Martinelli Paolo
Una Chiesa di migranti
2023/4, p. 19
La penisola araba provoca la Chiesa a vivere in modo autentico la sua missione, sostenendo la fede dei migranti, perché in questa società complessa siano testimoni della gioia del vangelo. L’interculturalità e la collaborazione strutturale tra istituti diversi per la missione della Chiesa, in questa terra costituisce il volto specifico delle persone consacrate nel Vicariato apostolico.

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IN UN TERRITORIO IN CONTINUA TRASFORMAZIONE
Una Chiesa di migranti
La penisola araba provoca la Chiesa a vivere in modo autentico la sua missione, sostenendo la fede dei migranti, perché in questa società complessa siano testimoni della gioia del vangelo. L’interculturalità e la collaborazione strutturale tra istituti diversi per la missione della Chiesa, in questa terra costituisce il volto specifico delle persone consacrate nel Vicariato apostolico.
Il primo maggio 2022 sono stato nominato da papa Francesco Vicario Apostolico dell’Arabia Meridionale. Con una solenne celebrazione ho iniziato il mio ministero nel vicariato il 2 luglio, succedendo al vescovo Paul Hinder che ha guidato la Chiesa cattolica in questa regione per oltre 18 anni, facendole compiere un passo notevole in avanti nella organizzazione e nella vita di fede dei numerosi cattolici che qui vivono e lavorano. Il Vicariato è sorto ufficialmente nel 1889. E fin dall’inizio i frati cappuccini hanno avuto un ruolo determinante, con la presenza costante di un numero significativo di frati sacerdoti, provenienti perlopiù dalla provincia toscana. Dal 2011, per decisione di papa Benedetto XVI, tenendo conto soprattutto dell’aumento dei fedeli cattolici, il vicariato dell’Arabia è stato diviso in due entità: il Vicariato dell’Arabia del Nord (comprendente Arabia Saudita, Bahrain, Qatar e Kuwait) e il Vicariato dell’Arabia del Sud, composto dagli Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen. I fedeli cattolici in questo momento presenti nel Vicariato del Sud sono circa un milione. In realtà non abbiamo dati sicuri, soprattutto dopo la pandemia che ha costretto molti lavoratori a ritornare nei propri paesi di origine, avendo perso il lavoro. Negli Emirati Arabi Uniti abbiamo 9 parrocchie e in Oman 4. Negli Emirati abbiamo anche un numero significativo di scuole cattoliche, frequentate anche da studenti di diverse religioni, alcune direttamente gestite dal Vicariato, altre appartenenti ad alcuni istituti religiosi femminili. Nello Yemen, purtroppo, dopo sette anni di guerra, la situazione è estremamente pesante. I cristiani rimasti sono pochi e la struttura della Chiesa è ai minimi termini.
Una Chiesa viva
Arrivando ad Abu Dhabi ho trovato una comunità cristiana molto viva e attiva. Si impone subito un dato: le nostre parrocchie in genere sono molto frequentate dai fedeli, non solo alla domenica ma anche durante la settimana. Spesso vedo lavoratori e studenti partecipare alla santa Messa alla mattina presto per poi recarsi al lavoro o a scuola. Vi sono molte associazioni e movimenti ecclesiali, gruppi di preghiera e molto volontariato. Fa impressione vedere tanti chierichetti ben preparati, servire con impegno le celebrazioni. La dedizione dei catechisti è confortante. Sono numerosi e ben preparati. Il Vicariato offre a loro in modo regolare corsi di formazione e di aggiornamento di contenuto e di metodo. Le celebrazioni sono ben animate. In ogni parrocchia c’è almeno un coro che sostiene il canto dell’assemblea. Nel Vicariato si trovano in questo momento complessivamente 75 sacerdoti, perlopiù religiosi e appartenenti all’ordine francescano cappuccino.
La particolarità che si impone fin dal primo momento è il fatto che nel nostro Vicariato, come del resto anche nel Nord, la Chiesa è essenzialmente una Chiesa di migranti. Sono pochissimi i nativi o coloro che possiedono la cittadinanza. La quasi totalità dei fedeli è composta da lavoratori. Non sempre è per loro possibile risiedere con le proprie famiglie. Al termine del contratto lavorativo devono rientrare nella propria patria. La maggior parte di cattolici proviene dalle Filippine e dall’India. Ma non mancano cristiani appartenenti al mondo arabo, per lo più dal Libano e dalla Giordania. I fedeli dall’Africa sono in netto aumento. Sebbene non numerosa, significativa è anche la presenza di latino americani, di europei e nordamericani. La maggior parte dei nostri cattolici è gente semplice; fanno lavori umili e conducono una vita sobria. Sebbene non manchino persone di alto livello che vengono a portare la loro competenza professionale in questi paesi.
Data questa variegata composizione, la nostra è anche una Chiesa pluriforme. La nostra gente viene da paesi diversi. Hanno lingue, tradizioni, culture e riti diversi. La grande sfida è essere così diversi e tuttavia formare un’unica Chiesa, per vivere la pluriformità nell’unità. Questo ovviamente non è facile e a volte comporta tensioni nelle parrocchie. Si tratta di lavorare per tenere sempre la vita ecclesiale in equilibrio tra valorizzazione dei diversi doni e l’unità della Chiesa. Infatti, essendo tutti migranti, i fedeli non sono chiamati solo a tenere ferme le proprie tradizioni di origine, ma a dare prova di saper camminare insieme a tutte le componenti del popolo di Dio. Se le diverse tradizioni vengono semplicemente conservate, il rischio è quello di ridurre la Chiesa a un assemblaggio di comunità linguistiche senza comunicazione, di carattere esclusivo. La sfida autentica invece è quella del cammino condiviso e inclusivo. Nel rispetto delle diversità, imparare gli uni dagli altri, conoscersi vicendevolmente, stimarsi a vicenda. Quando questo accade, si vive realmente una esperienza cristiana di grande universalità e di apertura: la persona di Cristo risplende di luce nuova sul volto dei nostri fedeli.
Vita consacrata interculturale
Ovviamente un ruolo fondamentale nella vita di questa Chiesa così unica lo giocano i sacerdoti e le persone consacrate. A loro volta infatti provengono da culture e riti diversi. Le stesse parrocchie sono formate da sacerdoti che provengono da nazioni diverse. Frequentemente vengono dalla famiglia francescana cappuccina, ma appartengono a circoscrizioni diverse: India, Filippine, Europa, Africa, Medio Oriente. Non mancano religiosi di altri istituti con le medesime caratteristiche. Le comunità di vita consacrata, a cui fanno capo le parrocchie del vicariato, sono decisamente interculturali, come interculturali sono le comunità dei fedeli. Le donne consacrate sono in numero minore, ma con caratteristiche analoghe. Il loro contributo si esplica essenzialmente nelle parrocchie e nella conduzione delle scuole cattoliche, che rappresentano una grande sfida culturale. Il modello della vita consacrata è pertanto assai diverso da quello classico che siamo abituati a vedere in Occidente. L’interculturalità e la collaborazione strutturale tra istituti diversi per la missione della Chiesa, in questa terra costituisce il volto specifico delle persone consacrate nel Vicariato apostolico.
Società complesse e presenza ecclesiale
Iniziando a visitare le nostre parrocchie e prendendo sempre più contatto con la realtà quotidiana, ci si rende conto anche della particolarità delle nazioni nelle quali il Vicariato si trova inserito.
Negli Emirati Arabi Uniti
La maggior parte dei cattolici si trova negli Emirati Arabi Uniti. Si tratta di una società estremamente evoluta, che ha conosciuto uno sviluppo impressionante dalla sua fondazione (1971) ad oggi. La società è ben organizzata con ottime infrastrutture. La percezione generale è quella di una positiva accoglienza nei confronti di tutti. Questo rapido e complesso sviluppo è stato possibile grazie alla lungimiranza degli emiri che hanno investito molto sulla formazione all’estero della classe dirigente, in particolare nel Regno unito e negli USA. Inoltre, un contributo essenziale allo sviluppo è certamente da attribuire al numero immenso di migranti che costituiscono la forza lavoro del paese. Gli Emirati Arabi Uniti si presentano come un paese caratterizzato da tolleranza e coesistenza pacifica tra tutti coloro che abitano in questa terra. Si tratta di un paese chiaramente caratterizzato dalla religione islamica. Tuttavia, vi è libertà di culto per la Chiesa cattolica e per le altre confessioni cristiane, come per altre religioni. Lo stato controlla tutte queste attività per garantire che ci sia tolleranza e non si formino gruppi integralisti o violenti. Colpisce vedere un paese così profondamente radicato nell’Islam e tuttavia estremamente moderno, a tratti anche iper-moderno, come ad esempio è possibile osservare visitando Dubai, città industriale e al contempo meta di turismo, costellata da un numero enorme di grattacieli dalle forme più variegate e originali. Per chi viene dall’Europa, luogo dove il contrasto tra religione e modernità ha dominato per secoli, si rimane stupiti nel vedere le persone essere fedeli ai precetti del Corano ed essere al contempo impegnati in progetti di grande sviluppo in tutti i settori della vita sociale e culturale.
La notorietà internazionale degli Emirati Arabi Uniti dal punto di vista culturale e religioso ha avuto un momento di particolare sviluppo grazie alla visita di papa Francesco nel febbraio del 2019. Il motivo fondamentale della visita è stata la firma del Documento sulla fratellanza umana. Si tratta di un documento straordinario e profetico. Non era mai accaduto che il capo della Chiesa cattolica e una grande autorità musulmana, il Grande Imam di Al Ahzar, firmassero un documento di tale portata. Vi sono molti aspetti che meriterebbero di essere sottolineati. Mi limito a richiamare il nesso profondo tra le religioni e la fratellanza umana, il contributo che le religioni attraverso il dialogo, il confronto, la tolleranza e la pacifica coesistenza sono chiamate a dare alla società. Decisivo il valore della libertà di culto, l’impegno per la giustizia, la formazione e la pace. Al cuore del testo troviamo l’impegno per la fratellanza e la promozione di rapporti fraterni con tutti. Infatti, come si afferma, Dio vuole che tra gli uomini ci si tratti e ci si consideri come fratelli e sorelle. Da qui l’assoluto attacco a ogni tentativo di utilizzare la religione per giustificare la violenza. Dio non giustifica alcuna violenza in suo nome. Si tratta di un invito ad aprire una nuova stagione nella storia delle religioni, in cui si impari a camminare insieme e a promuovere una società più umana e fraterna. In memoria di questo evento, ogni anno il 4 febbraio, ad Abu Dhabi viene dato un premio ad una realtà cristiana e musulmana che si sono distinti per la promozione della pace e della riconciliazione. Un altro frutto di questo documento è indubbiamente la Abrahamic Family house, recentemente inaugurata ad Abu Dhabi. (fig.3) Si tratta di una realtà che ospita tre luoghi di culto: una moschea, una sinagoga e una chiesa cattolica, donata dalle autorità emiratine a papa Francesco, dedicata a san Francesco d’Assisi. In questo modo si vuole esprimere la convivenza pacifica tra le religioni, la necessità della conoscenza reciproca e del vicendevole rispetto. Si tratta di una realtà simbolica molto forte sulla coesistenza e la collaborazione tra persone che appartengono a religioni diverse, senza che questo sia confuso con una forma di sincretismo. L’idea dei tre luoghi di preghiera distinti e della possibilità di spazi comuni per incontri e seminari di studio esige il riconoscimento della differenza tra le religioni e non il loro superamento.
In Oman e nello Yemen
Il Vicariato apostolico si estende anche nell’Oman, una realtà per molti aspetti diversa dagli Emirati. La società omanita offre una immagine rassicurante e mite. Il paese è fortemente segnato dall’Islam, ma è concessa la libertà di culto. Non troviamo centri iper-moderni come a Dubai. Il paesaggio è variegato e invita alla contemplazione. La crisi della pandemia ha ridotto notevolmente la presenza dei cattolici. Recentemente la Santa Sede e il Sultanato dell’Oman hanno stabilito piene relazioni diplomatiche. Si tratta di un processo iniziato ancora nel 1999, successivamente interrotto, giunto in questi mesi al suo completamento. Questo importante passo potrà portare anche per la Chiesa in Oman a una stagione di più grande collaborazione. I nostri cristiani, infatti, sono desiderosi di poter dare il loro contributo alla società omanita per la vita buona di tutti.
Infine, il vicariato dell’Arabia Meridionale comprende anche lo Yemen. Una terra martoriata da una guerra civile che la affligge da ormai oltre sette anni. In realtà la presenza cristiana nello Yemen ha radici antiche. La città di Aden è stata la prima residenza del Vicariato apostolico dell’Arabia. Negli ultimi mesi la situazione interna è migliorata dopo alcuni mesi di tregua. Tuttavia permangono le situazioni di grande sofferenza soprattutto per anziani, malati e bambini. Molti cristiani hanno abbandonato il paese perché perseguitati o perché hanno perso il lavoro. In questo momento la presenza dei cattolici è costituita da qualche centinaia di fedeli, tra i quali significativamente anche alcuni nativi dello Yemen. Le chiese sono state danneggiate durante i conflitti e ora sono al momento inutilizzabili. Una presenza particolarmente preziosa in questo paese è quella delle missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta. Hanno due comunità religiose e svolgono un prezioso lavoro di accoglienza di persone disabili ed anziane. Sono assistite da un sacerdote appartenente al ramo maschile dell’istituto fondato da Madre Teresa. Non si può dimenticare che le Missionarie della Carità hanno già pagato un prezzo molto alto per la fedeltà alla loro missione. Già nel 1998 tre suore erano state uccise da una persona riconducibile all’estremismo islamista. Inoltre, il 4 marzo 2016, dopo pochi mesi dall’inizio della guerra civile, vengono uccise quattro suore e diversi laici loro collaboratori nelle opere di carità, tra cui diversi musulmani. Le circostanze del loro massacro fanno pensare veramente a un martirio. Mentre speriamo che si possa mettere fine a questo lungo ed estenuante conflitto, occorre lavorare per la rinascita dello Yemen, sostenendo la popolazione non solo economicamente ma anche dal punto di vista della formazione e della educazione. Occorre formare uomini e donne che sappiano essere operatori di pace e lavorare per una società fraterna e solidale.
In conclusione, la penisola araba, provoca la Chiesa a vivere in modo autentico la sua missione, nel sostenere la fede semplice di tutti i fedeli migranti perché siano anche in questa società, complessa e in continuo cambiamento, testimoni della gioia del vangelo, dando un contributo decisivo per la vita buona di tutti e per la costruzione di una società più umana e fraterna.
+ PAOLO MARTINELLI, OFM CAP,
VICARIO APOSTOLICO DELL’ARABIA MERIDIONALE