Ferrari Matteo
«Ecco il sognatore!»
2023/5, p. 23
Giuseppe e i sogni dei giovani.

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LA GIOVINEZZA, TEMPO DEI SOGNI
«Ecco il sognatore!»
Giuseppe e i sogni dei giovani
Nell’Esortazione Apostolica Postsinodale Christus Vivit papa Francesco cita come primo esempio di giovane del Primo Testamento, Giuseppe. A proposito di questo personaggio biblico egli scrive: «in un’epoca in cui i giovani contavano poco, alcuni testi mostrano che Dio guarda con altri occhi. Ad esempio, vediamo che Giuseppe era quasi il più piccolo della famiglia (cf. Gn 37,2-3). Tuttavia, Dio gli comunicò grandi cose in sogno ed egli superò tutti i suoi fratelli in incarichi importanti quando aveva circa vent’anni (cf. Gn 37-47)» (CV 6). È bella la sottolineatura che il papa fa: Dio guarda in modo diverso, con altri occhi, i giovani e i loro sogni. Forse il papa vuole proprio invitare ad assumere anche noi lo sguardo di Dio sui giovani. Un invito rivolto anche ai giovani perché sentano su di loro lo sguardo «diverso» di Dio.
Attraverso la storia di Giuseppe, potremmo cercare di cogliere qualche tratto dello sguardo «altro» di Dio sui giovani. Chi è Giuseppe? Lo descriveremo meglio più avanti, ma possiamo dire innanzitutto che egli è «un sognatore». I suoi fratelli lo chiamavano così: «Eccolo! È arrivato il signore dei sogni!» (Gn 37,19). Questo appellativo di Giuseppe potrebbe guidarci nella lettura della sua storia. Egli è un sognatore, proprio come è normale che sia un giovane. Il papa afferma: «Un giovane non può essere scoraggiato, la sua caratteristica è sognare grandi cose, cercare orizzonti ampi, osare di più, avere voglia di conquistare il mondo, saper accettare proposte impegnative e voler dare il meglio di sé per costruire qualcosa di migliore» (CV 15). Giuseppe è proprio così e tutta la sua storia ruota proprio intorno ai sogni. Infatti tutta la storia di Giuseppe ha come filo conduttore i sogni: dapprima i sogni di Giuseppe stesso, ma poi anche i sogni di altri che il ragazzo è capace di interpretare. Sono questi sogni che faranno andare avanti la storia di Giuseppe fino alla sua sorprendente conclusione. In tutta la vicenda Dio sembra quasi assente… lo si menziona solo in poche situazioni e alla fine del racconto, per rileggere tutta la vicenda di Giuseppe e dei suoi fratelli in una prospettiva di fede.
I sogni di un giovane
La prima parte del racconto del ciclo di Giuseppe potremmo dire che è caratterizzata dai sogni del ragazzo con i quali egli si fa conoscere come «il Signore dei sogni». Tutto ha inizio quando Giuseppe ha diciassette anni. Egli è il figlio avuto in vecchiaia da Giacobbe. Egli è il penultimo dei figli di Giacobbe, avuto in tarda età dalla moglie prediletta Rachele. Giuseppe, insieme a suo fratello Beniamino, è il più amato tra i suoi fratelli e quindi anche un po’ viziato. Bisogna subito dire che, leggendo il racconto, non si può certo dire che nemmeno il padre Giacobbe abbia aiutato a rendere simpatico il giovane Giuseppe ai suoi fratelli: «Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe» (Gn 37,3). Il padre non nasconde la sua predilezione per il giovane figlio e non si mostra certamente come un «grande educatore». Infatti, proprio per il comportamento del padre nei confronti del figlio Giuseppe, si crea una situazione di conflitto tra i fratelli. Il testo afferma: «I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente» (Gn 37,4). Se nella Bibbia abbiamo dei bravi «padri» – pensiamo a Eli per Samuele o a Samuele per Davide – capaci di guidare i loro «figli» nel discernimento della volontà di Dio, questo non si può dire certamente per Giacobbe/Israele. La Bibbia ci fa vedere che possono esserci anche dei «cattivi padri» e che questo ha delle conseguenze nella vita dei figli. Giacobbe/Israele si conferma l’uomo ambiguo e certamente non esemplare che ci è stato descritto nel ciclo di Giacobbe.
Anche Giuseppe non fa molto per farsi amare dai suoi fratelli. Egli infatti riferisce al padre voci malevole nei loro riguardi (cf. Gn 37,2). Inoltre – e qui entrano in scena i sogni – egli racconta ingenuamente ai suoi fratelli un suo primo sogno un po’ particolare. Il ragazzo sogna che, quando si trova in campagna per legare i covoni, mentre il suo covone si alza e rimane diritto, quelli dei suoi fratelli si prostrano davanti a quello di Giuseppe (cf. Gn 37,5-8). Naturalmente i fratelli si risentono di questo sogno, interpretandolo come un segno di presunzione del loro fratello minore nei loro confronti. Per due volte il testo afferma che l’odio dei fratelli nei confronti di Giuseppe cresceva sempre più (cf. 37,5.8). Il testo sottintende che l’ostilità dei fratelli nei confronti del giovane aumentava proprio «a causa dei suoi sogni e delle sue parole» (Gn 37,8). È interessante che siano proprio i sogni a far crescere l’inimicizia degli altri figli di Giacobbe nei confronti del loro fratello minore.
Giuseppe poi fa un secondo sogno (cf. Gn 37,9-10). Con molta semplicità, ma potremmo dire anche con un po’ di ardore giovanile, Giuseppe racconta questo sogno ai suoi fratelli: «Ho fatto ancora un sogno, sentite: il sole, la luna e undici stelle si prostravano davanti a me» (Gn 37,10). Il giovane Giuseppe ha anche la libertà e l’ardire di raccontare questo suo sogno al padre. Giacobbe questa volta, essendo direttamente coinvolto nel sogno del figlio, credendolo un po’ troppo ambizioso, è contrariato e rimprovera Giuseppe. Anche in questo caso il sogno del giovane diventa causa di invidia da parte dei fratelli maggiori. Di Giacobbe invece si dice che egli «tenne per sé» questa cosa, quasi come per meditare sul futuro del giovane che quegli strani sogni potevano indicare. D’altra parte in gioventù anche lui aveva fatto dei sogni (Gn 28,12) e, forse, pur non essendo un padre esemplare, qualcosa aveva imparato.
Siamo quindi di fronte a due sogni che il giovane Giuseppe ha la spontaneità, ma forse anche l’ardire, di raccontare ai suoi fratelli e anche a suo padre. Giuseppe è giovane, inesperto, animato dagli slanci propri della sua età. Forse sta anche sbagliando, ma a un giovane occorre lasciare la possibilità anche di sbagliare e di imparare. I suoi fratelli non riescono a parlare con lui (cf. Gn 37,4), mentre Giuseppe continua a parlare con loro e a raccontare i suoi strani sogni. Ma che cosa accade? Chi è che per il momento interpreta i sogni del giovane Giuseppe? In questa prima fase del racconto sono solamente i fratelli e il padre a farsi interpreti dei sogni del giovane più viziato della famiglia. Non è Giuseppe che interpreta i suoi sogni, che dice che cosa significhino per lui e che senso abbiano per la loro vita. Sono gli altri, gli «adulti», a dare un significato ai sogni del giovane e glielo danno negativo. Anche noi, i lettori, siamo condotti dall’abilità del narratore a dare ragione ai fratelli e a Giacobbe. Tutto nel testo concorre a renderci antipatico il giovane Giuseppe, a farcelo sembrare arrivista, viziato, presuntuoso. E tuttavia il seguito del racconto ci mostrerà che c’è un’altra faccia dei sogni del giovane, che sarà decisiva per la conclusione della storia. I fratelli e il padre interpretano i sogni di Giuseppe a partire dalla loro invidia. Essi sono talmente adulti da non poter comprendere che un giovane può vivere le cose in un modo differente. Tanto più è colpevole il padre Giacobbe che, pur essendo il vero responsabile delle cattive relazioni che regnano nella sua famiglia, si risente solamente quando può intravedere nei sogni del suo figlio preferito qualcosa che minaccia la sua posizione. Nessuno in questa vicenda si è premurato di chiedere a Giuseppe di dare lui stesso una interpretazione dei suoi sogni, di saper dire in prima persona che cosa essi significassero nella sua esistenza. A questi sogni «gli adulti» danno solamente un’interpretazione negativa, come se i sogni di un giovane potessero minacciare la loro vita. Tuttavia forse per Giuseppe quei sogni potevano rappresentare un tentativo, come di fatto saranno, per riallacciare i rapporti con dei fratelli maggiori che non gli rivolgevano più la parola.
Questa immagine biblica può dire qualcosa a noi oggi? Come ci comportiamo noi di fronte ai sogni dei giovani? Forse, spesso corriamo il rischio anche noi di farci interpreti dei sogni dei giovani, di pensare di essere in grado di dare l’interpretazione autentica dei loro desideri, delle loro aspirazioni, senza metterci in ascolto di ciò che pensano loro. Spesso, come Giacobbe e i suoi figli, anche noi siamo portati a pensare che quello che pensano i giovani corrisponda perfettamente a quello che noi pensiamo di loro. Per di più, proprio come Giacobbe, siamo anche dei cattivi «padri», dei cattivi educatori, che prima generano situazione di divisione e di tensione, e poi si risentono quando anche ne sono toccati o messi in qualche modo in discussione. A volte il nostro modo generico e superficiale di parlare dei giovani indica che noi non li ascoltiamo, non chiediamo direttamente a loro di interpretare i loro sogni, ma ci accontentiamo delle nostre, spesso malevole, interpretazioni. Come i fratelli maggiori, chiusi nell’invidia, non parliamo con i giovani, eppure pensiamo di poter essere interpreti dei loro sogni.
Certo, però, anche Giuseppe ha i suoi limiti. Ma sono proprio limiti? Giuseppe non è forse semplicemente «giovane»? Non è normale che un giovane sia «un sognatore». Se non lo è un giovane, chi dovrebbe esserlo? Il papa afferma, citando il documento finale del Sinodo sui giovani: «la giovinezza, fase dello sviluppo della personalità, è marcata da sogni che vanno prendendo corpo, da relazioni che acquistano sempre più consistenza ed equilibrio, da tentativi e sperimentazioni, da scelte che costruiscono gradualmente un progetto di vita» (CV 137). Sembra quasi la descrizione della situazione del giovane Giuseppe. Quello che è normale per un giovane viene interpretato come superbia, come arrivismo… si preferirebbe che Giuseppe fosse già vecchio. Il padre e i fratelli non sanno cogliere la sfida della giovinezza e di lasciare che essa possa esprimersi, magari anche andando un po’ sopra le righe, con tutta la sua freschezza e spontaneità.
La situazione di mancanza di comunicazione, di preferenze, di fraintendimenti, porta i fratelli a tentare l’uccisione di Giuseppe, che poi si conclude con la sua vendita come schiavo a dei mercanti madianiti, che conducono il giovane in Egitto (Gn 37,12-36). È significativo che mentre Giuseppe va dai suoi fratelli per vedere come stanno, essi, tacciandolo come «il signore dei sogni», decidano di toglierlo di mezzo. Sembra siano proprio i sogni del giovane a dare fastidio ai fratelli maggiori, tanto che essi cercano di sbarazzarsene. I sogni dei giovani possono dare talmente fastidio, da far nascere il desiderio di toglierli di mezzo, o almeno di mandarli lontano.
L’interpretazione dei sogni in Egitto
In Egitto inizia la seconda fase del racconto. Qui i sogni non finiscono. Tuttavia non è Giuseppe a sognare, ma diventa interprete dei sogni degli altri, degli adulti. Strana cosa: a casa propria, nella sua famiglia, nessuno chiedeva al ragazzo di interpretare i propri sogni, in Egitto invece gli viene chiesto di dare una interpretazione ai sogni degli altri. C’è quindi qualcuno che ha il coraggio di chiedere ad un giovane di interpretare i sogni. Che cosa accade quando un giovane interpreta i sogni?
Appena Giuseppe giunge in Egitto, subito incontra un grande successo (cf. Gn 39,1-6). Viene acquistato come schiavo da un notabile della corte del faraone e la casa di quell’uomo viene immediatamente benedetta dal Signore (Gn 39,5). È uno dei pochi casi in tutta la storia di Giuseppe in cui si parla di un intervento di Dio. A Giuseppe, Potifàr affida tutti i suoi averi e la sua casa conosce un periodo di grande posterità. Dice il testo che «a lui (Giuseppe) tutto riusciva bene» (Gn 39,2). Ma questa prima fase della storia di Giuseppe in Egitto finisce presto, con il tentativo di seduzione di Giuseppe da parte della moglie del suo padrone. Così Giuseppe, ingiustamente accusato, viene condotto nella prigione dove venivano rinchiusi i carcerati del re (Gn 39,7-20). Ma anche in prigione Giuseppe ha successo (Gn 39,20-23) e conquista la stima e la fiducia del comandante della prigione. Anche in questo caso si dice che interviene il Signore: «il Signore era con lui, e il Signore dava successo a tutto quanto egli faceva» (Gn 39,23).
In prigione, in questa seconda fase del successo del giovane Giuseppe in Egitto, ricompaiono i sogni. Giuseppe è chiamato a interpretarne due (Gn 40,1-22). Vengono imprigionati il coppiere e il panettiere del faraone ed entrambi hanno un sogno. Giuseppe è in grado di interpretare i loro sogni e la sua interpretazione si avvera: il coppiere viene reintegrato nelle sue funzioni, mentre il panettiere viene impiccato, proprio secondo l’interpretazione di Giuseppe (Gn 40,20-23). Questa è la premessa per il passaggio futuro che riguarda i sogni di un personaggio ben più importante, il faraone.
Dopo molto tempo – il coppiere infatti si era dimenticato di Giuseppe – anche il faraone, il re d’Egitto, ha un sogno (Gn 41,1-36). Il re d’Egitto ha il famoso sogno delle sette vacche grasse e delle sette magre, delle sette spighe piene e delle sette vuote. Dal momento che nessuno sa interpretare i sogni del faraone, ad un certo punto il coppiere si ricorda di Giuseppe e della sua capacità di interpretare i sogni. Allora il faraone fa chiamare il giovane dalla prigione e lo interroga circa il significato dei suoi sogni. Giuseppe si dimostra saggio e in grado di interpretare i sogni del re: «Dio ha indicato al faraone quello che sta per fare» (Gn 41,25). Giuseppe non solo interpreta il sogno del faraone indicando che ci saranno sette anni di abbondanza, rappresentati dalle sette vacche grasse e dalle sette spighe piene, e sette anni di carestia, rappresentati dalle sette vacche magre e dalle sette spighe vuote, ma indica al sovrano anche la soluzione: «il faraone pensi a trovare un uomo intelligente e saggio e lo metta a capo della terra d’Egitto» (Gn 41,33). Allora il faraone decide che l’uomo intelligente e saggio adatto per guidare il suo regno in quel momento così delicato fosse proprio il giovane Giuseppe, che diventa governatore del re (Gn 41,40). Ed ecco che subito l’opera di Giuseppe ha nuovamente successo e, mentre la carestia colpisce tutta la terra, grazie all’opera di Giuseppe, «in tutta la terra d’Egitto c’era il pane» (Gn 41,54) e da ogni parte accorrono per acquistare viveri. Ancora una volta, dove il giovane Giuseppe, ormai cresciuto, mette mano c’è successo e prosperità.
Che cosa è accaduto in Egitto? Per tre volte il racconto ha messo in evidenza che dove arriva Giuseppe e dove gli viene data responsabilità, subito c’è prosperità e abbondanza: accade nella casa di Potifàr, in prigione e nella reggia del faraone. Evidentemente Giuseppe è un giovane brillante, con tante capacità. I suoi antichi sogni, apparentemente un po’ ambiziosi, forse esprimevano proprio queste caratteristiche del giovane e del ruolo che egli avrebbe avuto nel tenere in vita la sua famiglia. Dove si ascoltano i giovani, sembra dire il racconto, dove si lascia loro di interpretare i sogni, lì c’è prosperità. Interpretare i sogni è un mestiere da giovani, occorre lasciarglielo fare. Non così invece per la casa di Giacobbe, per i fratelli di Giuseppe, che sono costretti ad andare proprio in Egitto per acquistare il grano per le loro famiglie a causa della carestia (Gn 42,1-44,34). È un paradosso: essi devono inconsapevolmente andare da Giuseppe per poter rimanere in vita. Dove, appunto il giovane Giuseppe non era ascoltato, né compreso nella sua esuberanza giovanile, la carestia imperversa, dove invece gli è stato chiesto di fare «il mestiere del giovane», cioè di interpretare i sogni, il pane, cioè la vita e la possibilità di futuro, non viene a mancare.
Fratelli che si incontrano
L’indigenza della casa di Giacobbe e la mancanza di pane è l’occasione perché le strade dei fratelli possano nuovamente incrociarsi. I fratelli di Giuseppe sono costretti ad andare in Egitto in cerca di pane, ma non sanno che il governatore d’Egitto è proprio quel «signore dei sogni» che essi avevano venduto come schiavo. «Svendere» i sogni e i sognatori porta inevitabilmente alla carestia e alla fame.
Qui, in Egitto, assumono il loro vero senso i sogni di Giuseppe. I fratelli e il padre avevano interpretato i sogni del giovane come arroganti e ambiziosi, in Egitto si rivela che attraverso quei sogni, proprio come il sogno del faraone, il Signore stava indicando quello che stava per accadere. Quei covoni che si inchinano, quelle stelle che si prostrano, non sono altro che la predizione di ciò che effettivamente accadrà in Egitto. Il racconto è anche un po’ ironico. Infatti sono stati proprio i fratelli invidiosi a rendere possibile con la loro azione contro il giovane Giuseppe l’avveramento dei suoi sogni.
Ora però la storia fa emergere il suo significato più profondo e Giuseppe può finalmente essere lui l’interprete dei suoi sogni, senza che altri, malevolmente, debbano sentirsi in diritto e dovere di farlo. Sì, finalmente, in Egitto Giuseppe, dopo aver interpretato quelli degli altri, può diventare interprete dei suoi sogni. E scopriamo che la sua interpretazione non è cattiva e presuntuosa come avevano pensato il padre e i fratelli. Certo Giuseppe è cresciuto, ha fatto tante esperienze, ed ora può interpretare in modo chiaro e saggio i suoi sogni giovanili.
In questo senso ci sono due passaggi molto significativi nei quali emerge il senso della lunga e avvincente storia che la Genesi racconta. Dopo svariate vicende Giuseppe si fa riconoscere dai suoi fratelli (Gn 45,1-15). Il momento è molto delicato. C’è un uomo ferito, divenuto potente, che potrebbe vendicarsi del male subito; ci sono dei colpevoli paurosi di essere colpiti da una giusta vendetta. Ma Giuseppe, quel giovane ritenuto ambizioso, dà un’interpretazione completamente differente della vicenda. Potremmo vedere proprio qui la sua interpretazione dei suoi sogni giovanili. In primo luogo, davanti ai suoi fratelli, il governatore ebreo d’Egitto afferma: «Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nella terra e per farvi vivere per una grande liberazione» (Gn 45,7). Giuseppe dà una lettura provvidenziale della sua storia, che proprio i suoi sogni giovanili forse gli permettono di ricavare. Giuseppe è andato in Egitto per mantenere in vita la sua famiglia. I covoni che si inchinano e le stelle che si prostrano non sono un segno di ambizione del giovane Giuseppe, ma la lettura provvidenziale della sua storia, di ciò che effettivamente sarebbe accaduto. Le doti di Giuseppe, i suoi doni, il fatto di essere un giovane brillante, non sono una minaccia per la sua famiglia, ma un dono… sono ciò che garantirà la sua sopravvivenza. Non bisogna avere paura dei sogni dei giovani, della loro vivacità e vitalità, della loro intelligenza e creatività. È ciò che garantisce la vita.
In un secondo passaggio Giuseppe fornisce un’ulteriore lettura della storia. Dopo la morte del padre Giacobbe, i fratelli hanno timore che sia giunto per loro il momento della vendetta del fratello. Pensano che Giuseppe non li abbia ancora puniti solo per riguardo al vecchio padre (Gn 50,15). Invece Giuseppe si rivolge loro dicendo: «se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso» (Gn 50,20). Ancora una volta Giuseppe può interpretare i suoi sogni. Egli vede in essi un annuncio decisivo: Dio può trasformare in bene anche il male. Giuseppe, quel giovane che tutti credevano un arrivista viziato – mentre era semplicemente giovane – ha la saggezza di rileggere la sua storia, anche la sua grande sofferenza, come il luogo nel quale Dio ha pensato di fare servire per un bene il male commesso. Ecco un’altra «interpretazione autentica» dei sogni di Giuseppe.
Perseverare sulla strada dei sogni
Che cosa può insegnarci la storia di Giuseppe, il «signore dei sogni»? È un racconto molto provocante, che ci invita innanzitutto ad ascoltare i sogni dei giovani e a lasciare ai giovani di essere giovani, interpreti dei propri sogni. Come Giacobbe e i suoi figli più grandi non possiamo pretendere di essere noi ad avere il diritto e il dovere di interpretare i sogni dei giovani, dobbiamo lasciare che siano essi a darne una loro «interpretazione autentica». Papa Francesco, in Christus vivit, si interroga sulla capacità della Chiesa di ascoltare i sogni dei giovani. Egli afferma: «una Chiesa sulla difensiva, che dimentica l’umiltà, che smette di ascoltare, che non si lascia mettere in discussione, perde la giovinezza e diventa un museo. Come potrà così accogliere i sogni dei giovani?» (CV 41). E rivolgendosi direttamente ai giovani afferma: «Dobbiamo perseverare sulla strada dei sogni. (…) I sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno, rinunciando alla fretta. (…) Giovani, non rinunciate al meglio della vostra giovinezza (…). Non siate auto parcheggiate, lasciate piuttosto sbocciare i sogni e prendete decisioni. Rischiate, anche se sbaglierete» (CV 142.143).
La vicenda di Giuseppe e dei suoi fratelli ci dimostra che, per «rimanere in vita», occorre ascoltare i sogni dei giovani, avere fiducia, rimanendo loro accanto, guardare ai loro sogni con gli occhi di Dio. Solo accogliendo questa sfida la Chiesa può rimanere giovane, come sempre giovane è stato il suo Maestro e Signore. Occorre sfuggire alla rassicurante tentazione di mandare i giovani in pensione prima del tempo, mettendo a tacere i loro sogni con le nostre interpretazioni. Papa Francesco fa questo appello ai giovani: «Per favore, non andate in pensione prima del tempo» (CV 143).
MATTEO FERRARI, monaco di Camaldoli