Chiaro Mario
Giustizia climatica
2023/2, p. 33
La Conferenza ONU sui cambiamenti climatici (COP 27) ha lasciato aperti molti interrogativi riguardo le misure di contrasto al riscaldamento globale; ha però segnato un punto di svolta con la proposta di istituire un Fondo di risarcimento dei danni e delle perdite ai Paesi vittime dei cambiamenti climatici.

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INTERROGATIVI RIMASTI APERTI
Giustizia climatica
La Conferenza ONU sui cambiamenti climatici (COP 27) ha lasciato aperti molti interrogativi riguardo le misure di contrasto al riscaldamento globale; ha però segnato un punto di svolta con la proposta di istituire un Fondo di risarcimento dei danni e delle perdite ai paesi vittime dei cambiamenti climatici.
La Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici (COP 27), tenutasi a Sharm el-Sheikh (Egitto, 6-20 novembre 2022), ha lasciato aperti molti interrogativi sulle misure di contrasto al riscaldamento globale. Va ricordato che nel 2015 (COP 21 di Parigi) i leader mondiali hanno convenuto di mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C. Bisogna però arrivare al 2021 (COP 26 di Glasgow) per iniziare ad affrontare il problema dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), che sono la principale e prima causa di tale riscaldamento. Proprio nel 2015 papa Francesco ha espresso chiaramente la prospettiva del cambiamento, sottolineando che la tecnologia basata sui combustibili fossili va sostituita al più presto: «In attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per l’alternativa meno dannosa o ricorrere a soluzioni transitorie. Tuttavia, nella comunità internazionale non si raggiungono accordi adeguati circa la responsabilità di coloro che devono sopportare i costi maggiori della transizione energetica. Negli ultimi decenni le questioni ambientali hanno dato origine a un ampio dibattito pubblico, che ha fatto crescere nella società civile spazi di notevole impegno e di generosa dedizione. La politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere all’altezza delle sfide mondiali. In questo senso si può dire che, mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità» (Laudato sì n.165).
L’ambiguità sulla transizione energetica
La COP 27 ha fatto emergere ancora una volta che troppi paesi non sono pronti a fare progressi nella lotta contro la crisi climatica. Lo ha detto chiaramente il segretario dell’Onu, il portoghese António Guterres, commentando l’accordo raggiunto: «Il nostro pianeta è ancora nella sala emergenze del pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un tema che questa COP non ha affrontato. Il mondo ha ancora bisogno di un gigantesco salto di qualità per quanto riguarda le ambizioni climatiche». Una ventina di paesi con forti interessi petroliferi - supportati da numerosi e potenti lobbisti - hanno condotto la discussione in modo da far approvare espressioni ambigue proprio sul tema della eliminazione dei combustibili fossili. Al contrario, più di 80 paesi hanno manifestato la necessità di inserire misure per ridurre la causa principale dell’emergenza climatica: la combustione di fonti energetiche fossili. Alla fine dei lavori, nel testo dell’accordo mondiale è rimasto il riferimento – a un certo punto tolto dal testo finale! – dell’obiettivo di limitare a 1,5°C l’aumento della temperatura media globale. Ma per centrare quest’obiettivo, sarebbe necessario porre fine, oltre che allo sfruttamento dei combustibili fossili, alla produzione di plastica e all’uso di pesticidi e fertilizzanti; azzerare la deforestazione, rigenerare le foreste e piantare alberi ovunque; ridimensionare il commercio globale e ridurre drasticamente il consumo di carne. A questo proposito, va sottolineato che la filiera mondiale di cibo, dal campo alla tavola, è responsabile dell’80% della deforestazione globale, del 70% del consumo di acqua dolce e del 29% di emissioni che alterano il clima. La Conferenza di Sharm el-Sheikh ha dimostrato che il mondo invece sta andando in tutt’altra direzione!
Una decisione storica: “chi inquina paga”
La COP 27 ha però fatto registrare una importante novità nei negoziati internazionali. Gli stati del Sud del mondo sono riusciti a portare al centro del dibattito la proposta di istituire un Fondo di risarcimento dei danni e delle perdite ai paesi vittime dei cambiamenti climatici (Loss and damage). Da un punto di vista simbolico si raggiunge un traguardo fondamentale: il dovere delle nazioni industrializzate, principali responsabili del riscaldamento globale, di compensare le perdite inflitte da quest’ultimo alle nazioni povere, più vulnerabili agli effetti del clima. Un approccio che afferma il principio “chi inquina paga”. Su questo punto la trattativa è stata spesso sul punto di saltare. Il primo compromesso si è raggiunto con la proposta che a contribuire a tale Fondo siano tutte le grandi economie, comprese quelle qualificate come “paesi in via di sviluppo”. La svolta è arrivata quando l’Unione Europea ha accettato la creazione del Fondo per i ristori ai paesi vulnerabili, ponendo due condizioni: un impegno più deciso per l’uscita dai combustibili fossili e l’estensione della base dei donatori per i risarcimenti. L’obiettivo è che contribuisca al Fondo anche la Cina (primo paese produttore di gas nocivi), che non può continuare a pretendere di venire considerata come un paese in via di sviluppo. Questa posizione ha richiesto un ulteriore compromesso, stabilendo che il Fondo sarà aperto anche ai “contributi volontari” delle nazioni incluse nella lista dei paesi in via di sviluppo e che le risorse disponibili saranno distribuite prioritariamente alle popolazioni maggiormente vulnerabili. I paesi del cosiddetto G77, che rappresentano il Sud globale e ormai assommano a 134 membri (due terzi dei partecipanti alla Conferenza), nel corso degli ultimi anni hanno rafforzato l’azione coordinata per portare avanti la richiesta di risarcimenti. Il concetto di “perdite e danni” (loss and damage, abbreviato in L&D), rappresenta una priorità per le popolazioni colpite e costituisce un tema etico fondamentale per la Chiesa, perché esprime l’opzione preferenziale per i poveri, cioè l’impegno a leggere la realtà dal loro punto di vista. Durante i negoziati, l'Unione Europea ha anche proposto l'idea che i contributi delle compagnie petrolifere e del gas, così come le tasse sui biglietti aerei e sui container, vadano ad implementare il Fondo.
In ogni modo, si assiste a una crisi strutturale del capitalismo, che non sembra in grado di organizzare la produzione e la distribuzione dei beni necessari alla popolazione. I diretti responsabili della crisi ambientale sono le grandi imprese transnazionali. Sono i produttori di pesticidi (Bayer, Basf, Monsanto, Dupont…), le aziende minerarie, le società automobilistiche, le imprese produttrici di energia elettrica da combustili fossili, quelle che controllano il mercato dell’acqua (Coca-Cola, Pepsi e Nestlè), il mercato alimentare. Nell’ultimo decennio si sono aggiunte anche le aziende tecnologiche transnazionali, che controllano l’ideologia e l’opinione pubblica, attraverso Amazon, Microsoft, Google, Facebook e Apple. Per salvare vite umane e il pianeta è essenziale che tutti i governi rinuncino alle guerre, alle basi militari straniere e alle aggressioni.
Ricostruire una fiducia spezzata
In un commento di Mauro Bossi (21/11/2022) apparso su “Aggiornamenti Sociali” - rivista dei Gesuiti, che fa parte della Federazione Jesuit Social Network - viene ricordata un’altra affermazione del segretario Onu António Guterres: l’istituzione di un fondo di risarcimento “è un segnale politico necessario per ricostruire la fiducia spezzata”. «In queste parole, al netto degli obiettivi parzialmente raggiunti, possiamo trovare una chiave di lettura di questa Conferenza e dei suoi esiti. Le COP sono un luogo di diplomazia, nel quale si riverberano i conflitti, gli interessi, le alleanze e le speranze di cambiamento del nostro mondo. Siamo in un pianeta ferito da rapporti economici e geopolitici violenti, dei quali la crisi climatica è un epifenomeno. Le COP fanno parte di un processo di riconciliazione globale: per questo sono importanti, perché sono uno strumento inclusivo, che ha dato voce ai piccoli Stati insulari e alle vittime delle alluvioni, ai climatologi preoccupati per lo scioglimento dei ghiacciai e alle organizzazioni della società civile che partecipano, monitorano i risultati, fanno da cassa di risonanza perché i cambiamenti climatici restino all’attenzione di tutti. Il Loss and damage, la cui attuazione resta ancora da verificare, è una pietra posta nella ricostruzione di un dialogo tra le nazioni. Pertanto ci riguarda tutti, indipendentemente dal paese in cui viviamo e da quanto i cambiamenti climatici impattano sulla nostra vita. Riguarda il tipo di mondo che vogliamo costruire e nel quale vivremo domani».
Credenti in ascolto della voce del creato
Peter Pavlovic, pastore della Conferenza delle Chiese europee e membro della Rete europea cristiana per l'ambiente, durante COP 27, ha ricordato il ruolo delle Chiese e delle religioni in quest’opera di riconciliazione e di dialogo. «Le Chiese e le religioni hanno un ruolo da svolgere. Per la maggior parte delle persone nel mondo, la religione è uno dei principali fattori che determinano i loro modelli di vita. Il ruolo delle Chiese nel sottolineare il concetto di mondo come creazione, che non è di nostra proprietà, è più importante che mai. Alla luce del cambiamento climatico, le parole del Salmo 24: “Al Signore appartiene la terra e tutto ciò che è in essa, il mondo e coloro che vivono in essa”, in connessione con la domanda esposta nel Salmo 116: “Che cosa ricambierò al Signore per tutta la sua generosità verso di me?” richiedono una nuova comprensione della giustizia e dell’equità. Le Chiese devono elaborare questa comprensione con nuovo vigore e determinazione».
Dal canto suo papa Francesco (Messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, 1/9/2022) ha esortato a porsi in ascolto della voce del creato: «Se impariamo ad ascoltarla, notiamo nella voce del creato una sorta di dissonanza. Da un lato, è un dolce canto che loda il nostro amato Creatore; dall’altro, è un grido amaro che si lamenta dei nostri maltrattamenti umani». «Ascoltando queste grida amare, dobbiamo pentirci e modificare gli stili di vita e i sistemi dannosi. Sin dall’inizio, l’appello evangelico “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino!» (Mt 3,2), invitando a un nuovo rapporto con Dio, implica anche un rapporto diverso con gli altri e con il creato. Lo stato di degrado della nostra casa comune merita la stessa attenzione di altre sfide globali quali le gravi crisi sanitarie e i conflitti bellici. “Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (Laudato si’ n. 217)».
MARIO CHIARO