assumersi. Proprio per questa responsabilità, perché con la vita delle persone non si scherza, il padre/madre e il fratello/sorella nello Spirito, se è un peccatore come tutti, tuttavia non può non essere un uomo, una donna, di preghiera. Non può avere l’ardire di guidare altri, colui che non lo fa nella preghiera e nell’ascolto della Parola. Non si può aiutare altri nel discernimento vocazionale, se non si vive un’assiduità con la parola di Dio, che ci permetta, con umiltà e discrezione, di saper indicare ad altri quando Dio parla e chiama.
Ma a questo punto che cosa fa il vecchio sacerdote Eli, quando si accorge che era il Signore a chiamare Samuele? Egli insegna a Samuele a distinguere la voce di Dio da quella del padre, cioè dalla sua voce (cf. C. Theobald, Vocazione). Infatti Samuele, sentendosi chiamare, pensava che fosse Eli a chiamarlo e gli dice per tre volte: «mi hai chiamato? Eccomi!» (1Sam 3,5-7). Samuele pensa che quella voce che sentiva fosse la voce del padre, di Eli. Il giovane sente una voce e pensa che sia quella del suo maestro, dell’uomo che lo sta accompagnando nella sua vita. Questo è il rischio: confondere la voce del Padre con quella del padre. Ma Eli ha proprio il compito di aiutare il giovane a fare questo discernimento: a riconoscere la voce di Dio, senza confonderla con la sua. È un passaggio estremamente suggestivo. Questo è il compito di un padre, del «padre spirituale», aiutare a non confondere la propria voce con quella di Dio. Ci poteva essere un rischio di condizionamento nel cammino di discernimento vocazionale del giovane Samuele, se Eli si fosse approfittato della situazione, avesse abusato del suo ruolo e del suo «potere», e avesse lasciato credere a Samuele che la sua voce coincidesse con la voce di Dio. La voce di chi accompagna non è la voce di Dio. Il compito del «mediatore» è al contrario quello di fare in modo che si possa proprio distinguere la voce di Dio dalla propria. Potremmo dire che i veri padri/madri nello Spirito sono come dei Giovanni Battista che in continuazione, puntando il dito su un altro, ripetono: «non sono io!». Giovanni afferma: «Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”» (Gv 3,28). Chi accompagna nello Spirito è mandato avanti a Dio per preparare l’incontro con lui, per permettere di riconoscere la sua Parola.
Ma c’è un altro compito di chi accompagna e guida nello Spirito che la figura di Eli fa emergere nel racconto della vocazione di Samuele. Il vecchio sacerdote non solo fa comprendere al giovane come discernere la parola che Dio sta rivolgendo alla sua vita, ma insegna anche a Samuele a rispondere a Dio e non a lui: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”» (1Sam 3,9). Il padre mette sulla bocca del figlio le parole per rispondere alla chiamata di Dio. Eli può insegnare a Samuele le parole da dire perché forse lui per primo, un giorno lontano nel passato, le ha pronunciate, quando il Signore lo ha chiamato. Nel racconto questo passaggio è evidente. Eli non fa questo per proprio tornaconto, ma gratuitamente. Anzi, lo fa perfino in qualche modo «contro» se stesso. Successivamente infatti Samuele a sua volta, proprio perché il vecchio sacerdote gli ha insegnato ad ascoltare la parola di Dio, sarà portatore di una parola scomoda per Eli stesso e per la sua famiglia (1Sam 3,11-14).
Eli è un vero «padre spirituale», perché insegna a Samuele le due componenti fondamentali del discernimento. In primo luogo Eli insegna al suo giovane discepolo ad ascoltare la parola di Dio: non c’è discernimento senza ascolto, senza capacità di discernere la Parola tra le parole. Potremmo dire che un «padre» che guida nello Spirito è innanzitutto un «maestro» di lectio divina. Ma c’è una seconda componente importante che Eli trasmette a Samuele: egli gli insegna le parole da rivolgere a Dio. Se Eli mette sulla bocca di Samuele le parole per rispondere alla chiamata del Signore, la parola più importante che un «padre» deve trasmettere a un figlio da rivolgere a Dio è quella della preghiera. Colui che accompagna nello Spirito il discernimento di un giovane non può avere che questo tra le priorità del suo «ministero»: insegnare a pregare. La preghiera infatti è il fondamento e la condizione di possibilità del discernimento vocazionale: se non c’è preghiera, non c’è discernimento. Ascolto e preghiera sono l’eredità più preziosa che possiamo consegnare a coloro che stanno vivendo il loro discernimento vocazionale. I «padri» e le «madri» nello Spirito sono maestri di ascolto e di preghiera.
La decisione personale
L’ultimo passaggio del racconto è la decisione personale di Samuele: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta» (1Sam 3,9). Ci sono le condizioni esterne – lo spazio e il tempo, la notte e il silenzio, c’è la necessità di un «padre» che ci dica «è lui! Rispondigli!» – ma poi c’è la decisione personale: decidersi per Dio e per la sua Parola «rara». Eli ha insegnato a Samuele a discernere la parola che Dio rivolgeva alla sua vita, lo ha aiutato a non confondere la parola del padre con quella di Dio, gli ha messo sulla bocca le parole da dire a Dio. Ora però è Samuele che deve dare personalmente la sua risposta al Signore. Eli lo ha condizionato? Certo! In qualche modo, indubbiamente, il vecchio sacerdote ha «condizionato» la vita del ragazzo mettendolo nelle condizioni di ascoltare la chiamata di Dio e di rispondere. Se Eli non avesse aiutato Samuele, il giovane forse non avrebbe saputo discernere la parola di Dio e non avrebbe avuto le parole per rispondergli. Ma non è stato un condizionamento nel senso che Eli ha condotto Samuele a fare la sua volontà, ma, al contrario, gli ha permesso di essere veramente libero nell’ascoltare la parola del Signore e nel dare la sua risposta personale, rinunciando ad essere lui a determinare la vita del ragazzo, trattenendolo a sé.
L’obbedienza che Eli ha esercitato nei confronti di Samuele non è stata una mancanza di libertà. Non c’è una dipendenza «malata» tra Eli e Samuele. C’è un’obbedienza sana, che è ciò che permette al giovane di discernere la parola di Dio e di rispondere alla propria vocazione: la vera obbedienza non è mai dipendenza. Solo nell’obbedienza al «padre», Samuele vive una vera esperienza di libertà, che gli permette di essere ciò che sarà per se stesso e per il popolo di Dio. Come Abramo, rispondendo alla chiamata di Dio, Samuele diventerà una benedizione per se stesso e per il suo popolo, ma questo sarà possibile solo grazie all’ascolto della parola di quel vecchio sacerdote che gli ha insegnato ad ascoltare Dio e a parlare con lui. Grazie all’ascolto di Eli, Samuele è diventato veramente se stesso, rispondendo alla parola che il Signore stava rivolgendo alla sua esistenza.
Conclusione
Il racconto della vocazione di Samuele presenta quegli elementi fondamentali che dovrebbero far parte di ogni cammino di discernimento vocazionale perché la parola silenziosa e rara di Dio possa essere ascoltata e accolta. È una pagina sempre molto «attuale» delle Scritture che ci rende attenti alla cura di cui ogni cammino vocazionale ha bisogno perché la Parola non si perda tra le parole e la tenue luce della lampada del Signore che arde nel tempio, non venga sopraffatta da altre luci abbaglianti, perché la voce di Dio, come «sussurro di brezza leggera» (1Re 19,12) possa fecondare la vita e renderla benedizione.
MATTEO FERRARI, monaco di Camaldoli