Vita consacrata e Chiesa davanti alla guerra
2023/3, p. 45
A un anno dell’inizio della guerra, un massacro insensato che minaccia il mondo intero, la Chiesa, madre di tutti i popoli, soffre davanti alle guerre perché generano
la distruzione dei figli. La VC ci aiuta a guardare la realtà a partire dalle vittime.
Occorre operare ostinatamente per un negoziato che fermi questa lotta fratricida.
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SGUARDI SULLA GUERRA
Vita consacrata e Chiesa
davanti alla guerra
A un anno dell’inizio della guerra, un massacro insensato che minaccia il mondo intero, la Chiesa, madre di tutti i popoli, soffre davanti alle guerre perché generano la distruzione dei figli. La VC ci aiuta a guardare la realtà a partire dalle vittime. Occorre operare ostinatamente per un negoziato che fermi questa lotta fratricida.
Il 24 febbraio 2022 è iniziata la cosiddetta «operazione militare speciale» della Russia contro Ucraina. L’ONU riporta alcuni dati riguardanti il paese aggredito: oltre 7mila i civili uccisi e oltre 11mila i feriti; 8 milioni di ucraini hanno lasciato la nazione (una persona su cinque è dovuta fuggire). Sui due fronti sono schierati più di 400 mila soldati; incerto il numero dei morti militari: si parla di oltre 100mila vittime, sia tra i russi e sia tra gli ucraini (per i dati aggiornati e per la ricostruzione delle fasi della guerra, è prezioso l’articolo di Giovanni Sale in La Civiltà Cattolica, n. 4143 del 4/8 febbraio 2023, pp. 273-283). Siamo tutti coinvolti nelle conseguenze della guerra su un’economia globalizzata, mentre risorge il pericolo e l’ansia di una guerra nucleare. Non ci sono all’orizzonte possibili tavoli di mediazione internazionale, anche per i calcoli delle superpotenze. A livello mondiale assistiamo così alla crisi del multilateralismo che spingeva per una governance globale. Nel frattempo, si è visto che le sanzioni economiche hanno rallentato non solo l’economia russa, ma anche quella dei paesi che le hanno prodotte, presentando un prezzo da pagare per tutti. Dopo la pandemia del Covid-19, si iniziava a registrare una ripresa dell’economia globale: la guerra l’ha rallentata e ha fatto aumentare i prezzi dell’energia e di prodotti necessari alla produzione agricola, aggravando così anche il rischio di carestie nei paesi nel Sud del mondo (il grano ucraino sfama 400 milioni di persone in tutto il mondo). Due membri dell’Unione europea, Finlandia e Svezia, che si dichiaravano militarmente neutrali hanno iniziato un percorso di adesione al Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO).
Per quanto riguarda l’Italia, un sondaggio del Laboratorio analisi politiche e sociali (Laps) mostra come i cittadini italiani abbiano cambiato le loro opinioni su politica estera e sicurezza dal 2017 al 2022. Nel 2017 il 51% degli italiani riteneva che il primo interesse nazionale fosse controllare i flussi d’immigrazione; nel 2022 per il 53% il primo interesse nazionale è quello di garantirsi rifornimenti energetici. Per quanto riguarda le alleanze politiche, c’è stato un incremento per una linea autonoma da Stati Uniti e Unione europea circa i nostri interessi di sicurezza (13% nel 2018, 31% nel 2022). C’è un 28% di italiani che crede in una cooperazione con entrambi e un 34% che preferisce strategie militari con l’Unione Europea.
Il discernimento delle religiose
dentro il conflitto
Circa 42 milioni di cittadini ucraini sono credenti ortodossi. I cattolici di entrambi i riti (greco-cattolici e latini) sono circa l’8%. Svolgono il loro ministero circa 600 sacerdoti, di cui la metà sono stranieri. In questo contesto operano consacrate e consacrati: proponiamo due testimonianze tra le tante.
La prima è quella di suor Teodora Shulak, superiora generale delle suore Missionarie del Santissimo Redentore (fonte: Vatican News 28/02/2023, a cura di Svitlana Dukhovych). Suor Teodora, specializzata in psicoterapia, sottolinea che «in una guerra ci sono così tante e diverse esperienze interiori, tante emozioni e sentimenti contrastanti che talvolta, soprattutto all’inizio della guerra, è stato difficile anche pregare. Ci sembrava che fossimo state abbandonate a noi stesse con i nostri sentimenti di paura, rabbia e dolore. In alcuni momenti ci spaventava la sensazione che l’odio avesse potuto insinuarsi nel nostro cuore. A volte vivevo quasi una sorta di sdoppiamento: da una parte, durante la preghiera comunitaria, rendevo grazie e lode a Dio, e dall’altra, tornata nella mia stanza, vivevo i sentimenti più contradittori che non riuscivo a gestire. Un giorno ho capito che questa separazione non era cristiana e non aveva niente a che fare con il nostro Dio: Gesù è risorto con le ferite, Lui sa cosa vuol dire portare queste ferite e provare il dolore fino alla morte. Ho compreso che soltanto in lui e insieme a lui posso sopravvivere a questa tragedia». Da queste parole si evidenzia che un conflitto armato comporta un continuo discernimento nella vita interiore e nella prassi pastorale. Le suore hanno dovuto ripensare le loro attività per servire la gente: alcune di loro sono andate all’estero per collaborare con le strutture cattoliche che hanno ospitato i rifugiati ucraini; altre hanno dato assistenza psicologica alle vittime per superare lutti e traumi. Il loro contributo a un futuro di pace è soprattutto quello di far fronte alla naturale reazione di rabbia (di fronte all’ingiustizia e alla sofferenza subite), affinché non diventi l’emozione prevalente e che le persone scelgano la vita anche nei gesti piccoli.
La seconda testimonianza, proprio all’inizio della guerra, viene da suor Franciszka Tumanevych della congregazione delle suore della Sacra Famiglia di Nazareth (intervista di ACI Stampa, 28/02/2022). «Il primo giorno è stato il più duro, è stato uno shock, è scoppiato il panico, la gente faceva la fila per il cibo, le medicine, la benzina, ma già la sera tutto si era calmato. Il giorno dopo ci siamo resi conto che dovevamo imparare a vivere in condizioni di guerra e abbiamo iniziato a lavorare concretamente. Perché se non si fa niente, è terribile. Preghiamo continuamente». Anche loro, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, si sono trovate di fronte alla necessità di svolgere nuovi compiti di assistenza e di cura verso la popolazione civile. «Rosario e panini» potrebbe oggi essere il loro motto. Le suore sono sempre con la gente e pregano tutto il giorno insieme ai laici. «In molte parrocchie c’è l’adorazione tutto il giorno». E si prega anche per la conversione di Vladimir Putin, che è nato il 7 ottobre, giorno della festa di Nostra Signora del Rosario.
Gli appelli di papa Francesco
Consapevole dell’impegno di tante comunità cristiane per lenire le sofferenze del popolo ucraino, il papa ha ricordato attraverso un tweet dal suo account @Pontifex che un anno fa «iniziava l’assurda guerra contro l’Ucraina. Restiamo vicini al martoriato popolo ucraino che continua a soffrire e chiediamoci: è stato fatto tutto il possibile per fermare la guerra? La pace costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria». Dodici mesi fa, il giorno prima del primo attacco a Kyiv, Francesco all’Udienza generale lanciava un forte appello: «Vorrei appellarmi a quanti hanno responsabilità politiche, perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra; che è Padre di tutti, non solo di qualcuno, che ci vuole fratelli e non nemici. Prego tutte le parti coinvolte perché si astengano da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, destabilizzando la convivenza tra le nazioni e screditando il diritto internazionale». Il 6 marzo 2022 all’Angelus Francesco descrive il conflitto con queste parole: «In Ucraina scorrono fiumi di sangue e di lacrime. Non si tratta solo di un’operazione militare, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria. Le vittime sono sempre più numerose, così come le persone in fuga, specialmente mamme e bambini. In quel paese martoriato cresce drammaticamente di ora in ora la necessità di assistenza umanitaria. Rivolgo il mio accorato appello perché si assicurino davvero i corridoi umanitari, e sia garantito e facilitato l’accesso degli aiuti alle zone assediate, per offrire il vitale soccorso ai nostri fratelli e sorelle oppressi dalle bombe e dalla paura. Ringrazio tutti coloro che stanno accogliendo i profughi. Soprattutto imploro che cessino gli attacchi armati e prevalga il negoziato e prevalga pure il buon senso. E si torni a rispettare il diritto internazionale! E vorrei ringraziare anche le giornaliste e i giornalisti che per garantire l’informazione mettono a rischio la propria vita. Grazie, fratelli e sorelle, per questo vostro servizio! Un servizio che ci permette di essere vicini al dramma di quella popolazione e ci permette di valutare la crudeltà di una guerra».
Il 24 ottobre 2022 il papa ha incontrato seminaristi e sacerdoti che studiano a Roma. Un prete ucraino gli ha rivolto questa domanda: «Qual è il ruolo che deve svolgere la Chiesa cattolica nei confronti dei territori colpiti dalle guerre?». «La Chiesa cattolica – ha risposto papa Francesco – è madre, madre di tutti i popoli. E una madre, quando i figli sono in litigio, soffre. La Chiesa deve soffrire davanti alle guerre, perché le guerre sono la distruzione dei figli. Come una mamma soffre quando i figli non vanno d’accordo o litigano e non si parlano – le piccole guerre domestiche – la Chiesa, la madre Chiesa davanti a una guerra come questa nel tuo paese, deve soffrire. Deve soffrire, piangere, pregare».
Per alcuni la posizione di papa Bergoglio «è ritenuta troppo diplomatica, quasi equidistante tra le due parti in guerra; in realtà ha chiaramente condannato l'invasione da parte della Federazione russa e ha preso le distanze dalla legittimazione teologica che ne ha purtroppo fornito il patriarca ortodosso Kirill. Chi vorrebbe dal papa prese di posizione ancora più nette contro lo Stato russo, dimentica che il papa vede la realtà non attraverso gli occhi dei capi di Stato e dei loro governanti, ma attraverso gli occhi delle vittime, soprattutto dei bambini e delle persone fragili, ma anche di quei giovani militari che da entrambe le parti in guerra vengono immolati alla causa, gettando nel dolore da una parte e dall'altra centinaia di migliaia di famiglie… Non è questo il tentativo di dare torto a tutti, perché resta fermo che esiste un invasore violento e un popolo che ha subìto l'invasione; è solo il tentativo di ricordare come la guerra abbruttisca e danneggi tutti coloro che la combattono sul campo, i quali finiscono per diventare tutti vittime» («Lettera alla città» di mons. Erio Castellucci, Modena 31/01/2023).
Fermare la guerra oggi
per abolirla domani
«Il negoziato di pace impossibile» è il titolo dell’ultimo paragrafo dell’articolo già citato apparso su La Civiltà cattolica. Il gesuita p. Sale scrive: «Nonostante le dichiarazioni pubbliche di entrambe le parti o le presunte aperture di un negoziato o di un cessate il fuoco, la cruda realtà del presente è la guerra. Per il momento, le posizioni tra le due parti sono semplicemente inconciliabili». Occorre ricordare che nel 2024 si terranno elezioni politiche, oltre che in Russia, anche in Ucraina, negli Stati Uniti e a Taiwan: «Il fatto che si voti in tali paesi sarà fondamentale per determinare in che modo proseguirà la guerra nei prossimi mesi. Il risultato di quelle votazioni, inoltre, potrebbe definire il futuro dell’ordine mondiale».
In questo contesto si situa un contributo del prof. Fulvio De Giorgi dal titolo molto significativo: «Fermare la guerra oggi per abolirla domani» (Istituto De Gasperi Bologna, Appunti di cultura e politica, n. 2/2022). Lo studioso sottolinea che viviamo «un momento storico di guerra pluridimensionale… Non propriamente o non soltanto una terza guerra mondiale «a pezzetti», ma una terza guerra mondiale a più piani». In questo contesto la riflessione, le valutazioni e i giudizi sono intellettualmente obbligati, nella consapevolezza di «riflessioni che si fondano su un terreno insicuro, accidentato e forse». «La prospettiva ideale dell’eliminazione totale della guerra può essere, per ora, solo un fine (come già argomentava Luigi Sturzo), ma se l’azione morale, etico-politica, partendo con realismo dalla realtà-così-come-essa-è muove univocamente e il più coralmente possibile verso quell’ideale, allora si recupera il meglio dell’esperienza passata dell’ONU e si realizza nel contempo un grande salto qualitativo nuovo». Come disse Aldo Moro, parlando alla XXVI sessione dell’Assemblea generale dell’ONU (9/10/1971): «I grandi problemi che si pongono al mondo non sono suscettibili di soluzione attraverso il solo impegno, anche congiunto, delle grandi potenze. […] Né si può certo più ammettere che esistano ancora popoli che facciano la storia e altri che la subiscano […] Proprio cominciando a porre in essere un clima di fiducia e di cooperazione tra stati vicini si può sperare di instaurare, progressivamente, un ordine migliore. La regola aurea della politica estera di altri tempi voleva che i nemici dei nostri vicini fossero i nostri amici. Tale regola è oggi sostituita in misura crescente dal principio: i nostri vicini devono essere nostri amici. […] Una simile opera potrà dare ai popoli d’Europa la possibilità di fare sentire più efficacemente la propria voce. È possibile che l’influenza così ritrovata possa riuscire dannosa a qualcuno? La risposta è: no. Essa non è diretta – e non sarà diretta – contro alcun popolo, bensì contro la guerra, il peso degli armamenti, la fame e il sottosviluppo, contro l’iniquità, contro tutto ciò che è suscettibile di impedire i contatti liberi e fecondi tra tutti gli uomini».
Dove sono gli eredi di Sturzo e di Moro?
Nella postilla, De Giorgi offre due spunti sull’operatività per far cessare la guerra pluridimensionale in corso e impedire che degeneri sempre di più. «Innanzi tutto, dopo aver realizzato un’escalation sanzionatoria, punitiva e ostile, si dovrebbe, senza necessariamente smentirla e cancellarla, affiancarla con una politica della mano tesa. […] Parlare a Putin e alla Russia con un grande discorso di possibile amicizia, associazione e pace: facendogli balenare i grandi benefici di una realizzabile vicinanza e collaborazione. Lavorare sulla comune natura di europei e porre fine perciò a una guerra civile europea». In secondo luogo, «non porsi (come finora hanno fatto la Turchia, Israele e altri) come soggetti che mediano per portare le parti a trattare, ma avviare un vero e serio arbitrato, indipendentemente dall’impegno diretto delle parti. L’Unione Europea senta l’Ucraina, la Cina senta la Russia. E poi Unione Europea e Cina insieme elaborino una proposta stringente di arbitrato».
MARIO CHIARO