Bignardi Paola
Nuove generazioni.Generazioni nuove
2023/4, p. 15
Sempre più si tratta di generazioni con tratti inediti, segnate fortemente dalla differenza rispetto a quanti sono stati ragazzi e giovani venti o trent’anni prima.

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LA REALTÀ DEL MONDO GIOVANILE
Nuove generazioni
Generazioni nuove
Sempre più si tratta di generazioni con tratti inediti, segnate fortemente dalla differenza rispetto a quanti sono stati ragazzi e giovani venti o trent’anni prima.
Introduzione
Il titolo di questo articolo potrebbe sembrare un bisticcio di parole. In effetti rappresenta la realtà del mondo giovanile.
Si è abituati a indicare ragazzi, adolescenti, giovani con il termine generico di nuove generazioni: essi sono la novità dell’umano che si affaccia alla storia, che chiede di essere accolto, riconosciuto, valorizzato. Ma sempre più si tratta di generazioni con tratti inediti, segnate fortemente dalla differenza rispetto a quanti sono stati ragazzi e giovani venti o trent’anni prima. La loro diversità rispetto alla sensibilità e alla cultura di quanti li hanno preceduti è talmente profonda e importante da far pensare che in loro sia presente non semplicemente un cambiamento culturale, ma antropologico: un modo nuovo di interpretare l’essere donne e uomini.
Tutto questo genera sia nei giovani che negli adulti un senso di smarrimento: il non riuscire più a capirsi e a comunicare dà agli adulti la percezione di non poter più assolvere alla loro responsabilità educativa; ai giovani dà una sensazione di solitudine, persino di abbandono da parte di adulti che sembrano loro troppo preoccupati di se stessi per potersi accorgere dello spaesamento di figli e figlie. Mondi che viaggiano a velocità molto diverse: troppo veloce e accelerata quella dei giovani; forse troppo lenta e frenata quella degli adulti: il risultato è quello di una distanza che continua ad accrescersi, diventando talvolta persino drammatica. La crisi dell’educazione, prima che essere il frutto di una abdicazione degli adulti al loro compito, ha la sua radice nella percezione della fatica di comunicare tra le generazioni.
Perché la distanza non diventi drammatica estraneità occorre volersi conoscere, ascoltare, portare attenzione gli uni agli altri. E il primo passo tocca agli adulti, in ragione della loro responsabilità e della loro esperienza della vita.
«Non ci sono più i giovani di una volta!»
Dallo smarrimento al giudizio il passo è breve: quante volte accade di sentire affermazioni come quella del titolo sulla bocca di genitori, insegnanti, sacerdoti, educatori! Lo si diceva anche 50 anni fa. Lo si scriveva anche parecchi secoli fa: «Non nutro più alcuna speranza per il futuro del nostro popolo, se deve dipendere dalla gioventù superficiale di oggi, perché questa gioventù è senza dubbio insopportabile, irriguardosa e saputa». (Esiodo, poeta greco vissuto tra l’VIII e il VII sec. a. C.). Gli adulti sono abituati a pensare che i più giovani siano peggiori di loro semplicemente perché sono diversi da loro. Del resto, noi adulti e anziani di oggi, a nostra volta, siamo stati così interpretati dai nostri genitori ed educatori. È la legge della vita; da adulti, dovremmo aver imparato che prima di giudicare occorre conoscere, capire, magari con quell’empatia che sa intuire ciò che una ragione solo giudicante non è in grado di vedere.
Figli di una società che cambia
I ragazzi e i giovani di oggi sono figli di una società che cambia. Ce lo stiamo ripetendo da qualche decennio, ma non abbiamo ancora imparato a tener conto di questo dato di fatto, assumendolo come criterio per il nostro sguardo sulla realtà. Sono figli di una società tecnologica, sempre connessa; di una società che chiede loro di fare un’infinita anticamera prima di poter entrare nel mondo degli adulti, cioè di acquisire quella autonomia che permette di essere se stessi; quel riconoscimento che consente di assumersi le proprie responsabilità; quella fiducia che permette di mettersi in gioco e di dare il meglio di sé. A volte si pensa che gli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione e con cui i giovani sono più familiari degli adulti influiscano solo sui comportamenti: in effetti il loro influsso è ben più profondo e raggiunge il modo con cui si guarda alla vita, si entra in relazione con la realtà, con gli altri, con se stessi.
La tecnologia
La tecnologia permette oggi di affrontare molte situazioni con minore fatica e con migliore efficacia: basti pensare a come le faccende di casa siano agevolate dai molteplici elettrodomestici disponibili, o a quanto siano agevolate le comunicazioni. Ma la medaglia ha anche il suo rovescio: è l’illusione di poter forzare il limite e, alla lunga, poterlo superare. L’esperienza del covid ci ha insegnato però che questa convinzione è un’illusione, da cui ci si è risvegliati in maniera amara. Il limite, che fa anche da confine, contribuisce a definire la nostra identità; apprendimento difficile per i più giovani. Di fatto tutti ci siamo un po’ abituati a pensare in maniera diversa i «confini». Per i giovani, i confini geografici sono meno vincolanti che per gli adulti, basti pensare alla loro mobilità, spinti dalla curiosità e dal desiderio di sperimentare. La stessa cosa si può dire dei confini tra le età, tra i generi… confini sempre più sfumati, dentro una realtà immaginata come manipolabile, a disposizione! Anche le distanze non sono più un problema: la rete consente di essere contemporanei di ciò che accade dall’altra parte del mondo, di essere sempre presenti alle persone con cui vogliamo essere in contatto. Possiamo essere sempre altrove rispetto al luogo fisico in cui siamo, nell’illusione di una presenza che non diventa mai vicinanza.
Il senso del proprio sé
Il cambiamento che risulta più rilevante è la crescita del senso del proprio Sé, del valore e della dignità della propria persona e della sua libertà. La ricerca di affermazione della propria soggettività porta i giovani a prendere le distanze, se non anche a rifiutare ogni forma di autorità, a cercare l’autoaffermazione, l’autorealizzazione… perché ci si rende conto che la «vita è un’opportunità troppo grande per essere sprecata», – è l’affermazione di uno di loro. I giovani vogliono passare tutto al vaglio del proprio giudizio. La visione della vita, le cose che valgono e quelle che no, le scelte da compiere, l’orientamento della propria esistenza: tutto deve essere frutto di scelta, nel rifiuto di aderire ad un modo di vedere le cose che venga proposto e tanto meno imposto. Questo forte senso della propria soggettività porta i giovani ad una notevole capacità di introspezione. In una recente ricerca dell’Osservatorio Giovani Toniolo sulla spiritualità stupisce la ricchezza delle sfumature con cui i giovani rappresentano la loro esperienza interiore per descrivere la quale mostrano di possedere un lessico vario e molto articolato. Le nuove generazioni vogliono essere protagoniste della loro vita, fino a rifiutare ogni riconoscimento dei legami che li connettano a un passato che sentono come non loro. Accanto agli evidenti rischi di questa caratteristica, non si possono non vederne le potenzialità, in termini di assunzione di responsabilità verso la propria vita, verso gli altri, verso il futuro. Si giocano qui percorsi di libertà, di responsabilità, di dignità.
Solitudine e relazioni
L’accentuazione di questo aspetto ha però per i giovani un prezzo: la solitudine. Dice Alice: «Tutti i giovani un tempo avevano accanto a sé genitori, insegnanti ed educatori che li sostenevano nella loro ricerca. Non si può guardare dentro un abisso senza qualcuno che non ti faccia precipitare. I giovani di oggi sono più soli, questo è l’unico dato che si dovrebbe analizzare». Sarà forse per sfuggire alla solitudine che i giovani hanno un forte senso delle relazioni, soprattutto delle relazioni brevi, di prossimità; ne avvertono il bisogno, ne patiscono la mancanza. Sono meno sensibili alle relazioni mediate, organizzate, quelle che passano attraverso le istituzioni; esse non consentono un contatto diretto che faccia sperimentare quel calore e quell’empatia che i giovani cercano. Relazione fa rima con amicizia, condivisione, famiglia, solidarietà, amore. Un giovane afferma: «La vita è fatta non per essere vissuta da soli, ma per stare con gli altri e aiutarsi a vicenda». E un altro gli fa eco: «Il senso può essere la relazione». Dunque le relazioni sono il senso della vita, cioè esperienza costitutiva dell’umano, perché «non siamo fatti per vivere da soli!» Siamo fatti per l’incontro, per lo scambio, per il legame. Non possiamo vivere a prescindere da essi. Nella ricerca in corso da parte dell’Osservatorio Giovani sui giovani che hanno abbandonato la Chiesa e l’esperienza religiosa, alla domanda con che cosa hanno sostituito Dio e la Chiesa, molti di loro rispondono: «con le relazioni».
Anche il mondo religioso dei giovani è interessato da questa corrente calda di emozioni positive, capaci di dare benessere.
Emozioni e domande di senso
I giovani hanno una forte esposizione alle emozioni. Solo un’esperienza calda e che emoziona vale la pena. Naturalmente, in tal modo, tutto diventa provvisorio e fugace, come, appunto, le emozioni. Ma come le emozioni, coinvolgente tutta la persona e non solo la mente o la volontà. In questa prospettiva, nessuna scelta ha valore per sempre; anche le scelte più importanti sono segnate da un carattere di precarietà, proprio come le emozioni cui spesso si accompagnano.
Un nuovo affiorare di domande di senso si affaccia alla coscienza giovanile. L’esperienza pandemica ha contribuito ad accrescere gli interrogativi che in diversi casi hanno suscitato un’inquietudine dolorosa. È l’esperienza del giovane protagonista del romanzo Tutto chiede salvezza, di Daniele Mencarelli: ciò che turba il suo equilibrio fino al ricovero in un ospedale psichiatrico è la domanda di salvezza. Il giovane protagonista ha passato i primi vent’anni a cercare le parole per dire lo struggimento che prova, senza riuscire a dargli un nome; ha trovato tutte le parole possibili, ma inutilmente. Allora ha iniziato di giorno in giorno a toglierne una, la meno necessaria, finché ne è rimasta una sola: salvezza. E così la spiega al medico che vorrebbe capire: «è tutto senza senso, e se ti metti a parla’ di senso ti guardano male, ma è sbagliato cerca’ un significato? Perché devo aver bisogno di un significato? Sennò come spieghi tutto, come spieghi la morte? Come se fa ad affrontare la morte di chi ami? Se è tutto senza senso non lo accetto, allora vojo morì».
Ricerca di armonia e benessere
Vi è nei giovani una ricerca di armonia e benessere, come tensione verso una felicità soggettiva, identificata con uno stato interiore che tiene in armonia corpo, psiche, spiritualità, religione. In questa prospettiva, hanno grande valore la natura e la dimensione estetica.
È a partire da questo profilo dei giovani di oggi che occorre interrogarsi sulle caratteristiche di una proposta di fede che non sia astratta e fuori dal tempo, ma che interagisca con questi aspetti, assumendoli in un’esperienza personale coerente e unificata.
È il tema che verrà affrontato nel prossimo numero della rivista.
PAOLA BIGNARDI