Ugolini Gottfried
Il dramma dell’abuso interroga tutta la Chiesa
2023/4, p. 1
In queste pagine a guidarci dentro il grave tema degli abusi è don Gottfried Ugolini, membro del consiglio di presidenza del Servizio nazionale per la tutela minori della Conferenza episcopale italiana. In questo primo contributo, don Gottfried, che è anche coordinatore del Servizio interdiocesano del Triveneto, ci invita a riconoscere la dimensione strutturale e sociale dell’abuso, presentando le diverse articolazioni del tema.

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Testimoni
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Il dramma dell’abusointerroga tutta la Chiesa
Papa Francesco nella sua Lettera al popolo di Dio del 20 agosto 2018 parte dai dati dei rapporti sulle «persone che sono state vittime di abusi sessuali, di potere e di coscienza per mano di sacerdoti» e che solo «col passare del tempo abbiamo conosciuto il dolore di molte delle vittime e constatiamo che le ferite non spariscono mai e ci obbligano a condannare con forza queste atrocità, come pure a concentrare gli sforzi per sradicare questa cultura di morte; le ferite «non vanno mai prescritte». Il dolore di queste vittime è un lamento che sale al cielo, che tocca l’anima e che per molto tempo è stato ignorato, nascosto o messo a tacere. Ma il suo grido è stato più forte di tutte le misure che hanno cercato di farlo tacere o, anche, hanno preteso di risolverlo con decisioni che ne hanno accresciuto la gravità cadendo nella complicità. Grido che il Signore ha ascoltato facendoci vedere, ancora una volta, da che parte vuole stare». In queste pagine a guidarci dentro il grave tema degli abusi è don Gottfried Ugolini, membro del consiglio di presidenza del Servizio nazionale per la tutela minori della Conferenza episcopale italiana. In questo primo contributo, don Gottfried, che è anche coordinatore del Servizio interdiocesano del Triveneto, ci invita a riconoscere la dimensione strutturale e sociale dell’abuso, presentando le diverse articolazioni del tema.
Non è facile confrontarsi sul tema degli abusi, soprattutto quando si tratta dell’abuso sessuale. Il tema suscita reazioni emotive negative. Non ci sentiamo a nostro agio. Proviamo disgusto e schifo. Tendiamo a tenere a distanza il tema perché provoca paura, rabbia e insicurezza. Ci viene naturale rifiutare di parlarne. Solo l’idea di immaginarci tale realtà ci spaventa e ci sconvolge. Ci sentiamo toccati e provocati nella nostra intimità, nella nostra storia personale della sessualità e delle nostre relazioni con gli altri. C’è anche chi si sente minacciato o attaccato soltanto sentendo nominare questa realtà. C’è chi fa fatica a riconoscerla o che si sente impotente. Ma c’è anche chi prova compassione, vergogna e senso di colpa perché questi abusi sono avvenuti in mezzo a noi. Tutte queste reazioni sono normali. Esse mettono in evidenza il nostro senso di pudore e di vergogna nonché la nostra esperienza e visione di relazioni sane, buone, rispettose e costruttive.
È totalmente diverso per chi, a sua volta, ha subito un abuso o anche solo un tentativo, indipendentemente se l’abuso o il tentativo è stato lieve o grave. Lascia sempre una ferita, una traccia.
La necessità di rompere un tabù
Il tabù della sessualità è ancora presente nonostante una cultura che permette un facile accesso gratuito e indiscriminato a informazioni, immagini e comunicazioni attraverso i social media e l’internet. Inoltre, i modelli di vita legati alla sessualità sono illimitati. Di fronte a questa realtà l’educazione all’intimità, alla sessualità, alla capacità di relazione e ai valori connessi con la qualità di una “buona vita” in generale e di una vita orientata ai valori cristiani in particolare diventa sempre più difficile, sfidante e impegnativa.
Oltre il tabù della sessualità esiste anche il tabù del potere, dell’autorità. Il potere non ha in sè una valenza negativa o positiva. La qualità dell’influsso sociale del potere dipende da come viene usato: può essere esercitato in modo costruttivo per il bene della persona, della vita e per il bene comune; oppure, viene usato in modo distruttivo, dove la dignità, la libertà e l’integrità della persona umana, la sua vita insieme al suo ambiente e il bene comune vengono squalificati, non riconosciuti, sottomessi o sacrificati agli interessi altrui o pervertiti per gratificare i propri bisogni.
Un altro aspetto riguarda la percezione del potere e dell’autorità legata a un ruolo (incarico, compito). Il potere viene a sua volta o negato (abolito, non riconosciuto) o ritenuto inattaccabile (fondamentalismo). A queste due polarità del potere contribuiscono la crisi dell’autorità, il relativismo e l’individualismo, ma altrettanto un certo atteggiamento di indifferenza. All’interno della Chiesa sovente l’esercizio del potere e dell’autorità avviene sotto l’etichetta del “servizio”. Una delle espressioni dell’abuso di potere è la manipolazione.
Per promuovere e favorire di vivere in modo sano, buono e apprezzante la propria sessualità, e per esercitare in modo responsabile, trasparente e rispettoso il potere e l’autorità conferita, è necessario rompere i rispettivi tabù creando un maggiore clima di fiducia, di dialogo e di verità per il bene della persona, della sua vita e per il bene comune.
Gli elementi dell’abuso
I tre elementi di base inerenti in ogni forma di abuso sono: la relazione, la fiducia e il potere. Questi tre elementi agiscono insieme in un ambiente che permette, favorisce e copre l’abuso.
La relazione già presente o instaurata è sempre asimmetrica sia nel contesto familiare che extrafamiliare. Nel primo, la relazione è definita dal legame familiare ovvero dal grado di parentela, dagli amici o dalle persone vicine alla famiglia. La presunta vittima può essere scelta, per esempio, per una simpatia particolare, per la sua vulnerabilità, per le sue doti, per le sue esigenze o carenze. Nel contesto extrafamiliare la relazione dev’essere costruita selezionando e scegliendo la presunta vittima, instaurando un primo contatto, manifestando un’attenzione particolare o mirata sulle esigenze della presunta vittima, esprimendo simpatia, cercando di offrire aiuti, sostegni, regali e privilegi, testimoniando preferenze e riconoscimenti apprezzanti ecc.
Nella relazione già presente, sia nell’ambiente familiare, e sia in quella instaurata, la fiducia funziona come collante. Una relazione senza fiducia non promuove né garantisce la formazione di una dipendenza e una continuità tra la persona abusante e la presunta vittima. A volte la fiducia, soprattutto in ambito familiare, è forzata nei confronti della presunta vittima dovuta ai legami familiari e alle dipendenze familiari.
Il terzo elemento riguarda il potere presente in ogni relazione asimmetrica ed è dovuto alla disuguaglianza di potere. I motivi possono essere molteplici, per esempio: età maggiore, vantaggi fisici, psicologicamente e intellettualmente più maturo, più esperienze, più esperto, posizione superiore nella famiglia, ruolo, autorità, supremazia, superiorità, stato sociale superiore reale o percepito come tale, ecc. Nel contesto pastorale spesso ci dimentichiamo di trovarci in una relazione asimmetrica: nell’esercizio dei vari ruoli pastorali e liturgici, nel colloquio pastorale, nell’accompagnamento spirituale, nelle attività di carità, nella catechesi ecc. Questo richiede una consapevolezza del proprio potere di fronte all’altra persona e alle altre persone e della responsabilità nell’esercitarlo rispettando la loro dignità, libertà e coscienza.
Il sistema …sempre complice
Ogni forma di abuso è una violazione della dignità, della libertà, della coscienza e dell’integralità della persona umana e del contesto sociale nel quale l’abuso è avvenuto. Mai, infatti, l’abuso avviene esclusivamente tra due persone: avviene sempre in un ambiente, in un sistema che lo permette, lo protegge e lo copre. Aspetti ideologici e strutturali possono favorire l’abuso come, per esempio, la visione del sacerdote come alter Cristo e il sacerdozio come inattaccabile. Non dimentichiamo che l’abuso era considerato un crimine contro il 6° comandamento e il celibato, e soltanto nel 2021, con la revisione del libro sesto del Codice del diritto canonico, è stato specificato come crimine contro la vita, la dignità e la libertà della persona umana. L’uso inappropriato e dannoso del potere sia dei chierici che dei laici è stato definito clericalismo. Una «perversione che uccide le persone», l’ha definita papa Francesco, in quanto le gerarchie ecclesiali, diocesane, degli istituti religiosi e delle congregazioni laicali hanno reagito salvaguardando in prima linea l’immagine della Chiesa o dell’istituzione attraverso spostamenti, denaro nascosto, negazione e altre forme difensive. Sebbene i responsabili di oggi non siano direttamente responsabili per gli abusi avvenuti da chierici, religiosi e religiose – spesso già morti o anziani e dementi – essi, tuttavia, sono da ritenersi responsabili per le ferite e le sofferenze sia delle persone vittime o sopravvissute agli abusi, sia per le comunità e istituzioni dove gli abusi sono avvenuti. Contemporaneamente, esiste anche una responsabilità nei confronti delle persone che hanno abusato e dei responsabili che hanno coperto gli abusi.
GOTTFRIED UGOLINI