Chiaro Mario
Il fenomeno delle bande giovanili nel mondo
2023/4, p. 38
Di fronte a questa forma diffusa di comportamento e aggregazione delle generazioni più giovani, è urgente creare programmi di prevenzione che comprendano le cause del loro coinvolgimento nell’attività criminale e dell’adesione a tali gruppi. In questo campo la VC può giocare un ruolo importante.

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REPORT CARITAS
Il fenomeno
delle bande giovanili nel mondo
Di fronte a questa forma diffusa di comportamento e aggregazione delle generazioni più giovani, è urgente creare programmi di prevenzione che comprendano le cause del loro coinvolgimento nell’attività criminale e dell’adesione a tali gruppi. In questo campo la VC può giocare un ruolo importante.
Far parte di una gang significa vivere uno stile di associazione alternativo al modello diseguale della società. Gli elementi di novità che possiamo cogliere oggi riguardano il progressivo coinvolgimento di fasce giovanili tradizionalmente estranee a tali forme di comportamento, che escono dai ghetti delle grandi periferie urbane per entrare in territori inaspettati: aree rurali e di montagna, centri storici, scuole ecc. Un recente contributo di Caritas Italiana ci offre un primo dato importante: «sotto l’ombrello del termine “banda” o “gang” possono ricadere organizzazioni strutturate che contano centinaia di membri, coinvolti in traffici illegali a livello internazionale, così come i gruppi di ragazzi che si riuniscono nelle nostre città e che riprendono qualche elemento e tratto caratteristico delle bande più famose, assumendo comportamenti devianti come il consumo di sostanze stupefacenti e alcol o la messa in atto di reati minori». Frank Weerman, ricercatore dell’NSCR (Netherlands Institute for the Study of Crime and Law Enforcement), così definisce la gang giovanile: «qualsiasi gruppo giovanile stabile nel tempo e orientato alla strada la cui identità include il coinvolgimento in attività illegali». Una formula con quattro elementi: la durata nel tempo, la territorialità (il gruppo passa parte del tempo al di fuori dei luoghi in cui c’è un controllo degli adulti: scuola, casa o lavoro), l’età dei componenti, lo svolgimento di attività illegali come carattere distintivo dell’identità di gruppo.
La comprensione del fenomeno delle bande giovanili fa riferimento in gran parte a studi con concetti interpretativi occidentali. Uno studio condotto dallo United Nations Office on Drugs and Crime, pubblicato nel 2019, fornisce i tassi di omicidio a carico di giovani di varie fasce di età: i paesi americani sono quelli con il più alto tasso di omicidi, sia nella fascia di età infantile-adolescenziale (5,3 omicidi per 100mila persone della stessa fascia di età) che soprattutto nella fascia di età dei giovani adulti tra i 18 e i 29 anni (28,4 omicidi per 100mila persone). Un’altra indagine molto estesa è l’lnternational Self-Report Delinquency Study (ISRD), che coinvolge anche l’Italia. Da questo studio si possono estrapolare dati su chi si può considerare componente di una banda avendo risposto affermativamente a sei domande: avere un gruppo di amici; passare il tempo con loro prevalentemente in strada o in spazi pubblici; accettare o tollerare che il gruppo ponga in essere attività illegali; compiere in gruppo attività illegali; considerare il proprio gruppo come una banda o una gang; dichiarare che il gruppo esiste da più di tre mesi. «Una indagine di Europol del 2017 ha evidenziato una tendenza alla frammentazione delle organizzazioni criminali in Europa, che sono aumentate da 3.600 nel 2013 a 5.000 nel 2017». Si registra l’emergere di reti criminali più piccole, con l’aumento delle bande giovanili di strada coinvolte in attività di delinquenza legate soprattutto al mercato della droga (aree urbane di Londra, Parigi e Napoli). Nel report di Transcrime del 2018 si evidenzia che anche il nostro paese mostra questa frammentazione: in Campania le bande giovanili hanno riempito i vuoti lasciati dalla disgregazione di famiglie camorriste.
Giovani e marginalità sociale
Secondo il report della Caritas, «l’adesione a una banda chiama in causa dinamiche di gruppo specifiche che sono in molti casi la risposta a diversi bisogni dei giovani che non trovano soddisfazione nella società contemporanea». Oggi si è allungato il tempo di dipendenza economica dalle famiglie, ritardando l’acquisizione dell’indipendenza; la rapida crescita demografica e la ristrutturazione del mercato del lavoro hanno determinato minori opportunità di impiego con alti tassi di disoccupazione, povertà e sovraffollamento delle aree urbane. Nel 2009, a fronte di un tasso di disoccupazione globale di più del 6%, il tasso di disoccupazione giovanile globale ha raggiunto la soglia del 13%, pari a 75,8 milioni di giovani disoccupati. Occorre allora fare attenzione alle conseguenze della disoccupazione: i giovani si muovono verso città o paesi con maggiori opportunità di lavoro, separandosi dalle famiglie e dalle reti di sostegno sociale. «Il sovraffollamento urbano e l’assenza delle famiglie sono fattori che favoriscono il rischio di essere coinvolti in reti criminali o di cercare in una banda il senso di appartenenza e le opportunità di guadagno che non si trovano nel nuovo contesto sociale». In questo senso, è preziosa la testimonianza di un ragazzo haitiano, inserito nei programmi del Centro Lakay Lakou, comunità di accoglienza diretta dai Salesiani per riscattare i giovani dalle gang di quartiere: «Ho vissuto per strada tre anni. Sono arrivato al Centro Don Bosco perché avevo sentito che accoglievano ragazzi di strada e che insegnavano un mestiere. Qui ci sono buoni insegnanti, si lavora bene. Io studio cucito per diventare sarto, forse un giorno potrò avere la mia macchina per cucire e vivere di piccoli lavori. Molti giovani preferiscono la gang perché non hanno lavoro né opportunità. Se tutti potessero accedere a un programma come quello offerto dal Centro Don Bosco, ci sarebbero meno giovani per strada. Io adesso ho 18 anni e ho quasi terminato il mio percorso, poi vorrei trovarmi un lavoro e guadagnarmi da vivere con quello che ho imparato. Conosco alcuni giovani che si sono diplomati e hanno trovato un lavoro onesto».
Crescita delle città e ricerca di identità
Sembra esserci un legame diretto fra eccessivi tassi di crescita urbana e proliferazione della violenza nelle città. Rispetto alle comunità rurali, nelle grandi città si indeboliscono i legami con la comunità locale e i comportamenti antisociali vengono delegati alla magistratura e alle forze dell’ordine. In tale contesto, cambiano anche le strutture famigliari, riducendo una presenza costante nella vita dei ragazzi. La migrazione dalle zone rurali, nella speranza di trovare più possibilità di impiego, sovrappopola le città ampliando le zone periferiche e aumentando le baraccopoli: aree fuori dal controllo statale, con povertà educativa e materiale e condizioni abitative malsane, con abusi domestici e presenza di bambini di strada. In questi contesti, le gang giovanili diventano un mezzo per proteggersi dalla violenza nelle strade e per ritrovare un senso di identità e appartenenza.
«Interagire con i coetanei è una maniera fondamentale per sviluppare senso di sicurezza, conoscenza dell’interazione sociale e dimostrazione di qualità come la lealtà, l’affidabilità, la capacità di organizzazione. A differenza di altre istituzioni come quella scolastica, i membri di un gruppo di adolescenti come una gang si trovano nelle condizioni di avere opportunità simili per avanzare nella struttura gerarchica. Tutto dipende dalla dimostrazione delle proprie qualità personali. Far parte di una simile comunità significa vivere uno stile di associazione alternativo al modello diseguale vigente nella società più estesa». In aggiunta, per il mantenimento e la costruzione di una identità criminale serve la contrapposizione con altri gruppi, generando così una subcultura della violenza. L’approfondimento di tali subculture come elemento costitutivo delle gang può aiutare a comprenderle. Il bisogno di identità e appartenenza è un movente di molti membri delle bande: i ragazzi di strada, gli orfani, gli immigrati di seconda generazione. Questi ultimi devono gestire la pressione di vivere fra due culture, quella di origine e quella di arrivo. Inoltre, i migranti sono una delle categorie più vulnerabili e marginali dei contesti urbani, rappresentando spesso quella fetta di popolazione che abita le periferie delle metropoli. Il pregiudizio e la discriminazione portano spesso a etichettare come devianti questi giovani (vedi, ad esempio, le comunità subculturali dei latinos).
Differenze di genere
Il report Caritas mostra che i tassi di criminalità nel mondo sono nettamente più alti fra i giovani maschi che fra le coetanee femmine (più del doppio). «Fra i motivi ci sarebbero i diversi fattori che limitano e stimolano le donne a conformarsi di più con le norme sociali. Ad esempio, sulle ragazze viene esercitato un controllo più severo da parte delle famiglie e le concezioni culturali sono tali per cui la società in generale è meno tollerante sul comportamento deviante delle giovani donne rispetto ai maschi». A proposito del ruolo delle donne nella pandilla (gang in spagnolo), colpisce la testimonianza di una ragazza del Guatemala, ex compagna di un capo della gang Barrio 18: «Prima di tutto ti dico che non ho mai visto una donna come capo. Però dentro una pandilla svolgono lo stesso lavoro, sia quando mandano a uccidere che quando mandano a estorcere soldi a qualcuno. Ho visto come vengono punite le ragazze. Dentro una pandilla ci sono regole, hanno delle “correzioni”, così le chiamano loro… Con la stessa forza ti picchiano, che tu sia uomo o donna. Una donna che vuole essere parte integrante del barrio è disposta a tutto. Essendo donna non avrai un trattamento diverso, le cose non saranno diverse. Addirittura sento che alcune volte alle donne danno più incarichi. Ora, per esempio, dicono molto: “Non faranno caso a te perché sei donna. Devi portare tu la droga, le armi”. Non si sospetta molto delle donne, però se dovesse succedere qualcosa ti uccidono. Nonostante tutto, io durante la mia vita non ho mai visto una donna essere a capo di una pandilla».
Modelli di gang giovanili
e forme di prevenzione
Un criterio per evidenziare i tipi di bande giovanili è quello relativo all’organizzazione dei ruoli e della distribuzione del potere al loro interno. A tale riguardo, è stata proposta una «griglia» con quattro tipologie: le Traditional gang sono quelle che esistono da almeno venti anni, contano centinaia di membri organizzati in sottogruppi e si distinguono per la difesa del loro territorio di riferimento; le Neo-traditional gang hanno un numero più ridotto di membri (in media una cinquantina), una durata nel tempo di circa dieci anni; le Collective gang radunano una massa di adolescenti e di «giovani adulti» senza simboli distintivi evidenti e un controllo territoriale più debole; le Speciality gang nascono per ragioni criminali più che sociali, hanno dimensioni ridotte e concentrate in una zona ben delimitata. In Italia si sono sviluppate le gang dai confini più limitati, coinvolte soprattutto in reati come furto, spaccio, rapina, e meno in omicidi premeditati e altri reati contro la persona.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1990 ha adottato linee guida per la prevenzione della delinquenza giovanile, note come Riyadh Guidelines. Esse sposano «il principio secondo cui i giovani dovrebbero avere un ruolo attivo all’interno della società ed essere considerati attori nella definizione di politiche per il territorio, invece di essere considerati come mero oggetto di controllo». Si sceglie un approccio globale nell’affrontare le cause della delinquenza, considerando sia i bisogni individuali che le condizioni socio-ambientali. Si individuano anche iniziative preventive strategiche: programmi di sviluppo professionale e di tirocini; laboratori scolastici per promuovere la valutazione positiva di sé, gestire i conflitti e controllare l’aggressività; proposte di doposcuola finalizzate alla socializzazione educativa e a limitare la solitudine; promozione di attività sportive e ricreative; politiche di sostegno alla famiglia e laboratori di educazione alla genitorialità.
Lo sviluppo di una giustizia riparativa
Per i giovani già in difficoltà con la giustizia, le misure puramente preventive o puramente repressive non sono efficaci, dato che la maggior parte dei crimini è commessa da recidivi. Sembra che la prevenzione della recidiva si ottenga meglio con la «giustizia riparativa», considerata una modalità alternativa di giustizia penale. «Si tratta di un processo in cui tutte le parti interessate a un determinato reato si riuniscono e determinano collettivamente il modo migliore per affrontare le conseguenze del reato. L’autore deve comprendere la gravità dell’incidente attraverso il confronto con la vittima e, insieme alla vittima e agli assistenti sociali, sviluppare una serie di passi verso la riconciliazione e la riparazione dei danni. Se la soluzione di questo processo è positiva, il giovane non viene collocato in un istituto di correzione o etichettato come delinquente, evitando così l’influenza di un ambiente (il carcere) che può rafforzare il comportamento delinquenziale».
In un paese come l’Italia, nel quale la presenza di bande non è direttamente connessa alla promessa di guadagni illeciti, «sarebbe necessario che le istituzioni si interrogassero sulle proprie carenze nell’accompagnare ragazze e ragazzi nella complessa fase di transizione dall’infanzia all’età adulta».
MARIO CHIARO