Ferrari Matteo
Le due vocazioni di Davide
2023/3, p. 16
La Bibbia è il grande libro della fede ed è capace di parlare ad ogni epoca, se interrogata – come afferma D. Bonhoeffer – «realmente». Egli scrive in una sua lettera: «io credo che soltanto la Bibbia sia la risposta a tutte le nostre domande e che abbiamo bisogno soltanto di domandare con insistenza e con un po’ di umiltà per ricevere da essa la risposta… Soltanto se ci attendiamo dalla Bibbia una risposta definitiva, essa ce la fornisce».

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UN MODELLO BIBLICO DI DISCERNIMENTO VOCAZIONALE
Le due vocazioni di Davide
La Bibbia è il grande libro della fede ed è capace di parlare ad ogni epoca, se interrogata – come afferma D. Bonhoeffer – «realmente». Egli scrive in una sua lettera: «io credo che soltanto la Bibbia sia la risposta a tutte le nostre domande e che abbiamo bisogno soltanto di domandare con insistenza e con un po’ di umiltà per ricevere da essa la risposta… Soltanto se ci attendiamo dalla Bibbia una risposta definitiva, essa ce la fornisce».
Ai nostri giorni indubbiamente il tema dei giovani e del discernimento vocazionale è un punto fondamentale sul quale ci interroghiamo e può essere una questione per la quale rivolgerci «realmente» alle Scritture attendendoci da esse la «risposta definitiva». È stato dedicato proprio a questo tema anche un Sinodo dei Vescovi nel 2018, al quale è seguita l’esortazione apostolica postsinodale Christus vivit di papa Francesco.
Nell’intento di interrogare le Scritture circa i giovani e il discernimento vocazionale oggi, partiamo da una figura biblica, che anche papa Francesco cita in Christus vivit (CV 9). Si tratta della figura del re Davide. La sua è una «vocazione complessa», così come è tormentata e contradittoria la sua vita. Proprio per questa complessità, molto «contemporanea», le vicende del re peccatore, ma amato dal Signore, possono offrirci alcuni spunti di riflessione utili per leggere alcuni tratti del rapporto dei giovani con la fede e il discernimento vocazionale nei nostri giorni.
Le due vocazioni di Davide
La vocazione di Davide ha una particolarità rispetto alle altre numerose esperienze di chiamata divina nella Bibbia. Potremmo dire che Davide ha due vocazioni: una nascosta e una pubblica. La vocazione nascosta (1Sam 16,1-13) avviene nella casa di suo padre Iesse grazie all’intervento del profeta Samuele, e quella pubblica (2Sam 2,1-4). Si tratta di un aspetto interessante, che può suggerirci diverse riflessioni utili ad illuminare il nostro tempo.
La «consacrazione nascosta»
Innanzitutto abbiamo la vocazione «nascosta»: la conoscono solamente Davide, la sua famiglia e il profeta. Avviene nella casa della famiglia di Davide. Una famiglia numerosa, nella quale Davide è il più giovane, l’ultimo arrivato. La prima fase della chiamata del futuro re avviene quindi nel contesto familiare, nella casa paterna. La famiglia di Iesse non è consapevole della chiamata del ragazzo, tanto che sarà l’ultimo ad essere presentato al profeta. Solo alla domanda di Samuele se i figli di Iesse fossero tutti presenti, alla fine, si manderà a chiamare il giovane Davide. Quindi una vocazione che nasce in famiglia, tra le mura domestiche, anche se, potremmo dire, «inconsapevolmente». Iesse non cerca di far sì che suo figlio diventi re-messia. Non ci pensa nemmeno. Tuttavia il Signore sceglie un re proprio tra i suoi figli.
La seconda caratteristica della prima fase della vocazione di Davide è costituita dall’azione di Dio e del profeta Samuele. Innanzitutto si dice che l’iniziativa è di Dio: «Il Signore disse a Samuele» (1Sam 16,1). La vocazione di Davide non parte dal chiamato stesso, non parte dalla sua famiglia, nemmeno è frutto dell’iniziativa del profeta. È solo da Dio che tutto ha inizio. Nulla di ciò che accade nella vita di Davide sarebbe stato possibile, se non fosse partito tutto da Dio. Il primato dell’azione divina nelle chiamate del futuro re è sottolineata nel testo da un altro elemento. Il Signore dice a Samuele: «ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re» (1Sam 16,1). È Dio che ha scelto Davide. Il testo in realtà usa un’espressione molto interessante. Il verbo che nella nostra traduzione è reso con l’espressione «mi sono scelto», in realtà è il verbo «vedere». La frase quindi suonerebbe così: «ho visto tra i suoi figli un re». La vocazione di Davide quindi inizia con uno sguardo: lo sguardo di Dio che precede tutto. Ma quando Dio posa il suo sguardo su qualcuno è per prendersene cura. È esemplare ciò che accade all’inizio dell’Esodo quando Dio vede l’oppressione del suo popolo: «Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero» (Es 2,25). La vocazione di Davide consiste quindi in un atteggiamento di cure di Dio nei suoi confronti, il suo sguardo che si posa su di lui. Ogni vocazione è questo: Dio che si prende cura personalmente di noi.
Poi c’è l’azione di un uomo che ascolta la Parola di Dio: il profeta Samuele. Per la vocazione di Davide c’è bisogno di un profeta, di uno che si fa servo della Parola di Dio e della sua azione. All’inizio la cura di Dio per Davide passa attraverso l’azione di Samuele. Ma ciò che più conta nel testo è il costante ascolto della Parola da parte del profeta. Samuele fino alla fine non sa che cosa il Signore gli stia realmente chiedendo, non sa chi sarà il prescelto per diventare re al posto di Saul, al quale Samuele era molto legato (cf. 1Sam 16,1: «fino a quando piangerai su Saul»). Samuele deve anche lui lasciare qualcosa, il suo attaccamento a Saul, lasciarsi guidare dalla parola di Dio e farsi umile strumento nelle mani del Signore. Tuttavia Samuele deve essere anche coraggioso. Egli rischia la vita per compiere quell’azione all’insaputa del re Saul e, nello stesso tempo, deve avere il coraggio di riconoscere la parola del Signore, la sua volontà, e metterla in pratica. Tutto quindi in qualche modo, ancor prima della preparazione di Davide, dipende dalla preparazione di Samuele, del profeta. Il «cammino spirituale» di Samuele, ciò che gli permette di ascoltare la parola di Dio e di metterla in pratica, è ciò che permetterà a Davide di incontrare la chiamata del Signore, che altrimenti non sarebbe mai giunta ai suoi orecchi.
Davanti a Samuele sfilano tutti i figli di Iesse. Nella casa di Iesse avviene la ricerca per trovare ciò che ha visto Dio. Samuele vede il maggiore, Eliab, ed è convinto che sia lui colui che il Signore ha scelto: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!» (1Sam 16,6). Ma il Signore gli risponde: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1Sam 16,7). Immediatamente si sottolinea uno scarto tra ciò che vede l’uomo e ciò che vede Dio. Il discernimento vocazionale della chiamata di Davide consiste nel tenere conto di questo scarto: occorre sintonizzarsi con lo sguardo di Dio.
Poi segue una lunga ricerca: tutti i figli di Iesse vengono passati in rassegna. Nel gruppo ne manca solo uno, il più piccolo. Nessuno avrebbe pensato che potesse essere lui il consacrato del Signore. Egli è fuori a pascolare il gregge. Quando Davide arriva a casa, il Signore dice a Samuele: «Alzati e ungilo: è lui!». Viene descritto anche l’aspetto di Davide: «Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto» (1Sam 16,12). Un ragazzo come tanti, che nella vita avrebbe potuto fare tante scelte differenti, che anzi mai si sarebbe immaginato - né mai se lo sarebbero immaginato il padre e i suoi fratelli - di essere «il consacrato del Signore». Perfino il profeta è colto di sorpresa dalla parola di Dio. Quell’annotazione sull’aspetto di Davide sottolinea la sua «normalità»: è un ragazzo come tanti che il Signore ha scelto per essere il suo consacrato, per prendersi cura di lui e, attraverso di lui, del suo popolo.
Tutto il corpo centrale del racconto della «vocazione nascosta» di Davide è quindi come una lunga ricerca per vedere ciò che vede Dio. Non è forse questo il senso del discernimento vocazionale? Cercare di vedere ciò che vede Dio: è una ricerca che coinvolge il chiamato, ma anche la «guida», il profeta che in ascolto della parola di Dio, vede ciò che gli altri non vedono e che in un primo tempo nemmeno lui vedeva, lasciandosi anch’egli cogliere di sorpresa da Dio. Il Signore fin dall’inizio ha visto Davide, l’ha scelto come suo consacrato: è una realtà che già esiste e che va solo riconosciuta. Tutto il lavoro di Samuele e di Iesse consiste nel sintonizzarsi con lo sguardo di Dio. Essi devono scoprire con la loro ricerca quello che vede Dio.
Dopo la «consacrazione segreta» di Davide, segue un lungo periodo (cf. 1Sam 16,14 – 2Sam 1,27). È il tempo della pedagogia divina e della crescita di Davide. Samuele sembra scomparire dalla vita di Davide: egli ha fatto il suo lavoro, ha svolto la sua funzione. Ora Davide deve camminare da solo, mentre Samuele deve ritirarsi. È un lungo periodo fatto di incontri e di vittorie, di amicizia e di odio, di relazioni fruttuose e di altre distruttive. Ciò che caratterizza in modo particolarmente evidente il lungo periodo della «consacrazione nascosta» di Davide è la lotta. Se leggiamo le vicende della vita del futuro re dalla sua consacrazione per mano di Samuele fino all’ascesa al trono in Ebron, possiamo vedere che è costituita principalmente da lotte e da guerre. Citiamone una per tutte: la lotta contro il gigante Golia (cf. 1Sam 17,40-54). Si tratta di un episodio simbolico: il piccolo e giovane Davide sfida a mani nude il grande ed esperto Golia, e lo vince. La consacrazione nascosta è il tempo della lotta, nel quale imparare a diventare un guerriero che vince contro i nemici, anche i più potenti. Ma è anche il tempo nel quale imparare la fedeltà – pensiamo al complicato rapporto con Saul – e coltivare le relazioni significative, come quella con Gionata. Nella consacrazione nascosta il Signore, attraverso la vita, educa Davide a diventare il re del suo popolo. Senza questo tempo di nascondimento e di lotta, Davide non avrebbe potuto diventare re e vivere la sua chiamata.
La consacrazione «pubblica»
Dopo il tempo della consacrazione nascosta, arriva il momento di quella pubblica. Dopo le tante lotte che hanno segnato la sua vita, ecco il tempo in cui Davide chiede al Signore di fare un passo concreto: «Devo salire in qualcuna delle città di Giuda?» (2Sam 2,1). Ora Davide parla direttamente con il Signore. Non c’è più la mediazione del profeta. È arrivato il momento di prendere una decisione concreta e Davide lo deve fare in prima persona: la decisione spetta solo a lui ed è lui solo che deve chiedere al Signore che cosa fare. Davide deve fare «discernimento» a tu per tu con il Signore. Certo, se non ci fosse stata la mediazione di Samuele, capace di vedere ciò che Dio vedeva in quel ragazzo, se non ci fosse stato il lungo tempo della lotta, ora Davide non potrebbe fare questo passo. Tuttavia ora egli deve agire in prima persona: nessuno si può sostituire a lui nel discernere la volontà di Dio per la sua vita.
Il Signore gli comanda di salire a Ebron, dove è sepolto Abramo, il primo chiamato della storia (Gn 25,7-11). È un po’ come se la chiamata di Davide, come quella di ogni credente, debba ripartire dalla chiamata di Abramo, essere cioè prolungamento di quella chiamata perché siano benedette tutte le famiglie della terra (Gn 12,1-3). Anche la vita di Davide, come quella di Abramo, è chiamata a diventare una benedizione. La chiamata di Davide è la benedizione di Dio – cioè ciò che rende fecondo – per la sua vita.
A Ebron, Davide incontra gli abitanti di Giuda che lo ungono come loro re (2Sam 2,4). C’è un riconoscimento del popolo, dell’assemblea. Finora tutto è stato «nascosto»: un lungo tempo di nascondimento e di laboriosa fatica per giungere a questo momento in cui, alla fine, occorre un riconoscimento pubblico, una verifica della comunità. Ma questa verifica necessaria, arriva solamente alla fine, solo quando Davide è pronto, educato da Dio e dalla vita, a rispondere alla sua chiamata. Nella consacrazione nascosta è il profeta Samuele che, ascoltando la parola di Dio, intuisce la chiamata di Davide a diventare re; in un secondo momento è Davide stesso che camminando concretamente impara a lottare, a diventare un condottiero e, quindi, a poter assumere il ruolo di guida del popolo come re. Ora dopo questo lungo discernimento, guidato da Samuele e personale, deve arrivare il discernimento della comunità, che riconosce in Davide l’opera di Dio, la sua chiamata ad essere re di Giuda, consacrato del Signore.
Uno sguardo al presente
Le due chiamate/consacrazioni di Davide possono parlare al nostro tempo, nel quale ci interroghiamo con preoccupazione circa il tema del discernimento vocazionale. La vicenda del re Davide è molto «contemporanea» e potrebbe delineare un «percorso di discernimento vocazionale» per un tempo, come quello che noi viviamo, nel quale non è più scontato che un giovane possa essere nelle condizioni per corrispondere alla parola che Dio rivolge alla sua vita.
Potranno sembrare cose scontate, ma cerchiamo di elencare gli ingredienti che fanno della storia della vocazione di Davide un percorso molto attuale. Innanzitutto occorre ribadire che l’iniziativa è solo e unicamente di Dio: parlare di vocazione significa parlare dello sguardo di cura di Dio che si posa su una persona, per fare della sua vita una benedizione. Se non abbiamo ben chiaro questo primo elemento, affronteremo il tema del discernimento vocazionale in una prospettiva unicamente di «risorse umane». Ma questa non è la vocazione cristiana. Se non «ripartiamo» da Dio e dal «credere» che egli continua anche oggi a rivolgere la sua Parola agli uomini e alle donne per costruire insieme a loro una vita di benedizione, certamente ogni strategia sarà vana e destinata al fallimento.
In secondo luogo occorrono uomini e donne di fede, come Samuele, che ascoltano la Parola di Dio, che si lasciano «sorprendere» da lui e cercano di sintonizzare il loro sguardo con il suo: uomini e donne di preghiera, capaci di osservare la realtà, di interrogarsi, di stupirsi, e di lasciarsi guidare unicamente dalla Parola del Signore, anche quando non la capiscono fino in fondo. Papa Francesco afferma: «quando ci capita di aiutare un altro a discernere la strada della sua vita, la prima cosa è ascoltare» (CV 291). Questi «Samuele» dei nostri giorni devono essere allo stesso tempo prudenti e coraggiosi, perché occorre arrivare a fare una proposta. Occorrono uomini e donne coraggiosi e prudenti capaci di mettersi anche loro in gioco e di proporre un cammino. Diversamente oggi un giovane non ha fino in fondo gli strumenti per interrogarsi sulla propria chiamata: occorre insegnare a pregare, ad ascoltare la Parola, a leggere la propria vita, per scorgere dove essa ci conduce. Infatti, se sappiamo leggerla alla luce della Parola, è la vita stessa che ci indica la strada da percorrere. Ma per essere «Samuele» occorre essere preparati: oggi ancor prima della preparazione del chiamato, viene la preparazione di chi accompagna. Non si tratta principalmente di una preparazione «tecnica» ma spirituale: si tratta si saper ascoltare la Parola di Dio e la vita al tempo stesso. Samuele deve sapere poi farsi anche da parte al momento giusto. Infatti, come Samuele, «il profeta» di oggi «deve scomparire per lasciare che [il chiamato] segua la strada che ha scoperto» (CV 296).
Poi c’è la famiglia di Iesse. Un tema oggi fondamentale. Una famiglia inconsapevole di ciò che il Signore chiede a uno dei propri figli e tuttavia apparentemente non contraria, anzi collaborativa con il profeta inviato dal Signore. Certo oggi le situazioni che riguardano la famiglia possono essere molto complesse e difficili, ci può essere anche una opposizione nei confronti di alcune scelte di vita. Tuttavia, in ogni caso, non si può tacere l’importanza della famiglia nel discernimento vocazionale, dal momento che essa ha contribuito e contribuisce a creare quell’ambiente nel quale la chiamata del Signore si manifesta.
Altro ingrediente particolarmente originale della vicenda di Davide è il lungo tempo della consacrazione nascosta, nel quale vivere lotte, relazioni, paure, trepidazione, delusioni, lutti. In Gaudete et Exsultate papa Francesco afferma che «una condizione essenziale per il progresso nel discernimento è educarsi alla pazienza di Dio e ai suoi tempi, che non sono mai i nostri» (GE 174). Nel lungo tempo della consacrazione nascosta occorre imparare a vivere le relazioni in un modo nuovo, a vivere la lotta spirituale, a coltivare la propria relazione con Dio, a comprendere gli elementi fondamentali della scelta di vita verso la quale un giovane intuisce di essere incamminato, grazie all’aiuto di chi lo accompagna. Occorre proiettarsi in una scelta di vita prima di fare passi decisivi. È un tempo prezioso, di grande libertà, nel quale imparare ad ascoltare personalmente la Parola di Dio e non più solo con la mediazione di Samuele. Questo tempo oggi è quanto mai necessario per la situazione di vita e di fede nella quale ci troviamo, e per creare veramente una situazione di libertà da ogni condizionamento nel discernimento. Occorre questa «iniziazione» alla propria chiamata nella quale, in piena libertà, lasciarsi educare da Dio.
Infine il tempo della consacrazione pubblica. Ora i «Davide» di oggi hanno imparato ad ascoltare personalmente la Parola del Signore e possono fare un ulteriore passo. Certo un «Samuele» di appoggio sarà sempre utile, ma la Parola va ascoltata personalmente perché la scelta spetta unicamente al chiamato. Viene il tempo di passi decisivi e concreti, che, tuttavia, è possibile fare perché c’è stata la consacrazione nascosta, dove si è imparato a lottare, senza farsi troppo male. Allora il giovane potrà decidere personalmente i passi concreti della sua vita: «si tratta di una decisione molto personale che nessuno può prendere al nostro posto» (CV 283). Qui si collocherà anche il discernimento comunitario, che potrà riconoscere l’opera di Dio nella vita del chiamato.
Molti altri aspetti della duplice chiamata di Davide potrebbero illuminare il nostro «oggi» circa il discernimento vocazionale. Possiamo lasciare che questo testo della Scrittura parli alle nostre prassi e ai nostri cammini di discernimento in modo più concreto e attuale. Tuttavia, già a partire da questi pochi tratti possiamo vedere come la Parola di Dio non perda mai di attualità, rispetto a «strategie» solo umane che passano velocemente di moda, e sia capace di guidarci anche oggi nel difficile compito di accompagnamento nel discernimento vocazionale, per aiutare a comprendere che «colui che chiede tutto dà anche tutto, e non vuole entrare in noi per mutilare o indebolire, ma per dare pienezza. Questo ci fa vedere che il discernimento non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista, ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli» (GE 175).
MATTEO FERRARI, monaco di Camaldoli