Mastrofini Fabrizio
Un appello forte alla pace
2023/3, p. 7
«Siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: hanno bisogno di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute. Gli anni successivi alla nascita del Paese, segnati da un’infanzia ferita, lascino il posto a una crescita pacifica: è l’ora».

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VIAGGIO DI PAPA FRANCESCO IN AFRICA
Un appello forte alla pace
«Siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: hanno bisogno di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute. Gli anni successivi alla nascita del Paese, segnati da un’infanzia ferita, lascino il posto a una crescita pacifica: è l’ora».
Un appello forte alla pace, sia nella Repubblica Democratica del Congo (31 gennaio-3 febbraio), sia nel Sud Sudan (3-5 febbraio). Ma soprattutto l’indicazione di un modo di essere Chiesa, nella società, basato sulla testimonianza e sulla vicinanza concreta con chi soffre. E ai politici, papa Francesco ha ricordato il loro compito: il bene comune. A Juba, in Sud Sudan, papa Francesco ha usato espressioni forti (per la cultura e la mentalità africana risuonano in modo particolare). Parlando al Corpo diplomatico, ai politici, al governo del paese, ha detto: «Voi siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: hanno bisogno di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute. Gli anni successivi alla nascita del Paese, segnati da un’infanzia ferita, lascino il posto a una crescita pacifica: è l’ora». E subito dopo la frase chiave, l’espressione destinata a risuonare con particolare immediatezza: «i vostri figli e la storia stessa vi ricorderanno se avrete fatto del bene a questa popolazione, che vi è stata affidata per servirla. Le generazioni future onoreranno o cancelleranno la memoria dei vostri nomi in base a quanto fate ora perché, come il fiume lascia le sorgenti per avviare il suo corso, così il corso della storia lascerà indietro i nemici della pace e darà lustro a chi opera per la pace».
Sfruttamento e dolore
In entrambi i paesi, papa Francesco ha avuto parole decise a favore della pace e contro lo sfruttamento delle risorse della Repubblica Democratica del Congo, da parte dei paesi occidentali. Tema ribadito negli incontri pubblici e riassunto nella conferenza stampa con i giornalisti nel volo di ritorno. «C’è questa idea, che ho già detto, che l’Africa va sfruttata. Qualcuno dice, non so se è vero, che i Paesi che avevano colonie hanno dato l’indipendenza ma “dal pavimento in su”: sotto non hanno dato indipendenza, vengono a cercare minerali. Non so se è vero, si dice così. Ma l’idea che l’Africa è da sfruttare dobbiamo toglierla. L’Africa ha la propria dignità. E il Congo in questo è a un altissimo livello. E parlando di sfruttamento mi colpisce e mi dà dolore il problema dell’est, che è un problema di guerra e di sfruttamento. Nel Congo ho potuto avere un incontro con vittime di quella guerra. Terribile. Feriti, mutilati. Tanto dolore, tanto dolore. Tutto per prendere le ricchezze. Non va, non va!».
Ecumenismo, dialogo e profezia
L’altra cifra del viaggio ha riguardato l’aspetto ecumenico. In Sud Sudan il papa era accompagnato dal primate anglicano Justin Welby e dal moderatore della Chiesa Presbiteriana Scozzese, Iain Greenshields. Toccanti due incontri dei tre esponenti cristiani: con un gruppo di profughi provenienti dai campi gestiti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (4 milioni di profughi interni) e l’appello per la pace al mausoleo intitolato a John Garang (1945-2005), storico politico e combattente per l’indipendenza, ottenuta nel 2011 dal Sudan del nord musulmano, mentre il Sud Sudan è cristiano e animista, con 64 differenti gruppi etnici. L’indipendenza non ha portato la pace, nonostante le promesse e le speranze e nonostante il raduno svoltosi in Vaticano nel 2019, di cui resta celebre l’immagine di papa Francesco che si inginocchia ai piedi dei leader politici del paese. La visita di febbraio ha comunque portato almeno un primo risultato: la ripresa – annunciata – dei colloqui di pace tra le diverse realtà etniche e politiche.
Per la Chiesa nei due paesi, papa Francesco non ha lesinato indicazioni, a partire dal profeta Isaia nella prima tappa e commentando i gesti di Mosè in Sud Sudan (con il bastone in mano davanti al faraone – profezia –; con le mani protese nel Mar Rosso e con le Tavole – vicinanza a Dio –, con le mani alzate al cielo per invocare misericordia sul popolo ebraico attratto dall’idolatria. Immagini usate per parlare a sacerdoti diocesani e vita consacrata. «Ecco che cosa significa essere servitori del popolo: preti, suore, missionari che hanno sperimentato la gioia dell’incontro liberante con Gesù e la offrono agli altri», ha detto nella Repubblica Democratica del Congo. «Ricordiamocelo: il sacerdozio e la vita consacrata diventano aridi se li viviamo per “servirci” del popolo invece che per “servirlo”. Non si tratta di un mestiere per guadagnare o avere una posizione sociale, e nemmeno per sistemare la famiglia di origine, ma è la missione di essere segni della presenza di Cristo, del suo amore incondizionato, del perdono con cui vuole riconciliarci, della compassione con cui vuole prendersi cura dei poveri. Noi siamo stati chiamati a offrire la vita per i fratelli e le sorelle, portando loro Gesù, l’unico che risana le ferite del cuore. Per vivere così la nostra vocazione abbiamo sempre delle sfide da affrontare, delle tentazioni da vincere», che sono la mediocrità spirituale, la comodità mondana, la superficialità.
E in Sud Sudan ha proseguito sulla stessa linea, partendo da Mosè. «Essere profeti, accompagnatori, intercessori, mostrare con la vita il mistero della vicinanza di Dio al suo popolo può richiedere la vita stessa. Tanti sacerdoti, religiose e religiosi – come suor Regina ci ha detto delle sue sorelle – sono rimasti vittime di violenze e attentati in cui hanno perso la vita. In realtà, l’esistenza l’hanno offerta per la causa del Vangelo e la loro vicinanza ai fratelli e alle sorelle è una testimonianza meravigliosa che ci lasciano e che ci invita a portare avanti il loro cammino. Possiamo ricordare san Daniele Comboni, che con i suoi fratelli missionari ha compiuto in questa terra una grande opera di evangelizzazione: egli diceva che il missionario dev’essere disposto a tutto per Cristo e per il Vangelo, e che c’è bisogno di anime ardite e generose che sappiano patire e morire per l’Africa».
Giustizia, riconciliazione e pace
Sul piano del messaggio sociale, papa Francesco ha insistito sui temi della giustizia, della riconciliazione, della pace e sulle responsabilità delle persone di governo. A Kinshasa ha rivolto un vibrante appello a tutte le persone, a tutte le entità, interne ed esterne, che tirano i fili della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, depredandola, flagellandola e destabilizzandola. «Vi arricchite attraverso lo sfruttamento illegale dei beni di questo Paese e il cruento sacrificio di vittime innocenti. Ascoltate il grido del loro sangue, prestate orecchio alla voce di Dio, che vi chiama alla conversione, e a quella della vostra coscienza: fate tacere le armi, mettete fine alla guerra. Basta! Basta arricchirsi sulla pelle dei più deboli, basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue!».
Incontrando le vittime delle violenze nell'est del Paese, papa Francesco ha lanciato un appello: «Vi prego di disarmare il cuore. Ciò non vuol dire smettere di indignarsi di fronte al male e non denunciarlo, questo è doveroso! Nemmeno significa impunità e condono delle atrocità, andando avanti come se nulla fosse. Quello che ci è chiesto, in nome della pace, in nome del Dio della pace, è smilitarizzare il cuore: togliere il veleno, rigettare l'astio, disinnescare l'avidità, cancellare il risentimento; dire 'no' a tutto ciò sembra rendere deboli, ma in realtà rende liberi, perché dà pace. Sì, la pace nasce dai cuori, da cuori liberi dal rancore». «Mai più: mai più violenza, mai più rancore, mai più rassegnazione!», ha aggiunto il papa. Poi ha ringraziato e benedetto «tutti i seminatori di pace». «Alcuni hanno perso la vita mentre servivano la pace, come l'ambasciatore Luca Attanasio - ha ricordato il Papa -, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l'autista Mustapha Milambo, assassinati due anni fa nell'Est. Erano seminatori di speranza e il loro sacrificio non andrà perduto».
Nell'omelia della messa dell’1 febbraio a Kinshasa, il papa ha sottolineato che i cristiani sono chiamati ad essere «missionari di pace». «È una scelta: è fare posto a tutti nel cuore, è credere che le differenze etniche, regionali, sociali e religiose vengono dopo e non sono ostacoli; che gli altri sono fratelli e sorelle, membri della stessa comunità umana; che ognuno è destinatario della pace portata nel mondo da Gesù. È credere che noi cristiani siamo chiamati a collaborare con tutti, a spezzare il circolo della violenza, a smontare le trame dell'odio. Sì, i cristiani, mandati da Cristo, sono chiamati per definizione a essere coscienza di pace del mondo». Ed ha chiesto ai congolesi di «perdonare». «C'è sempre la possibilità di essere perdonati e ricominciare, e pure la forza di perdonare se stessi, gli altri e la storia! Cristo questo desidera: ungerci con il suo perdono per darci la pace e il coraggio di perdonare a nostra volta, il coraggio di compiere una grande amnistia del cuore», ha detto. «Quanto bene ci fa ripulire il cuore dalla rabbia, dai rimorsi, da ogni rancore e livore», ha aggiunto papa Francesco.
Nell’incontro con i giovani a Kinshasa, ha parlato di Floribert Bwana Chui che 15 anni fa venne ucciso a Goma per aver bloccato il passaggio di alimenti deteriorati che avrebbero danneggiato la salute della gente. «Poteva lasciare andare, non lo avrebbero scoperto e ci avrebbe pure guadagnato. Ma, in quanto cristiano, pregò, pensò agli altri e scelse di essere onesto, dicendo no alla sporcizia della corruzione. Questo è mantenere non solo le mani pulite ma il cuore pulito». Durante l'incontro nello Stadio dei Martiri, ha chiesto anche di non lasciarsi rovinare «dalla solitudine e dalla chiusura. Pensatevi sempre insieme e sarete felici, perché la comunità è la via per stare bene con se stessi, per essere fedeli alla propria chiamata. Invece, le scelte individualiste all'inizio sembrano allettanti, ma poi lasciano solo un grande vuoto dentro». Il papa ha fatto due esempi: la droga e la stregoneria. «Pensate alla droga: ti nascondi dagli altri, dalla vita vera, per sentirti onnipotente; e alla fine ti ritrovi privo di tutto. Ma pensate anche alla dipendenza dall'occultismo e dalla stregoneria, che rinchiudono nei morsi della paura, della vendetta e della rabbia. Per favore, non lasciatevi affascinare da falsi paradisi egoisti, costruiti sull'apparenza, su guadagni facili o su religiosità distorte».
Da rimarcare il grande seguito che ha avuto il viaggio, con una folla stimata un milione di persone per la messa dell’1 febbraio e gli intensi momenti in Sud Sudan di fronte alla sofferenza ed alla miseria nei campi profughi, con l’urgente richiesta di dare un futuro a tutto un paese, ricco di risorse e depauperato. E va citato l’apprezzamento per il lavoro delle donne. In aereo nel volo di ritorno, lo ha riassunto così: «le donne, le ho viste nel Sud Sudan, portano avanti i figli, a volte rimangono sole, ma hanno la forza di creare un Paese. Le donne sono brave, sono quelle che stanno portando avanti. Perché gli uomini vanno alla lotta, vanno alla guerra e queste signore con due, tre, quattro, cinque bambini vanno avanti. Le ho viste qui in Sud Sudan. E, parlando di donne, vorrei dire una parola sulle suore, le suore che si coinvolgono, ne ho viste alcune qui in Sud Sudan, e tante suore che sono state uccise, sgozzate in questa guerra. Ma torniamo alla forza della donna, dobbiamo prenderla sul serio e non usarla solamente come pubblicità di maquillage! Per favore, questo è un insulto alla donna, la donna è per le cose più grandi!».
FABRIZIO MASTROFINI