Siccità
2023/2, p. 46
Il film di Virzì si svolge in una Roma apocalittica in cui non piove da tre anni. L’acqua è razionata per tutti, anche se i ricchi non patiscono le restrizioni, mentre si scatena la classica guerra dei poveri. Si vive in una realtà devastata, dove non c’è acqua e l’aridità non è solo del terreno, ma anche interiore. Senza acqua c’è sofferenza
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RECENSIONI
Siccità
Il film di Virzì si svolge in una Roma apocalittica in cui non piove da tre anni. L’acqua è razionata per tutti, anche se i ricchi non patiscono le restrizioni, mentre giù - nella scala sociale - si scatena la classica guerra dei poveri. Siccità è un film dove si vive in una realtà devastata, dove non c’è acqua e l’aridità non è solo del terreno, ma anche interiore. Senza acqua c’è sofferenza. Non si può vivere senza, è il bene primario a cui non si può rinunciare. Lo scenario è desertico di giorno e cupo di notte. La mancanza d’acqua stravolge le abitudini della Capitale, costringendo le autorità a chiudere i rubinetti e varare nuove norme per il razionamento delle scorte: al supermercato è vietato acquistare più di una confezione d’acqua, non si possono innaffiare piante e chi decide di lavare l’auto è passibile di arresto.
In questa città infestata di scarafaggi e che muore di sete, si muovono diversi personaggi: un avvocato di successo, sposato con una cinica dottoressa ospedaliera; un sonnolento ex autista di auto blu, che adesso è un driver in preda ad allucinazioni; una guardia del corpo e la sua protetta, figlia di un ricco proprietario di un hotel di lusso.
Ci sono poi anche un detenuto di Rebibbia che evade per sbaglio e vaga in cerca di redenzione; un influencer con un passato da attore di teatro che trascura la moglie e deve fare i conti con un figlio ribelle; un ex commerciante in bancarotta che freme per parlare alla televisione delle sue sventure finanziarie; uno scienziato diventato una star televisiva che finisce per affascinare una diva del cinema. Esistenze tra di loro apparentemente diverse e distanti, ma che di fronte alla catastrofe ambientale sono destinate a sfiorarsi, toccarsi per poi infine incrociarsi. Tutto questo proprio mentre sulla città incombe una nuova minaccia: un’epidemia di una malattia sconosciuta che inizia a contagiare gravemente diverse persone.
Tra immaginario e reale
La sceneggiatura mantiene una narrazione in equilibrio fra il post-apocalittico e le tensioni del presente, generando una realtà che è sì immaginaria ma anche riconoscibile in aspetti reali e familiare.
Non è un caso che il soggetto sia stato concepito dagli autori durante il primo lockdown pandemico del 2020. Un racconto quindi contaminato con tutta una serie di ambientazioni (gli ospedali), sociologie (le proteste di piazza) e avvenimenti (il Papa che prega per la pioggia) che stanno insieme a quello che si è realmente vissuto in quel periodo.
Ma Siccità non è solo l’eco di quel mondo, anzi. Ne coglie le sfumature che stanno tra l’immaginario e il possibile reale, ma le proietta su un’altra emergenza, quella climatica, finendo per rendere ancora più attuale tutto l’impianto narrativo. Dopotutto, Siccità è uscito nelle sale dopo l’estate più secca degli ultimi 500 anni e contemporaneamente precede quella che sarà una crisi energetica senza eguali nella storia recente, dando un significato del tutto nuovo alla pratica del “razionamento” che pervade tutto il film.
Virzì costruisce insomma il suo dramma futuristico sulle risonanze del passato per poi deformarlo attraverso un’istantanea del presente.
Siccità è a tutti gli effetti un cinema frenetico, un “cinema che corre”, quasi come le blatte che brulicano sui pavimenti delle case. Dinamismo dunque, tra i pedinamenti stretti dei personaggi, movimenti di macchina brevi e fluidi che tagliano gli spazi e un montaggio straordinario che alterna le tante storie raccontate.
E poi c’è Roma, in tutta la sua decadenza postmoderna. Non quella elegante e sorniona di Sorrentino o di Fellini, ma quella più aderente alla realtà. È una città rappresentata con una luminosità vivida e accecante, con i colori tutti sfumati al seppia, rendendo la città arida e polverosa; una sorta di deserto urbano. E dal Tevere prosciugato, insieme alla spazzatura, emerge un grande colosso di epoca romana.
Significato e messaggio finale
In Siccità c’è spazio anche per una scena biblica, quando il personaggio di Silvio Orlando, vagando per il letto asciugato del Tevere, si trova di fronte a Giuseppe e Maria con il loro asinello: una natività post-apocalittica, come se venissimo riportati indietro nel tempo, dentro un nuovo “anno zero”.
E forse il ritorno alle origini di un mondo amniotico, con l’acqua che ci nutre e ci conforta, non è così lontano se ognuno fa la sua parte; perché di fronte al tragico della vita e della storia siamo tutti coinvolti e connessi, nessuno escluso: privilegiati o sfruttati, giovani o vecchi, ricchi o poveri, persone che fanno fatica ad amare o a dire la verità – agli altri o a loro stessi – e sono incapaci ormai di comunicare tra di loro. Per tutti vale l’unica possibilità di salvarsi solo se ci salviamo tutti e insieme. Virzì sembra dirci con la sua opera che questa umanità, la nostra odierna umanità, tanto insicura, disorientata e disperata, non va abbandonata a se stessa, anzi, va abbracciata nella sua interezza, con tutti i suoi limiti, le sue miserie e i suoi sbagli.
a cura di ANNA MARIA GELLINI