Biemmi Enzo
La scommessa di Francesco per una parrocchia missionaria
2023/3, p. 1
Sono molti gli studiosi che, da diversi punti di osservazione e con variegate analisi, stanno indagando e approfondendo il «cambiamento d’epoca» che stiamo vivendo. Un processo che tocca anche la parrocchia, che ha subito e continua a vivere numerosi e complessi mutamenti, che chiedono perciò un totale ripensamento perché essa possa tornare ad essere luogo privilegiato per la trasmissione e la condivisione della fede.

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La scommessa del papaper una parrocchia missionaria
Sono molti gli studiosi che, da diversi punti di osservazione e con variegate analisi, stanno indagando e approfondendo il «cambiamento d’epoca» che stiamo vivendo. Un processo che tocca anche la parrocchia, che ha subito e continua a vivere numerosi e complessi mutamenti, che chiedono perciò un totale ripensamento perché essa possa tornare ad essere luogo privilegiato per la trasmissione e la condivisione della fede. In queste pagine il catecheta e pastoralista fr. Enzo Biemmi, della Congregazione dei Fratelli della Sacra Famiglia, fa il punto su alcune proposte pastorali per una nuova presenza della Chiesa sul territorio, capace di assecondare e incoraggiare l’incontro tra Dio e gli uomini e le donne del nostro tempo.
La crisi della parrocchia è sotto gli occhi di tutti. In Europa ci troviamo da tempo di fronte all’«arretramento o fine della civiltà parrocchiale», secondo l’espressione forte del gesuita e teologo francese Christoph Theobald (Urgenze pastorali. Per una pedagogia della riforma, EDB, Bologna 2019, 81). Se per alcune aree europee questo processo è già concluso, in altre, tra cui l’Italia, questo dato convive con un altro: continuità di una parziale identificazione, con attese e domande proprie di una società di cristianità, e il permanere della domanda di servizi religiosi. Questa ambivalenza costituisce una delle sfide più difficili da sostenere. Come si fa a parlare di «conversione missionaria» quando i parrocchiani continuano a chiederci di essere una stazione di servizio?
Le analisi su questo punto si sono moltiplicate. In un breve ma efficace intervento, Sergio Di Benedetto (Le crisi della parrocchia, in «Vino Nuovo. Spunti per l’umanità di oggi», 10 novembre 2020: https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/le-crisi-della-parrocchia/) segnala sette crisi della parrocchia: una crisi di fede, di persone, di pensiero, di strutture, di comunicazione, di credibilità e di identità.
La crisi della parrocchia nel suo modello tridentino è proporzionale alla fine della cristianità sociale, vale a dire dell’identificazione dell’appartenenza civile con quella religiosa. La parrocchia al centro del paese è ormai solo un ricordo a stento visibile sulla mappa Google di alcuni piccoli paesi italiani.
Le risposte e i loro limiti
Si tratta prima di tutto di dare una risposta alla crisi del cristianesimo. A partire soprattutto dagli anni ’80 la reazione delle diverse Chiese europee è stata di dedicare tutte le proprie energie alla ricomposizione del territorio ecclesiale: come reimpiantare la Chiesa in una cultura che l’ha emarginata o espulsa. Questo è stato fatto secondo una duplice strategia: quella della resistenza, che consiste nell’accettare l’esculturazione del cristianesimo in Europa, puntare sulla sua crescita e vitalità in altri continenti e qui costituirsi come «piccolo resto» più evangelico, con un ruolo contro-culturale di testimonianza; quella del ripensamento dell’identità del cristianesimo, della forma di Chiesa, della sua iscrizione territoriale, non contro ma dentro l’attuale cultura, di una rivisitazione del cristianesimo discendendo «verso quei “luoghi” elementari dell’esistenza umana e sociale dove nascono le nostre convinzioni».
Occorre poi dare una risposta pratica, organizzativa. Questa ha preso forme diverse riassumibili in due: le unità pastorali o aggregazioni simili; il rimodellamento interno alle parrocchie secondo modalità diverse in base ai contesti culturali e sociali. Il contesto urbano, per esempio, vede già volti di parrocchie molto diverse tra di loro.
I limiti delle strategie di riorganizzazione, quando si sono basate essenzialmente sul criterio del numero dei preti e su quello di coprire un territorio sempre più vasto conservando tutto, sono evidenti. Le «unità pastorali» come tentativo di soluzione possono essere nient’altro che la variante del modello tridentino, portandolo al sovraccarico e qualche volta al collasso, aumentando i problemi organizzativi e il peso sulle spalle dei preti che restano e dei pochi laici che collaborano (le unità pastorali come «parrocchione»).
La sfida è dunque duplice: da una parte il ripensamento della forma del cristianesimo e della Chiesa in un contesto globalizzato e secolare; dall’altro la rimodulazione dell’istituzione parrocchia nella linea non di semplice ampliamento di scala, ma di un nuovo stile e di un nuovo modo di essere comunità in un determinato territorio.
Due prospettive pastorali
«Parrocchie liquide» o «Parrocchie processuali»?
Arnaud Joint-Lambert (Verso parrocchie ‘liquide’? Nuovi sentieri di un cristianesimo ‘per tutti’, «La Rivista del Clero Italiano», 3 2015) propone una presenza pastorale liquida, attribuendo all’attuale parrocchia da lui definita «solida» una sola delle funzioni della presenza ecclesiale, quella per i già appartenenti o comunque per quelli che ci passano di tanto in tanto in cerca di servizi religiosi.
Il punto di vista dell’autore è il seguente: «Le Chiese sono oggi poste di fronte alla sfida della missione “per tutti”, che le parrocchie non svolgono più. Si tratta di moltiplicare luoghi simili, che non pretenderebbero di rappresentare il “tutto”, ma offrirebbero l’incontro attorno a una dimensione dell’esistenza, un’ospitalità, una convivialità o un sostegno». «Per la Chiesa si tratta di proiettarsi in un modo diverso di svolgere la propria missione, che chiameremo la “parrocchia liquida”».
Questa prima ipotesi affascina soprattutto le ultime generazioni di preti, molti dei quali non provengono più dalle parrocchie, ma da momenti forti come le giornate mondiali della gioventù, o da esperienze spirituali forti, o da alcuni movimenti. È una proposta che attira, perché libera dalla gestione delle strutture parrocchiali: permette al prete di avere la sensazione di esercitare una leadership spirituale, ha un effetto missionario visibile e gratificante.
A prendere le distanze dalla scelta di una «parrocchia liquida», sia per motivi sociologici che teologici, è il sociologo Jean-Marie Donegani (C’è un futuro per la parrocchia? Soggettivismo, ricerca di senso e servizio della Chiesa, «La Rivista del Clero Italiano», 6 2008). Egli utilizza due modelli per interpretare la parrocchia nel contesto culturale mutato: il modello comunità (o setta secondo la dicitura sociologica) e il modello Chiesa come «servizio pubblico religioso». Rovesciando le rappresentazioni più diffuse, Donegani ritiene più missionario questo secondo, nel senso in cui lo è stato Gesù nei suoi incontri con i personaggi del Vangelo. Scrive: «Nei fatti le parrocchie non sono comunità nel senso sociologico del termine, in ragione della grande diversità delle condizioni sociali delle persone che esse radunano, della pluralità delle culture che le abitano e della grande varietà del livello di implicazione delle persone che raggruppano (cioè dei loro livelli di fede). Se restringiamo, a partire dalla logica comunitaria, la destinazione della parrocchia al solo livello dei cristiani più impegnati, è la cattolicità della Chiesa che non è più onorata».
Se accogliamo questa provocazione, ci dobbiamo allora chiedere come pensare una parrocchia non liquida ma che sappia onorare una logica generativa, che è un altro modo di dire «missionaria».
Vincenzo Rosito (La parrocchia nella città che cambia, «Rivista del Clero» 6/2018), partendo dall’osservazione di una processione della statua della Madonna in un quartiere popoloso di Roma ormai largamente multietnico, supera la tentazione di relegarla semplicemente nella «sottoclasse» delle forme di pietà popolare, espressione residua della parrocchia tridentina. Questo camminare tra i quartieri, tra i palazzi nei cui piani bassi sono collocate delle moschee, in questo arcipelago etnico, viene da lui percepito come «un’azione collettiva che plasma e conferma la postura di una comunità in cammino, che rende visibile ed esperibile la gestualità della sequela, che attraversa lo spazio urbano rappresentando per tutti la prossimità itinerante del Dio di Gesù». L’autore suggerisce, a partire dal contesto urbano, che la parrocchia può essere questo: una comunità in cammino, di sequela di Gesù, di prossimità con la gente. Una parrocchia «processuale» o «processionale».
Per l’autore «la parrocchia conserva una qualità da riscoprire e valorizzare: l’ambivalenza». E ricorda come il verbo greco paroikein sia portatore di due significati apparentemente contraddittori, ma fecondamente complementari. Nel senso più comune paroikein significa vivere insieme ad altri, risiedere vicino o in prossimità di altre persone (la chiesa come casa tra le case della gente). Lo stesso verbo però viene quasi sempre impiegato nei testi biblici per indicare l’atto del peregrinare e quindi l’essere forestiero (è il termine usato dai due discepoli di Emmaus nei riguardi di Gesù).
Papa Francesco scommette sulla possibilità che la parrocchia possa essere questo spazio stabile e in cammino dietro al Signore che rende possibile sperimentare la prossimità di Dio per tutti i livelli di fede, tutte le culture, tutte le storie di vita delle persone, a servizio della fede elementare e quando possibile della fede discepolare.
Come saranno le cose fra vent’anni? Dobbiamo mettere in conto che ci siano delle sorprese che non possiamo immaginare, ma possiamo contare su una risorsa che non viene meno. Scriveva Martini: «Lo Spirito c’è, anche oggi, come ai tempi di Gesù e degli Apostoli: c’è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo, né svegliarlo ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro» (Tre racconti dello Spirito, Centro Ambrosiano, Milano 1997, p. 11).
Assecondare l’incontro tra Dio e gli uomini di oggi, incontro già in atto prima che noi arriviamo, è un bel modo di pensare con responsabilità ma anche senza ansie la conversione missionaria delle nostre parrocchie.
ENZO BIEMMI