Chiaro Mario
L’arte del discernimento secondo papa Francesco
2023/3, p. 24
Papa Francesco illustra gli elementi fondamentali del discernimento cristiano: la preghiera, la conoscenza di se stessi, la coltivazione del desiderio e la lettura del «libro della propria vita». Il discernimento si presenta come un esercizio di intelligenza, di perizia, di volontà e di affettività.

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Testimoni
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IL DISCERNIMENTO CRISTIANO
L’arte del discernimento secondo papa Francesco
Papa Francesco illustra gli elementi fondamentali del discernimento cristiano: la preghiera, la conoscenza di se stessi, la coltivazione del desiderio e la lettura del «libro della propria vita». Il discernimento si presenta come un esercizio di intelligenza, di perizia, di volontà e di affettività.
Dopo il lungo ciclo di catechesi riguardanti la vecchiaia, presentato in sintesi nella nostra rivista (Testimoni 9/2022 p. 20-22), le Udienze di papa Francesco si sono focalizzate sul tema del discernimento. Si tratta di quattordici riflessioni dal 31 agosto 2022 al 4 gennaio 2023. Più volte il pontefice si è rifatto agli «Esercizi spirituali» di sant’Ignazio, che sono orientati a far sì che la persona compia una scelta di vita, sia che scelga uno stato di vita sia che scelga di riformare aspetti importanti della propria esistenza. In questa prospettiva si può parlare di una struttura kerygmatica del discernimento degli spiriti. Con questo retroterra, all’inizio delle meditazioni, il papa ha richiamato come Gesù parli del discernimento cristiano con immagini tratte dalla vita ordinaria. L’immagine dei pescatori che selezionano i pesci buoni e scartano quelli cattivi; quella del mercante che individua, tra tante perle, quella di maggior valore; quella del contadino che, arando un campo, si imbatte in un tesoro (cf. Mt 13,44-48). Sono tutte situazioni inattese, non programmate, dove è fondamentale riconoscere l’importanza e l’urgenza di una decisione da prendere, diventando consapevoli che il discernimento si presenta come un esercizio di intelligenza, di perizia, di volontà e di affettività, per cogliere il momento favorevole. «Il discernimento non è una sorta di oracolo o di fatalismo o una cosa di laboratorio, come gettare la sorte su due possibilità. Le grandi domande sorgono quando nella vita abbiamo già fatto un tratto di strada, ed è a quel percorso che dobbiamo tornare per capire cosa stiamo cercando». Discernere cosa succede dentro di ognuno non è facile, perché le apparenze ingannano, ma la familiarità con Dio può sciogliere dubbi e timori.
Conoscenza di sée importanza del «desiderio»
Un buon discernimento, ha rimarcato il pontefice, richiede la conoscenza di se stessi, perché coinvolge le nostre facoltà umane: la memoria, l’intelletto, la volontà, gli affetti. Spesso non sappiamo discernere perché non ci conosciamo abbastanza e quindi non sappiamo che cosa veramente vogliamo. E di seguito si mette il dito nella piaga: «alla base di dubbi spirituali e crisi vocazionali si trova non di rado un dialogo insufficiente tra la vita religiosa e la nostra dimensione umana, cognitiva e affettiva». Vivendo nell’era dell’informatica, sappiamo quanto sia importante conoscere le password per poter entrare nei programmi dove si trovano le informazioni più personali e preziose. «Di che genere è questa conoscenza? I maestri spirituali la indicano con il termine “desiderio”, il quale, alla radice, è una nostalgia di pienezza che non trova mai pieno esaudimento, ed è il segno della presenza di Dio in noi». Il desiderio insomma non è la voglia del momento. La radice del termine viene dal vocabolario latino: de-sidus, letteralmente «mancanza della stella», cioè la mancanza del punto di riferimento che orienta il cammino della vita. Il desiderio davvero diventa la bussola per capire se stiamo fermi o stiamo camminando. «Molte persone soffrono perché non sanno che cosa vogliono dalla propria vita; probabilmente non hanno mai preso contatto con il loro desiderio profondo, mai hanno saputo chiedersi: “Cosa vuoi dalla tua vita?”». Da qui il rischio di trascorrere l’esistenza tra tentativi ed espedienti di vario tipo, senza arrivare da nessuna parte e sciupando opportunità preziose.
La personale «storia di vita»
Nella vita dobbiamo prendere delle decisioni, sempre, e per prendere le decisioni dobbiamo fare un cammino, una strada di discernimento. Francesco ci dice che c’è un altro ingrediente indispensabile per il discernimento: la propria storia di vita. «La nostra vita è il “libro” più prezioso che ci è stato consegnato, un libro che tanti purtroppo non leggono, oppure lo fanno troppo tardi, prima di morire. […] Sant’Agostino, un grande cercatore della verità, lo aveva compreso proprio rileggendo la sua vita, notando in essa i passi silenziosi e discreti, ma incisivi, della presenza del Signore. Al termine di questo percorso noterà con stupore: “Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te”» (Confessioni X, 27.38). Da qui nasce l’invito a coltivare la vita interiore: «Rientra in te stesso». Il discernimento dunque ha un approccio narrativo, dal momento che non si sofferma sull’azione puntuale, ma la inserisce in un contesto: da dove viene questo pensiero? Dove mi porta?
Lo spettro della «desolazione»
Il discernimento, più che su un procedimento logico, verte sulle azioni, e le azioni hanno una connotazione affettiva. Il pontefice a questo punto si ricollega alla prima modalità affettiva, oggetto del discernimento, cioè la desolazione, che è stata così definita: «L’oscurità dell’anima, il turbamento interiore, lo stimolo verso le cose basse e terrene, l’inquietudine dovuta a diverse agitazioni e tentazioni: così l’anima s’inclina alla sfiducia, è senza speranza, e senza amore, e si ritrova pigra, tiepida, triste, come separata dal suo creatore e Signore» (cf. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 317). La desolazione «ha qualcosa di importante da dirci, e se abbiamo fretta di liberarcene, rischiamo di smarrirla».
Si consideri che il cambiamento di una vita orientata al vizio può iniziare da una situazione di rimorso per ciò che si è fatto. L’etimologia del termine «rimorso» è coscienza che morde, che non dà pace e genera tristezza. «San Tommaso definisce la tristezza come un dolore dell’anima: come i nervi per il corpo, essa ridesta l’attenzione di fronte a un possibile pericolo, o a un bene disatteso (cf. STh, I-II, q. 36, ad 1). Per questo, essa è indispensabile per la nostra salute, ci protegge perché non facciamo del male a noi stessi e ad altri». «La desolazione insomma provoca uno “scuotimento dell’anima”: quando uno è triste è come se l’anima si scuotesse; mantiene desti, favorisce la vigilanza e l’umiltà e ci protegge dal vento del capriccio […] Noi non possiamo non fare caso ai sentimenti: siamo umani e il sentimento è una parte della nostra umanità; senza capire i sentimenti saremmo disumani, senza vivere i sentimenti saremmo anche indifferenti alla sofferenza degli altri e incapaci di accogliere la nostra». Per molti santi e sante, l’inquietudine è stata una spinta decisiva per dare una svolta alla propria vita. Il papa cita espressamente Agostino di Ippona, Edith Stein, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Charles de Foucauld.
L’esperienza della «consolazione»
«La vita spirituale non è una tecnica a nostra disposizione, non è un programma di “benessere” interiore che sta a noi programmare. La vita spirituale è la relazione con il Vivente, con Dio, il Vivente, irriducibile alle nostre categorie». Mentre la desolazione consiste nel buio dell’anima, la consolazione diventa la luce dell’anima. Si tratta del grande dono della gioia interiore. «Pensiamo all’esperienza vissuta da sant’Agostino quando parla con la madre Monica della bellezza della vita eterna; o alla perfetta letizia di san Francesco – peraltro associata a situazioni molto dure da sopportare –; e pensiamo a tanti santi e sante che hanno saputo fare grandi cose, non perché si ritenevano bravi e capaci, ma perché conquistati dalla dolcezza pacificante dell’amore di Dio».
Il pontefice ricorda la pace che notava in sé sant’Ignazio quando leggeva le vite dei santi e la pace che provava Edith Stein dopo la conversione. La consolazione davvero spinge avanti, al servizio degli altri, alla società, alle persone. «La consolazione spirituale non è “pilotabile” […], non è programmabile a piacere, è un dono dello Spirito Santo: consente una familiarità con Dio che sembra annullare le distanze. La consolazione è spontanea, ti porta a fare tutto spontaneamente, come se fossimo bambini. I bambini sono spontanei, e la consolazione ti porta a essere spontaneo con una dolcezza, con una pace molto grande».
La vigilanza del cuore
Da quanto detto fino ad ora si evince che il motore fondamentale del discernimento è la vigilanza. Il papa qui cita il passo del Vangelo secondo Luca (c.12,35-37) dove Gesù dice: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che al suo ritorno il padrone troverà ancora svegli». Occorre dunque vigilare per custodire il nostro cuore e capire cosa succede dentro.
«Si tratta della disposizione d’animo dei cristiani che aspettano la venuta finale del Signore; ma si può intendere anche come l’atteggiamento ordinario da tenere nella condotta di vita, in modo che le nostre buone scelte, compiute a volte dopo un impegnativo discernimento, possano proseguire in maniera perseverante e coerente e portare frutto».
Gli aiuti per un buon discernimento
Un primo aiuto è il confronto con la parola di Dio e la dottrina della Chiesa: entrambi aiutano a leggere ciò che si muove nel cuore. La Bibbia ci avverte che la voce di Dio risuona nella calma, nell’attenzione, nel silenzio. Per il credente, la parola di Dio non è semplicemente un testo da leggere, ma è una presenza viva, è un’opera dello Spirito Santo che conforta, istruisce, dà luce, forza, ristoro e gusto di vivere. «Questo rapporto affettivo con la Bibbia, con la Scrittura, con il Vangelo, porta a vivere una relazione affettiva con il Signore Gesù: non avere paura di questo! Il cuore parla al cuore, e questo è un altro aiuto indispensabile e non scontato. Molte volte possiamo avere un’idea distorta di Dio, considerandolo come un giudice arcigno, un giudice severo, pronto a coglierci in fallo. Gesù, al contrario, ci rivela un Dio pieno di compassione e di tenerezza, pronto a sacrificare se stesso pur di venirci incontro, proprio come il padre della parabola del figlio prodigo (cf. Lc 15,11-32)». «La parola di Dio ti apre tutte le porte, perché Lui, il Signore, è la porta».
Viene indicato un altro aiuto efficace: l’accompagnamento spirituale, decisivo anzitutto per la conoscenza di sé. La grazia di Dio in noi lavora sempre sulla nostra natura. È importante farsi conoscere, senza timore di condividere gli aspetti più fragili. Perché la fragilità è la nostra vera ricchezza: ci rende umani. «L’accompagnamento spirituale, se è docile allo Spirito Santo, aiuta a smascherare equivoci anche gravi nella considerazione di noi stessi e nella relazione con il Signore […]. In questo modo, la condivisione di sé diventa esperienza di salvezza, di perdono gratuitamente accolto». Per questo è importante non camminare da soli. C’è un detto della saggezza africana che dice: «Se tu vuoi arrivare in fretta, vai da solo; se tu vuoi arrivare sicuro, vai con gli altri».
A conclusione di questo impegnativo cammino, papa Francesco sottolinea che la Vergine Maria è la prima maestra di discernimento: «parla poco, ascolta molto e custodisce nel cuore (cf. Lc 2,19). I tre atteggiamenti della Madonna: parlare poco, ascoltare tanto e custodire nel cuore. E le poche volte in cui parla lascia il segno».
Da queste riflessioni sul discernimento, comprendiamo che esso è un’arte, che si può apprendere e che ha le sue regole proprie. Senza dimenticare che il discernimento stesso è un dono di Dio: va sempre chiesto, senza mai presumere di essere esperti e autosufficienti.
MARIO CHIARO