Chiaro Mario
La trappola demografica
2023/5, p. 45
In Italia il bilancio demografico conferma il record negativo: i decessi sono stati 713mila, le nascite 393mila, con un saldo naturale di -320mila unità. Si registrano segnali positivi per quanto riguarda il numero di matrimoni e unioni civili. Siamo comunque di fronte a un grave problema che rischia di venire a noia perché se ne parla da 40 anni senza una vera e coraggiosa progettazione.

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REPORT ISTAT 2022
La trappola demografica
In Italia il bilancio demografico conferma il record negativo: i decessi sono stati 713mila, le nascite 393mila, con un saldo naturale di -320mila unità. Si registrano segnali positivi per quanto riguarda il numero di matrimoni e unioni civili. Siamo comunque di fronte a un grave problema che rischia di venire a noia perché se ne parla da 40 anni senza una vera e coraggiosa progettazione.
Lo slogan impattante che da diverso tempo viene tirato fuori quando si parla di andamento della natalità in Italia è quello di «inverno demografico». Come ogni slogan si presta a distorsioni, rischia di produrre letture apocalittiche della situazione, non coglie l’obiettivo di smuovere la politica ad azioni reali ed efficaci. In questi mesi si riutilizza purtroppo questo spartito. L’innesco del dibattito è sempre legato ai famosi indicatori demografici che puntualmente vengono alla ribalta nel Report annuale dell’Istituto nazionale di statistica (Istat). In questi mesi ci stracciamo di nuovo le vesti messi di fronte a un bollettino riguardante il 2022, in cui si evidenzia che le nascite sono al minimo storico, in 20 anni si sono triplicati gli ultracentenari (22mila), c’è una lieve crescita del numero degli stranieri (5mln e 50mila unità, più 20mila dall’anno scorso).
Continua la caduta dell’Italia
In sintesi la popolazione italiana è in calo del 3 per mille: al primo gennaio 2023 i residenti sono quasi 59mln, circa179mila in meno sull’anno precedente. La tendenza alla diminuzione della popolazione ha un’intensità minore rispetto al 2021 e al 2022, durante i quali gli effetti della pandemia hanno accelerato un processo iniziato nel 2014. Guardando al territorio italiano, la popolazione è in aumento solo in Trentino-Alto Adige, Lombardia ed Emilia-Romagna. Le regioni in cui si è persa più popolazione sono Basilicata, Molise, Sardegna e Calabria.
Su base nazionale i decessi sono stati 713mila, le nascite 393mila, toccando un nuovo minimo storico, con un saldo naturale di -320mila unità. Dall’estero sono arrivate 36mila persone, mentre 132mila sono state le partenze per lasciare il paese (molti i giovani). Il saldo migratorio con l’estero (positivo per 229mila unità) compensa solo in parte l’effetto negativo del bilancio della dinamica naturale. Siamo di fronte a meno figli, meno lavoratori, meno competitività delle imprese, meno welfare e meno salute, più solitudini. La speranza di vita alla nascita nel 2022 è stimata in 80,5 anni per gli uomini e in 84,8 anni per le donne. Il rallentamento della speranza di vita delle donne rispetto agli uomini è un processo in atto già da anni. L’impatto della crisi pandemica sul sistema sanitario, con conseguente difficoltà nel programmare visite e controlli medici, è stato abbastanza forte per le donne.
Picco dei decessi e crollo delle nascite
Come già detto, nel 2022 i decessi in Italia sono stati 713mila, con un tasso di mortalità pari al 12,1‰. Il numero più alto dei decessi si è avuto in concomitanza dei mesi più freddi (gennaio e dicembre), e nei mesi più caldi (luglio e agosto). In questi soli quattro mesi si sono osservati 265mila decessi, quasi il 40% del totale, dovuti soprattutto alle condizioni climatiche avverse che hanno penalizzato la popolazione più anziana e fragile, composta principalmente da donne. Oltre 606mila deceduti, l’85% del totale, hanno un’età maggiore o pari ai 70 anni, percentuale che nelle donne aumenta fino a circa l’89%, mentre per gli uomini si ferma all’80%. Tutto ciò deve far riflettere su come i cambiamenti climatici stiano assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza, in special modo nel contesto di un paese a forte invecchiamento come il nostro.
Nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento delle nascite, il calo è di circa 184mila nati. Questa diminuzione è dovuta solo in parte alla rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. In realtà, tra le cause pesa l’invecchiamento della popolazione femminile nelle età considerate riproduttive (dai15 ai 49 anni). Dopo il lieve aumento del numero medio di figli per donna, verificatosi tra il 2020 e il 2021, riprende il calo dell’indicatore di fecondità.
Per un altro verso, la nuzialità registra un lieve aumento, ritornando ai livelli di prima della pandemia. Secondo dati provvisori, nel 2022 sono stati celebrati oltre187mila matrimoni, cifra in aumento rispetto al 2021. Il recupero dei matrimoni si osserva anche rispetto al 2019, ma è dovuto all’aumento dei matrimoni civili (+10,0% nel 2022 rispetto al 2019, +9,2% sul 2021), mostrando riduzioni più contenute rispetto ai matrimoni religiosi. Nel 2022 i matrimoni religiosi risultano in calo (-1,8%), anche nei mesi tra maggio e settembre, periodo in cui tradizionalmente si celebrano la maggior parte di essi. Mettendo a confronto il 2022 con il 2021, la tipologia di matrimonio più in ripresa è quella con almeno uno sposo al secondo matrimonio, mentre i primi matrimoni di entrambi gli sposi aumentano in misura più contenuta. Tra questi ultimi, sono in crescita quelli celebrati con rito civile, mentre quelli religiosi mostrano una diminuzione del 2,7%. Nel 2022 le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono state oltre 2mila, in crescita del 31% sul 2021.
Un paese per anziani?
Nonostante l’elevato numero di decessi avvenuto in questi ultimi tre anni (oltre 2mln e 150mila, di cui il 90% riguarda persone con più di 65 anni), il processo di invecchiamento della popolazione è proseguito, portando l’età media della popolazione da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023. Dunque, in questo periodo la popolazione residente è mediamente invecchiata di ulteriori otto mesi. Nel caso delle persone molto anziane più colpite dalla super-mortalità (gli ultraottantenni), si riscontra un incremento che li porta a 4mln e 530mila. Gli ultraottantenni costituiscono l’8,2% della popolazione totale nel Nord e nel Centro, il 6,8% nel Mezzogiorno. Il numero stimato di ultracentenari raggiunge nel 2022 il più alto livello storico, circa 22mila unità, oltre 2mila in più rispetto al 2021. Negli ultimi 20 anni il numero di ultracentenari è triplicato.
L’esigenza di una nuova visione sociale
«O nei prossimi 15 anni l’inversione di tendenza sarà realizzata portando le nascite sopra le 500mila e consentendo di gestire gli squilibri oppure sarà sempre più difficile invertire la tendenza. Nel giro di 2-3 anni riusciremo a capire se i prossini 15 anni saranno tali da avere un crollo della popolazione attiva per arrivare al 2050 con uno scenario del tutto insostenibile. In questa situazione, i pochi giovani che avremo se ne andranno all’estero scappando da un paese che oltre al debito pubblico li carica di squilibri demografici con ricadute su Pil, welfare, sistema sanitario». Sono le affermazioni di Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano, pronunciate durante la XII edizione del «Festival della dottrina sociale» (Verona, 24-27/11/2022). Noi «stiamo producendo politiche carenti e inadeguate e questo lo paghiamo in termine di rinunce individuali da parte dei giovani, famiglie e donne, che diventano squilibri collettivi demografici che penalizzano tutta la società».
Occorre dunque riconoscere che si fa molta retorica attorno alla famiglia, per poi abbandonarla a se stessa: questa retorica si utilizza anche per una contrapposizione ideologica che non aiuta a trovare una base comune per politiche condivise. La previsione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) per l’Italia è quella di ritrovarsi un rapporto di uno a uno, fra over 65 e under 15, entro il 2050. A questo punto è evidente che non si tratta di convincere le persone a fare figli, ma di edificare una società capace di accompagnare la scelta di procreazione con strumenti economici e servizi. Se si mantengono i livelli di fertilità sotto i due figli per donna, si riducono sempre più le generazioni che potranno avere figli. Si entra così in quel circolo vizioso da taluni definito come «trappola demografica». Per uscirne, secondo molti addetti ai lavori, occorre introdurre un sistema di welfare che consenta alle persone di realizzare i propri progetti di vita. Sia ben chiaro, già dagli anni ’70 è entrato in crisi il welfare incentrato sul maschio adulto lavoratore, senza decisive aperture alla partecipazione femminile nel mondo del lavoro. In quel periodo già si evidenziava il bisogno di un secondo reddito, mentre aumentavano i titoli di studio delle donne e diminuiva il loro impiego nelle fabbriche. Al momento ci troviamo di fronte alla più alta percentuale dei cosiddetti Neet (giovani che non studiano e non lavorano), a una bassa occupazione femminile, a una considerevole povertà delle famiglie con figli e bassa fecondità. I demografi hanno predetto che l’immigrazione potesse compensare tale denatalità, ma se non si inverte la tendenza, gli squilibri aumenteranno e nemmeno l’immigrazione potrà compensarli. I governi allora devono dare un chiaro segnale a una comunità che considera avere un figlio come una scelta di valore su cui è importante investire in maniera solida. Un paese senza nascite diventa un luogo che produce costi che diventano un problema per tutti. Un paese che invecchia, che deve sostenere le pensioni e il sistema di welfare, non può pensare che queste spese siano sostenibili se si riduce la fascia di popolazione attiva.
Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istituto nazionale di statistica (Istat), ha scritto che «il contratto sociale degli italiani con il loro Stato non favorisce le nascite. Ma nemmeno il mercato le aiuta». «Il nostro modello di welfare, clamorosamente sbilanciato su una spesa previdenziale che pesa per il 17% del Pil e che resterà su questi livelli fin oltre la metà del secolo, ha tradito una speranza di futuro». Un paese che oggi ha 59mln di abitanti nel 2070 ne avrà 48mln.
Il card. Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, durante un evento organizzato da Farmindustria a Roma sul problema della bassa natalità in Italia (1/3/2023), è andato nella direzione dei progetti di vita affermando: «La maternità e la paternità rompono l’individualismo. Un figlio cambia la vita, c’è un prima e un dopo […] su certe cose non ci si convince facendo le prediche ma vivendo. Se lo vivi, la predica è convinta. Se viviamo il gusto, la consapevolezza e il rischio, se verranno degli uomini che continuano a guardare avanti, anche i giovani avranno una cosa che sogneranno».
Ricordiamo ancora che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha stanziato 4,6mld di euro per l’ampliamento dei servizi educativi da 0 a 6 anni. Dal 2017 è stato introdotto il «bonus asilo nido», un contributo a rimborso delle spese sostenute dalle famiglie per la frequenza del nido: nel 2021 l’esborso è stato di 394mln di euro. A questo punto è necessaria anche una sostanziosa risposta imprenditoriale per rendere sostenibile il calo di popolazione. Per le numerose imprese familiari dei nostri distretti produttivi, significa immaginare soluzioni concrete per i nidi d’infanzia o altri servizi di welfare aziendale (questo ragionamento potrebbe valere anche per le Rsa, le residenze assistenziali sanitarie). Complessivamente l’importo erogato dall’Inps alle famiglie è stato di 241mln nel 2019, 197mln nel 2020 e 394mln di euro nel 2021.
La demografia a livello mondiale
In ultimo è interessante tentare di inserire la demografia di casa nostra in una visione mondiale: l’Onu nell’autunno 2022 ha stabilito che il numero di abitanti del pianeta avrebbe raggiunto gli otto miliardi di persone a fine anno. La fotografia che ne vien fuori è la seguente: «si possono distinguere tre tipi di paesi. I primi, soprattutto in Africa, sono quelli la cui transizione demografica non è completata, e stanno ancora sperimentando una crescita demografica sostenuta. I secondi, come la Cina e la Francia, registrano ancora una leggera crescita naturale della popolazione, ma solo per effetto dell’inerzia, e il loro probabile spopolamento è quasi certo nel lungo periodo, considerando proprio l’inerzia dei fenomeni demografici. Un terzo gruppo di paesi, come il Giappone, la Romania e una quindicina di altri in Europa tra cui l’Italia, sta assistendo a un calo della popolazione, soprattutto a causa di una diminuzione a lungo termine della fecondità» (Gérard-François Dumont, Otto miliardi? Quattro verità sulla popolazione della Terra, Avvenire del 6 marzo 2023. Articolo pubblicato come editoriale sul numero 761 [gennaio-febbraio] della rivista «Population & Avenir»).
MARIO CHIARO