Chiaro Mario
LO STILE DI RONCALLI IL VESCOVO, IL PAPA, IL CONCILIO
2023/3, p. 34
Siamo davanti a un lavoro affascinante e molto documentato. La tesi del libro è che Angelo Roncalli volle essere, da semplice prete, da vescovo e da diplomatico, solo il «buon pastore», compreso alla luce del capitolo 10 del Vangelo secondo Giovanni e sull’esempio di Carlo Borromeo.

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Gabriella La Mendola
Lo stile di Roncalli. Il vescovo, il papa, il concilio. Prefazione di Giuseppe Ruggeri
EDB Bologna,2023, pp. 260, € 18,00
Siamo davanti a un lavoro affascinante e molto documentato. La tesi del libro è che Angelo Roncalli volle essere, da semplice prete, da vescovo e da diplomatico, solo il «buon pastore», compreso alla luce del capitolo 10 del Vangelo secondo Giovanni e sull’esempio di Carlo Borromeo. «Il pastore Roncalli e il suo stile ne costituiscono l’oggetto principale», a partire dallo studio della sua predicazione. Si scopre che egli non è un teorico della teologia, ma semplicemente un pastore, che vive tale ministero come vocazione e itinerario di santità. «Pastorale» per lui è la dimensione essenziale e costitutiva della dottrina, ed è uno stile, una spiritualità, un modo di abitare il mondo.
Il «papa buono»
La professoressa La Mendola ricorda la definizione di Giovanni XXIII come «papa buono» e cita uno scritto in cui Hannah Arendt afferma: «Nel bel mezzo del nostro secolo questo uomo ha deciso di prendere alla lettera, e non simbolicamente, ogni articolo di fede che gli era stato insegnato». La bontà e la semplicità di papa Giovanni si traducono in una vera e propria linea strategica di ministero pastorale, riscontrabile in tutto l’arco della sua esistenza, nelle più disparate esperienze. Come sottolinea A. Riccardi («L’uomo dell’incontro. Angelo Roncalli e la politica internazionale» 2014, 7): «La semplicità roncalliana è chiarezza interiore, vissuta attraverso la complessità di mondi diversi e dentro la contraddizione delle situazioni. Affrontare la complessità richiede un’arte umana, ma anche una sensibilità culturale capace di decifrare ambienti e personalità differenti. Infatti il “semplice” Roncalli è un uomo di cultura, uno storico, che penetra in profondità i mondi in cui vive o che incontra».
Lo stile pastorale: un modo di abitare il mondo
Nell’Introduzione al suo scritto, l’autrice si dichiara convinta che l’oggetto dello studio, lo stile pastorale, così come concepito e vissuto da papa Giovanni e dal concilio, possono avere, anche oggi, «un significato trasformante per la Chiesa». Privilegiando lo studio della sua predicazione dal 1925 al 1963, lo studio si articola in due parti: la prima parte segue l’evoluzione della prospettiva pastorale in Roncalli nel suo ministero da Sofia a Istanbul, da Parigi a Venezia, a Roma con la convocazione del Vaticano II; la seconda è dedicata allo studio della recezione del suo stile «pastorale» nel Vaticano II, con particolare attenzione alla prima sessione del concilio e soprattutto al dibattuto testo dal titolo Gaudium et spes, dove si tratteggia una Chiesa che vuol aprirsi al mondo e alla storia. Nel primo capitolo si prendono in esame tempi, luoghi, modalità e temi della predicazione roncalliana. Nel secondo si propone un’analisi delle ricorrenze dell’immagine del Buon pastore, individuando tre verbi caratteristici dell’opera del pontefice: unire, nutrire, difendere. Verbi che vengono approfonditi nel terzo capitolo. Il quarto capitolo «si concentra sul periodo del pontificato, analizzato soprattutto nell’ottica dell’annuncio, della preparazione e della fase iniziale del concilio». È un capitolo chiave, perché approfondisce il senso del discorso di apertura del Vaticano II, Gaudet Mater Ecclesia. In questo testo straordinario, con il termine pastorale si designa l’indole e la natura dell’intero magistero ecclesiale: il pontefice distingue il deposito della fede, cioè le verità contenute nella dottrina, dalla «forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata. Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se necessario, bisognerà insistere con pazienza nella sua rielaborazione; e si dovrà ricorrere a un modo di presentare le cose che più corrisponda al magistero, il cui carattere è preminentemente pastorale».
Nel quinto capitolo si esplora la recezione del compito affidato dal papa al concilio, la recezione del termine e dello stile pastorale così come espresso anche nella lettera Mirabilis ille, che il pontefice inviò ai vescovi alla fine della prima sessione. L’ultimo capitolo si concentra sul documento emblema del concilio: proprio la costituzione pastorale Gaudium et spes. Qui si misura la forza di un papa che si accolla il tentativo di compiere un balzo in avanti nella penetrazione del vangelo, a partire da un nuovo dialogo col mondo, dentro una visione cristiana della storia.
Un vangelo per nutrire oggi l’esistenza dell’umanità
Papa Giovanni XXIII, attraverso l’immagine del pastore, amata e scelta in modo privilegiato da Cristo per parlare di sé, ha riletto il mistero dell’incarnazione e dell’intero vangelo. In tal modo ha fatto del Buon pastore non solo la cifra del proprio sacerdozio, ma di tutta l’esistenza cristiana, tanto da affermare che «la vita cristiana altro non è che pascere ed essere pasciuti da Cristo». La Chiesa è chiamata a percorrere tutte le strade del mondo per annunciare il vangelo: per farlo deve continuamente essere in un continuo sforzo di «aggiornamento» – un termine che nel vocabolario di Roncalli è sinonimo di pastorale – cioè non può restare prigioniera delle forme che nella storia hanno reso possibile l’evangelizzazione, perché queste non sono rispondenti alle esigenze del tempo attuale. La mutevolezza del rivestimento della sostanza viva della dottrina non sminuisce quest’ultima, ma le consente di poter ancora essere nutrimento per l’uomo di questo tempo. «Penetrare più a fondo il vangelo, instaurare con esso una relazione vitale, ma portando con sé il carico e la fatica, le gioie e le speranze degli uomini di oggi, perché il vangelo possa ancora nutrire l’esistenza dell’uomo, di ogni uomo, è ciò che fa sì che il magistero e la stessa missione della Chiesa si connotino di pastoralità. Rimanere ancorati alle forme esteriori rischia di far rimanere la Chiesa fedele a una parte della sua storia, ma infedele al suo Signore e al suo vangelo». Compiere questo balzo nella comprensione del vangelo significa per la Chiesa, per il singolo e per la comunità, assumere una mentalità e una prassi messianica, abitare la storia con stile messianico o pastorale.
Davvero incisiva la lucida conclusione del volume: «Se la Gaudium et spes ha aperto la porta per poter dialogare col mondo, non ha poi saputo indicare i modi e i criteri per abitare il mondo». Questa porta rimane aperta perché la Chiesa, come popolo di Dio in cammino, possa andare sulle strade del mondo, scrutando i segni del regno di Dio che viene. L’eredità di papa Giovanni e del concilio è ancora tutta da scoprire e da vivere: «abitare il mondo con uno stile pastorale per essere segno dei tempi messianici nell’oggi e nel qui della storia» (p. 244).
Gabriella La Mendola, missionaria della Famiglia ecclesiale missione chiesa-mondo, è docente di storia e filosofia e ha insegnato pedagogia e didattica presso lo Studio teologico S. Paolo di Catania. Ha conseguito il dottorato in teologia spirituale presso la pontificia Università Antonianum. Attualmente, presso la Fondazione di scienze religiose «Giovanni XXIII» di Bologna, sta curando l’edizione critica delle omelie di Roncalli.
M.C.