Tobia e Sara preghiera di affidamento
2023/3, p. 28
Affidarsi al Signore, affidare tutto a Lui, è credere nella sua fedeltà.
È a partire dalla sua Presenza che noi possiamo essere certi di essere sostenuti e accompagnati
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Testimoni
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AFFIDARSI COME VIA DI SALVEZZA
Tobia e Sarapreghiera di affidamento
Affidarsi al Signore, affidare tutto a Lui, è credere nella sua fedeltà. È a partire dalla sua Presenza che noi possiamo essere certi di essere sostenuti e accompagnati.
La scelta del brano tratto dal libro di Tobia (7,4-9) in riferimento alla preghiera di affidamento fa balzare nuovamente ai nostri occhi la commovente scena contemplata nella nostra chiesa qualche mese fa. Una nostra ex-allieva, il giorno del matrimonio celebrato in una chiesa vicina alla nostra, appena terminata la celebrazione, insieme al marito è venuta per salutare la comunità, soprattutto quelle monache che l’hanno vista crescere nel percorso umano, di fede e culturale. Appena giunti, i due sposi radianti di gioia, per prima cosa, mano nella mano, si sono inginocchiati davanti al presbiterio. Per qualche minuto hanno pregato in silenzio fissando il tabernacolo. Poi ci hanno chiesto di pregare insieme. Infine i saluti e gli abbracci con ciascuna di noi lasciando come ricordo il libretto della cerimonia.
Quale la sorpresa quando, guardandolo poi con calma, abbiamo riscontrato che la prima lettura da loro scelta per la liturgia della Parola era proprio la preghiera di Tobia e di Sara. «Quando gli altri uscirono, chiusero la porta della camera. Allora Tobia si alzò dal letto e disse a Sara: “Alzati, sorella, preghiamo e supplichiamo il Signore perché abbia misericordia di noi e ci protegga”. Essa si alzò e cominciarono a pregare e a supplicare, chiedendo a Dio che li proteggesse, e Tobia si mise a dire: “Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri, e benedetto sia il tuo nome per tutte le generazioni! Ti benedicano i cieli e tutte le tue creature nei secoli! Tu hai creato Adamo e come aiuto e sostegno gli hai creato la moglie Eva; da loro due nacque il genere umano. Tu dicesti: Non è bene che l'uomo resti solo, facciamogli un aiuto simile a lui! Ora non per lussuria mi sposo con questa mia parente, ma con retta intenzione. Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia”. Poi dissero insieme: “Amen, amen!”. E dormirono per tutta la notte».
L’augurio che continuiamo a fare a questi sposi è che possa accadere sempre nella loro vita quanto era solita affermare santa Teresa di Calcutta: «La famiglia che prega unita, rimane unita». In famiglia, in ogni famiglia, nelle comunità ecclesiali e religiose, ovunque si creano relazioni e instaurano legami la preghiera è linfa vitale e garanzia di riuscita. Perché la comunione si alimenta proprio con la condivisione orante, celebrando «insieme» la vita liturgica e sacramentale prima che tutto il resto.
Affidarsi
via di liberazione e di salvezza
È importante sottolineare come affidare la propria vita, il proprio cammino, la propria vocazione, tutto se stessi al Signore è un atto di restituzione. Ci si consegna a Lui a partire dal dono ricevuto. Apparteniamo a Dio che ci ha voluti e amati per primo e a Dio costantemente rimandiamo quello che siamo e facciamo con la sua grazia che soccorre i nostri limiti, la nostra povertà umana e persino il peccato. Siamo nelle sue mani divine e nulla e nessuno potrà mai staccarci da Lui se non siamo noi a volerlo, e sarebbe davvero la fine. Prendiamo a prestito quello che scrive madre Maria Ignazia Angelini, monaca benedettina, a proposito dei Salmi intesi come preghiera dell’anima, estendendolo al brano biblico che abbiamo scelto: «L’espandersi del respiro per aggrapparsi al Signore è via di liberazione […]. È il presentimento che la via della salvezza è affidarsi. Dalla lontananza dei secoli il grido dell’anima si ripercuote nel canto della Chiesa all’inizio di un tempo nuovo, “altro”, a partire dalla celebrazione del mistero del farsi carne di Dio. E da lì si rifrange nell’interiorità del credente. Il respiro desidera Dio, e ancorato a Lui trova libertà da ogni insidia di morte».
L’atto dell’affidarsi presuppone il fidarsi. È l’atteggiamento proprio del bambino in braccio alla mamma o al papà. Si addormenta tranquillo, si sente al sicuro, protetto, custodito. È un’immagine di grande tenerezza e forza ricorrente nella Bibbia. È Dio stesso a consegnarcela: «Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,3-4). All’assicurazione del Creatore segue la risposta della creatura, l’affidarsi appunto: «Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia» (Ps 130,2); «In pace mi corico e subito mi addormento: tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare» (Ps 4,9): ce lo assicurano pure Tobia e Sara!
Affidarsi è atto di fede
La fiducia e il conseguente affidarsi è un atto di fede. Non siamo uomini e donne lanciati nel cosmo, siamo figli e figlie di un Padre amorevole e onnipotente, provvidente e misericordioso. Non siamo degli sbandati, degli abbandonati. Il trapezista non ha timore nel fare il suo salto perché il compagno lo incoraggia a buttarsi, assicurando che c’è lui a prenderlo. Ancor più noi sappiamo bene quali braccia ci stringeranno. Le braccia di Dio sono sicure, sono forti, non ci lasciano mai cadere nel vuoto. Sì, il cuore può anche battere di trepidazione, si può persino sperimentare il momento del dubbio, del buio - siamo fatti di carne! - ma la luce della fede squarcia la notte e ci ricorda sempre la grande promessa di Cristo: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Come non pensare anche a Maria? Bellissima la rassicurazione fatta al veggente di Guadalupe Juan Diego: «Non ci sono qui io che sono tua Madre?».
Affidarsi al Signore, affidare tutto a Lui, è credere nella sua fedeltà. È sulla sua fedeltà che gli sposi fondano il loro reciproco sì, - l’«Amen amen» di Tobia e Sara - così per le altre forme di vita in cui si declina ogni specifica chiamata. Da soli non possiamo assicurare nulla di stabile e duraturo. È a partire dalla sua Presenza che noi possiamo essere certi di essere sostenuti e accompagnati. La perseveranza è un dono che viene dall’Alto e che chiede di essere custodito camminando con Dio al fianco giorno per giorno. Nel caso specifico della nostra professione monastica, alla fine del rito, essa prevede il canto del versetto del salmo 118 «accoglimi, Signore, secondo la tua Parola e non deludermi nella mia speranza». È il prendere coscienza che «se il Signore non costruisce la casa invano faticano i costruttori» (Ps 126,1), invano sarebbe darsi da fare, promettere, perché solo la casa costruita sulla roccia (cf. Mt 21-29) può resistere alle tempeste, agli straripamenti di fiumi, alla nostra incostanza e spesso anche inaffidabilità. E così anche nella nostra preghiera personale possiamo affidarci rinnovando la nostra fede: Mi fido di Dio, dalla sua Parola avrò la vita, non soltanto quella biologica…. Vivrò, cioè avrò la vita vera, la gioia del cuore, la pace, la forza di accettare pure le difficoltà. Io vivo la vita non soltanto perché c’è il cuore che pulsa, il cervello che dà i comandi ecc. La sua Parola farà vivere tutto di me. Io gli chiedo di accogliermi perché mi fido.
E così al termine del giorno, parabola della vita che procede verso il suo eterno compimento, pregando compieta possiamo ben salmodiare ad imitazione di Gesù sulla croce e con la voce dell’orante biblico (cf. Ps 30): «Signore, nelle tue mani affido il mio spirito». È preludio di resurrezione.
suor MARIA CECILIA LA MELA osbap