Elogio della follia
2023/4, p. 32
Partecipando ad una professione religiosa, a qualcuno può venire da pensare: ma costoro, questi ragazzi che fanno queste cose, non saranno dei folli? O sono ingenui, e quindi non sanno quello che fanno, oppure sono un poco (o molto) dei folli, e quindi vanno compatiti. E questo può capitare ed è capitato ai nostri
giorni.
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ELOGIO DELLA FOLLIA
Partecipando ad una professione religiosa, a qualcuno può venire da pensare: ma costoro, questi ragazzi che fanno queste cose, non saranno dei folli? O sono ingenui, e quindi non sanno quello che fanno, oppure sono un poco (o molto) dei folli, e quindi vanno compatiti. E questo può capitare ed è capitato ai nostri giorni.
Impegnarsi pubblicamente a vivere la castità, in questo mondo dove tutto ormai è permesso, dove in pratica sono stati sdoganati i vecchi tabù, è segno di qualche rotella in testa che non funziona alla perfezione. Impegnarsi pubblicamente a vivere l’obbedienza, affidando ad altri la propria realizzazione, in un mondo dell’enfasi posta sui diritti umani, e sull’autorealizzazione, appare, a dir poco, anacronistico e contro il buon senso.
Non parliamo poi della povertà, quando si pensa al famoso detto: «Homo sine pecunia est tamquam imago mortis» (l’uomo senza un soldo è l’immagine della morte). E così via.
A questo punto sarà utile guardare altrove, un poco lontano, magari in Pakistan e ascoltare uno di questi folli: «A che cosa serve il cristianesimo se i cristiani non hanno più il coraggio di impazzire, se non la smettano di girare attorno a ciò a cui tutti girano attorno, se anche loro si chiedono: per che cosa è utile questo? E non: per cosa questo è buono?».
Così scriveva Ruth Pfau, una religiosa tedesca, medico della lebbra, da lei combattuta
efficacemente in Pakistan, considerata «santa cattolica nazionale per il Pakistan», morta nel 2017, sepolta con funerali di Stato, la cui tomba è diventata immediatamente luogo di pellegrinaggi interreligiosi.
«Se si vuol fare una vita pazza, scriveva, non si può fare nulla di meglio che diventare cristiani».
Non è che noi cristiani siamo diventati troppo saggi, troppo attenti più all’utile che al buono? Non è che abbiamo perso il coraggio di essere sufficientemente pazzi da saper andare contro corrente, almeno quando l’utile oscura il buono?
Ma forse è tutta questione di amore: quando si ama si può impazzire, come ha mostrato il Signore Gesù con la «follia della croce».
Ecco: questi giovani che osano fare la professione religiosa, per i criteri di valutazione corrente, sono impazziti… forse perché si sono innamorati dell’Amore stesso, che ha insegnato che «non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici». E quindi danno importanza più al buono e al bene che all’utile o a quello che rende e soddisfa.
Se questo è vero, non ci resta che tifare per questi giovani, talmente folli da farci dubitare della nostra salute mentale di cristiani normali, anzi normalissimi, al punto di essere adeguati alla normalità di un mondo che ha dimenticato che cosa voglia dire essere cristiani.
Avanti giovani con la vostra pazzia! Aiutateci a diventare normali cristiani!
PIERGIORDANO CABRA