Montaldi Gianluca
Il coraggio di far vivere il carisma
2023/6, p. 1
Riflessioni a partire da una importante e originale decisione delle Suore della Carità di San Vincenzo de’ Paoli di New York.

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DECISIONE INEDITA PER IL FUTURO
Il coraggio
di far vivere il carisma
Riflessioni a partire da una importante e originale decisione
delle Suore della Carità di San Vincenzo de’ Paoli di New York
Lo scorso 27 aprile, ha fatto velocemente il giro della rete un comunicato stampa rilasciato dalle Suore della Carità di New York (Sisters of Charity of New York), una famiglia religiosa che ha il proprio carisma fondante nell’intuizione della prima santa nata negli USA, Elizabeth Ann Bayley Seton, e collegata alla spiritualità di san Vincenzo de’ Paoli; si tratta della prima congregazione femminile fondata nel 1809, negli Stati Uniti. Nel 1817 tre sorelle furono inviate a New York dalla fondatrice per guidare un orfanotrofio. Nel tempo, la loro presenza dentro il contesto della città e in vari stati americani, assunse un carico importante in diversi ambiti: dall’azione caritativa ed assistenziale a quella educativa e formativa. Solo nel 1846, il ramo di New York si separò dalla radice comune che aveva avuto la propria origine nel Maryland. Nel corso dei decenni, le Suore della Carità hanno aperto scuole, collegi e ospedali; hanno avviato missioni alle Bahamas e in Guatemala. La loro protesta contro la guerra del Vietnam durante la Messa nella cattedrale di St. Patrick, nel 1972, è stata anche causa dell’arresto di una di loro. Nonostante tutto, hanno continuato a servire le persone ai margini della società, compresi gli immigrati, i senzatetto e gli anziani. Ultimamente, hanno svolto anche una azione importante a favore delle popolazioni originarie dell’America centrale e meridionale.
Capacità di discernimento
Nelle diverse fasi della sua missione, la congregazione si è dimostrata sempre attuale e significativa, anche per la sua capacità di discernimento e di rinnovamento interno, avvenuto dopo il concilio Vaticano II. Rinnovamento che ha portato a una rispettosa, ma ferma speranza di aprire il ministero ordinato anche alle donne, all’evoluzione delle modalità identitarie, iniziando dal cambiamento dell’abito. Anche solo visitando il sito ufficiale della congregazione (https://scny.org/) si coglie la consistenza della spiritualità e del lavoro compiuto da questa famiglia religiosa, nella sincerità evangelica di un grande impegno pastorale, attento ai segni dei tempi.
È stata, per molti, una triste sorpresa leggere che le Suore della Carità di New York, hanno deciso nell’Assemblea Generale elettiva 2023 di non accogliere più nuove sorelle nel ramo americano della congregazione. Se ciò è il primo contenuto del comunicato che ha sorpreso, tuttavia il testo ufficiale completo dice molto di più. Significativa e illuminante la citazione iniziale di un pensiero della fondatrice: «Affido il presente e il futuro a Colui che è l’autore e il perfezionatore di entrambi». In altri contesti, tale frase avrebbe potuto essere interpretata come un motto ovvio della spiritualità ottocentesca, a volte sin troppo disincantata; qui invece è testimonianza di un serio percorso «attraverso un discernimento lungo ed orante» e dà risalto ad una decisione che «non è facile» e per niente scontata.
Di fatto, il cammino compiuto e l’intenzione sostenuta da una fede radicale, risaltano da altre riflessioni esplicitate nello stesso documento assembleare. Prima di tutto, infatti, dopo l’affermazione che le Suore della Carità «non cercheranno o accetteranno nuove adesioni nella Congregazione, negli Stati Uniti», esplicitamente concordano nel «continuare a promuovere le vocazioni [di speciale consacrazione] e a dirigerle verso le congregazioni della federazione o verso le istituzioni formative della conferenza dei religiosi». Il che già indica una profonda e matura capacità di apertura verso l’esterno, un’adeguata attenzione al cambiamento dei tempi, e una visione estroversa ed ecclesiale profondamente ancorata nello spirito di comunione. Ciò è confermato anche dalla serenità che traspare dal documento e dallo sguardo di speranza che ne emerge; la decisione, infatti, non significa per queste consacrate tirare i remi in barca o scoraggiarsi di fronte a quanto compiuto e a quanto ancora compiono, ma «sul cammino verso la chiusura [completion]», esse dichiarano di voler «continuare a vivere la propria missione in pienezza». In realtà, il termine utilizzato per indicare la chiusura della congregazione, può indicare anche – e in questo caso soprattutto indica questo – il suo compimento e la sua realizzazione completa.
Carisma, dono ed eredità
Se solitamente siamo abituati a leggere la carenza di membri in una famiglia religiosa e la conseguente decisione di chiusura come punto finale di un percorso, la provocazione che viene invece dalle Suore di Carità di New York è quella di offrire una diversa interpretazione ed apertura del carisma affidato originariamente alla famiglia religiosa. Va tenuto presente che crisi significa non solamente una fine, ma anche un passaggio, un tempo di discernimento. Al centro della decisione sta il carisma, riconosciuto e definito come un potere straordinario di guarigione dato al cristiano dallo Spirito Santo per il bene della Chiesa. Un dono, quindi, fatto per essere donato.
Una corretta interpretazione della decisione presa, emerge dall’ultimo paragrafo del documento finale dell’Assemblea generale, davvero indicativo della capacità di rendere la chiamata specifica al servizio della carità, una risposta ad un preciso kairòs, adeguato al momento storico attuale: «Continueremo a crescere nell’amore. Continueremo ad approfondire le nostre relazioni tra noi e con i nostri collaboratori. Continueremo ad approfondire la nostra relazione con Dio. Dopo più di 200 anni di servizio per la Chiesa, le Suore della Carità di San Vincenzo de’ Paoli di New York continueranno a passare la torcia della carità. Non è la fine del nostro servizio. La nostra missione continua al di là di noi stesse, attraverso quanti sono associati e compagni nel ministero, approfondendo ciò che significa vivere il carisma della carità nel futuro». Lo sguardo non è, quindi, sulle opere, come si sarebbe tentati di fare, ma proprio sul carisma; in questo caso, sul carisma più grande, la carità.
Propongo alcune considerazioni su questa determinazione, oltremodo coraggiosa. Prima di tutto, dopo anni nei quali si è puntato sull’apparire e sui numeri, essa richiama ad andare al nucleo della vita religiosa, ovvero al vangelo nella sua radicalità. Credo che sia questo l’unico estremismo ammesso nel cammino evangelico e, in particolare, nella vita di speciale consacrazione; abbiamo spesso sottolineato gli estremismi mistici legati alla capacità di resistere nell’ascesi, ma a volte ci è mancata la capacità di semplicemente affidarci a Dio, anche al limite del nostro definitivo compimento. In questo senso, si può affermare che il cammino secondo i consigli evangelici è parte integrante e necessaria alla comunione ecclesiale che non deve temere alcuna trasformazione epocale; non tanto perché c’è sempre stata una qualche forma di vita religiosa, nata per rispondere ai bisogni del momento storico in cui si è trovata, ma perché il carisma della vita consacrata, e in esso il carisma di ogni famiglia religiosa, è legato al nucleo costitutivo della Chiesa. Lo si chiama carisma, perché è nello stesso tempo dono e grazia, chiamata e compito, secondo il disegno di Cristo. Non fa parte della struttura gerarchica della società ecclesiale e di questo i consacrati dovrebbero andare fieri, perché da ogni carisma vissuto e testimoniato, emerge il cuore dell’annuncio evangelico e la sua forza, che si basa unicamente sulla volontà di Dio: Deum quaerere, che altro deve fare la vita religiosa? Che lo faccia nella contemplazione o nell’azione, come Marta o come Maria, è questo il suo significato e il suo valore. Paradossalmente tra Marta e Maria riemerge, attraverso l’esempio delle Suore della Carità di New York, anche la via di Lazzaro, via della scomparsa, della fine per far risaltare l’unica cosa che conta, la fede nell’opera di Dio che si compie attraverso di noi ma va oltre noi: «Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”» (Gv 11,41ss). Se cerca qualcosa di diverso rispetto alla volontà di Dio, qualsiasi famiglia religiosa può anche prosperare per un tempo, ma prima o poi perde il proprio timone e la direzione del cammino per cui originariamente è stata chiamata. Al contrario, se cerca la volontà di Dio persino nella propria ultima determinazione, dà compimento e significato alla chiamata e verità alla risposta [completion].
La vita religiosa che si chiuda in quello che si è sempre fatto, indipendentemente dai tempi in cui è chiamata a vivere, è esposta a forti delusioni, perchè la vita religiosa è apertura, è libertà evangelica, quella libertà capace di dire a Dio: «lasciamo a te il futuro del carisma che ci hai dato», secondo lo spirito con cui le Suore della Carità di New York suggeriscono, intraprendendo nuove vie.
Alcune di loro si sono chieste se non siano andate troppo oltre nell’interpretare l’aggiornamento promesso e richiesto dal Vaticano II, cambiando fogge esteriori, lasciando ministeri più tradizionali e assumendone di nuovi. Una domanda trasversale a molti aspetti della vita ecclesiale, ma «quando ci si ferma a riflettere – è un pensiero di sr. Margaret O’Brien, una delle consigliere – si deve riconoscere che ogni persona che ha fatto una di queste cose l’ha fatto in fede, cercando di leggere i segni del tempo e di fare ciò che è stata chiamata a fare. E questo non può essere sbagliato». Il tempo avrebbe comunque portato a cambiamenti.
Umiltà e affidamento
Ho citato il giubilo paradossale di Gesù di fronte al sepolcro di Lazzaro, descritto da Giovanni nel suo vangelo. C’è un altro brano simile, raccontato invece dall’evangelista Matteo: «In quel tempo Gesù disse: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”» (Mt 11,25-27). L’affidabilità del Padre, che Gesù riconosce nel proprio affidamento a Lui, è lo stile che i consacrati e le consacrate dovrebbero imparare nuovamente a vivere. L’umiltà di chi si riconosce condotto totalmente da Lui è parte integrante di ogni carisma e condizione per la sua testimonianza, e ha la propria radice unicamente in Dio e nella sua opera di giustizia; è anche l’umiltà di chi è consapevole che il suo disegno non dipende da noi, neppure – tra noi – da quelli più santi. Sono considerazioni in sintonia con le parole di papa Francesco, pronunciate nel suo viaggio in Ungheria: «Abbiamo bisogno di una Chiesa che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono». La carità è il carisma più grande: è quello che le Sorelle della Carità di New York hanno insegnato e hanno trasmesso. Oggi la loro scelta conferma la serietà e la verità con cui hanno compiuto la loro missione e il coraggio profetico con cui intendono continuare a condividerla e ad affidarla.
GIANLUCA MONTALDI