La Mela Maria Cecilia
Ezechia: la preghiera di domanda
2023/5, p. 34
La preghiera di domanda forse è quella più frequente perché tendenzialmente siamo portati a chiedere, incalzati dai nostri o altrui bisogni, dalle urgenze della vita, dall’impazienza delle soluzioni.

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ASCOLTO-DIALOGO CON DIO
Ezechia
la preghiera di domanda
La preghiera di domanda forse è quella più frequente perché tendenzialmente siamo portati a chiedere, incalzati dai nostri o altrui bisogni, dalle urgenze della vita, dall’impazienza delle soluzioni.
Anche se stiamo distinguendo varie modalità di preghiera, non intendiamo presentare delle categorie fisse, standardizzate, come se la preghiera fosse a strati, piuttosto è a cerchi concentrici: la preghiera è unica, essa è ascolto-dialogo con Dio, e si manifesta a livello personale secondo le mozioni dello Spirito e quanto vissuto al momento, a livello comunitario nella liturgia e in altre forme di orazione comune. Abbiamo già parlato della preghiera di intercessione e di fiducia/affidamento; meditare adesso sulla preghiera di domanda non esula da quanto focalizzato precedentemente. La preghiera è un arcobaleno con variazioni di colori, ma è un tutto armonico che attiva contemporaneamente più diramazioni che dal cuore umano si dirigono a Dio.
La preghiera di domanda forse è quella più frequente perché tendenzialmente siamo portati a chiedere incalzati dai nostri o altrui bisogni, dalle urgenze della vita, dall’impazienza delle soluzioni. Il Signore stesso incoraggia a rivolgerci a Lui e presentargli con fiducia i nostri drammi, le nostre malattie, le nostre necessità. Perché per prima cosa si presenta e ci ama come un Padre.
La preghiera del re Ezechia
Ed ecco che apriamo la nostra Bibbia su alcune pagine del profeta Isaia (38,1-8) che riguardano il re Ezechia: «In quei giorni Ezechia si ammalò gravemente. Il profeta Isaia figlio di Amoz si recò da lui e gli parlò: «Dice il Signore: Disponi riguardo alle cose della tua casa, perché morirai e non guarirai».
Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e pregò il Signore. Egli disse: «Signore, ricordati che ho passato la vita dinanzi a te con fedeltà e con cuore sincero e ho compiuto ciò che era gradito ai tuoi occhi». Ezechia pianse molto.
Allora la parola del Signore fu rivolta a Isaia: «Va’ e riferisci a Ezechia: Dice il Signore Dio di Davide tuo padre: Ho ascoltato la tua preghiera e ho visto le tue lacrime; ecco io aggiungerò alla tua vita quindici anni. Libererò te e questa città dalla mano del re di Assiria; proteggerò questa città. Da parte del Signore questo ti sia come segno che egli manterrà la promessa che ti ha fatto. Ecco, io faccio tornare indietro di dieci gradi l'ombra sulla meridiana, che è già scesa con il sole sull'orologio di Acaz».
E il sole retrocesse di dieci gradi sulla scala che aveva disceso».
La forza della preghiera
Fermiamoci a questa prima metà, quella che potremmo definire in prosa, del racconto della vicenda di Ezechia. All’arrivo della malattia segue la profezia della morte con l’invito da parte Dio, per interposta persona, a fare testamento. Annuncio più terribile, così schietto e asciutto, non poteva esserci! Allora Ezechia si volta verso la parete e preferisce parlare direttamente con il Signore. Di primo acchito, il voltare la faccia verso il muro potrebbe segnalare due atteggiamenti che possono incorrere quando qualcosa di pesante si abbatte: girarsi dall’altra parte come se ci si sentisse offesi, contrariati, persino abbandonati. Oppure un lasciarsi già morire da vivi, ossia ripiegarsi sul proprio dramma non volendo più vedere o sentire alcunché. Ezechia, invece, si volge verso la parete come a cercare intimità, senso di protezione, per innalzare con pudore la sua domanda. Presenta le sue opere buone come supporto alla sua richiesta, quasi i suoi meriti fossero degli avvocati che perorano la petizione. In fondo, poi però, la preghiera di Ezechia convoglia in quel pianto a dirotto.
Come scrive padre Andrea Gasparino, «tutto l’Antico Testamento è pieno di richiami sulla potenza della preghiera. Certe pagine commoventissime della Bibbia avevano l’intento di maturare Israele ad una fiducia completa nella preghiera. Alcuni passi sono dei veri capolavori […].
La preghiera non ha bisogno di tante parole, ha solo bisogno di tanto contenuto di fede. Qualche volta è senza parole, qualche volta è solo la presentazione viva di un problema, qualche volta è un grido».
Ci chiediamo: è la buona condotta del re o le sue lacrime a commuovere il Signore? O piuttosto la generosità e la misericordia divina a far sì che quella preghiera e quelle lacrime cambino il verdetto sulla fine del re e in aggiunta anche sulla sua città? E Dio risponde ad Acaz con la stessa modalità del primo annuncio. Si serve ancora di Isaia che qui assurge non soltanto come profeta ma ancor più come compagno di cammino, maestro nell’aiutare a leggere la storia di un popolo strettamente intessuta con quella del suo re.
Il segno della meridiana, che ha dell’incredibile sul piano delle leggi della natura, diventa certezza di fede, garanzia di fedeltà. E così Ezechia, che era quasi avviato, disceso verso il buio della morte, risale la parabola della vita nella sua piena luminosità.
Al testo che abbiamo definito in prosa segue quello in poesia. Si tratta della lettura sapienziale che il «redivivo» Ezechia fa di quanto accaduto trasformandola in preghiera. Così meditava tra sé Ezechia dopo la guarigione ricordando anche il tempo della terribile malattia adesso riconosciuta come preludio di guarigione: «Dicevo: “A metà della mia vita me ne vado alle porte degli inferi;/ sono privato del resto dei miei anni./ Non vedrò più il Signore sulla terra dei viventi,/ non vedrò più nessuno fra gli abitanti di questo mondo./ La mia tenda è stata divelta e gettata lontano da me,/ come una tenda di pastori./ Come un tessitore hai arrotolato la mia vita,/ mi recidi dall'ordito. In un giorno e una notte mi conduci alla fine”./ Io ho gridato fino al mattino./ […] Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto./ “Signore, io sono oppresso; proteggimi”./ Che dirò? […]./ “Signore, in te spera il mio cuore;/ si ravvivi il mio spirito. Guariscimi e rendimi la vita”. Ecco, la mia infermità si è cambiata in salute!/ Tu hai preservato la mia vita dalla fossa della distruzione,/ perché ti sei gettato dietro le spalle tutti i miei peccati./ Poiché non gli inferi ti lodano,/ né la morte ti canta inni;/ quanti scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà./ Il vivente, il vivente ti rende grazie come io oggi faccio» (Is 38,10-19).
Quello che era sotteso e implicito nella succinta preghiera del brano narrativo qui viene esplicitato in tutti i suoi passaggi. Ma ci chiediamo ancora: è questa intensa, bella, sincera preghiera più articolata ad aver ottenuto la guarigione? Al Signore basta anche un piccolo cenno per esaudirci secondo la sua volontà, a noi occorre fare un cammino per prendere consapevolezza del dono ricevuto, al di là se la risposta è corrispondente alla domanda. «Mentre i pagani pensano di essere esauditi a forza di parole, voi pensate di essere esauditi perché il Padre conosce il bisogno. Esauditi, quindi, non a partire da noi ma a partire da lui. Non per qualcosa che facciamo noi, ma per qualcosa che c’è in lui. Esauditi per il bisogno, non per la domanda».
Vorremmo infine concludere con un piccolo accenno alle lacrime. Esse sono una estrinsecazione del dolore che dal di dentro di noi si espande all’esterno. Soprattutto la voce, che è soffio divenuto parole. Quindi anche il pianto è un mezzo con cui comunichiamo i nostri sentimenti, la nostra profonda commozione. Così è la preghiera. Anche san Benedetto, sulla scia dei Padri del deserto, raccomanda la preghiera accompagnata dal “dono delle lacrime”. Non che sia un gesto a comando, ma esso scaturisce spontaneo quando la pena è accorata, la contrizione è viva, la gratitudine sentita: «E siamo convinti che saremo esauditi non per le molte parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione delle lacrime» (RB 20,3).
La contrizione del cuore – che non è un piangere su se stessi commiserandosi – oggi potrebbe essere fraintesa come un devozionismo pietistico. Essa invece è quel voltare lo sguardo distogliendolo da se stessi per incontrare quello di Dio.
suor MARIA CECILIA LA MELA, osbap