Clericalismo tra potere e dipendenza
2023/2, p. 28
La lettera al popolo cileno di papa Francesco dell’agosto 2018 contiene un passaggio importante che forse deve dare ancora tutti i suoi frutti. Essa è stata scritta dopo la scoperta di una prassi diffusa di abusi e di copertura di questi da parte di molti vescovi.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
NECESSITÀ DI FORMAZIONE
Clericalismo tra potere e dipendenza
La lettera al popolo cileno di Papa Francesco dell’agosto 2018 contiene un passaggio importante che forse deve dare ancora tutti i suoi frutti. Essa è stata scritta dopo la scoperta di una prassi diffusa di abusi e di copertura di questi da parte di molti vescovi.
Durante il suo viaggio in Cile il Papa aveva fatto affermazioni molto garantiste, ma poi davanti alle prove ovviamente ha – come sempre – riconosciuto la verità e ha scritto al popolo cileno, anche perché il suo atteggiamento aveva suscitato non poche critiche.
In quell’occasione afferma a chiare lettere che la radice dell’abuso sta nell’esercizio del potere e più precisamente nel clericalismo.
Svariate volte poi nelle udienze, il Papa ha sottolineato come la malattia del clericalismo possa prendere anche i laici responsabili di qualche settore nelle parrocchie o nelle diocesi.
Sin qui dunque ci si è riferiti al clericalismo come malattia dell’animo, diciamo così che rende una realtà di potere quello che nasce come un servizio.
Sembra comunque opportuno anche un poco declinare quest’atteggiamento e vedere come si esplicita nelle suore che sono donne, e appunto religiose e per questo spesso non hanno responsabilità dirette, ma parallelamente – e con uno sguardo distopico, sono però preferite come ruoli secondi rispetto alle laiche. Insomma le suore sembrano essere un po’ più vicine alla gerarchia che non alle laiche o ai laici.
In questa situazione c’é sempre spazio per un esercizio clericale, ma si rischia invece di dare spazio a uno sguardo che rincentivi ( o incentivi ancora una volta) il clericalismo.
Qui c’è un corto circuito che oggi forse può diventare un circuito virtuoso.
Sino a poco tempo fa l’unicità del ruolo del sacerdote era nei fatti incontestata e per questo se si voleva stare in un consesso ecclesiale, se una qualsiasi realtà doveva procedere, la centralità del sacerdote responsabile era indiscussa.
E poi il ruolo di confessore apriva anche al ruolo di consigliere delle comunità e delle religiose, così che ancora una volta la parola del sacerdote era quella che rassicurava, per cui in quella via si era nel solco ecclesiale.
Del resto sino al Concilio Vaticano II era necessaria la figura di un sacerdote che garantisse per l’Istituto presso la Santa Sede.
Spesso erano i fondatori che forgiavano la comunità femminile, altre volte si dava invece il caso in cui di fatto erano figure che servivano solo per il ruolo giuridico. A dire, insomma, che a spulciare le carte si potrebbero trovare casi di libertà e indipendenza.
Eppure il clericalismo delle suore resta come una sorta di onda lunga. Forse c’è anche una piccola ragione psicologica: in comunità femminili è anche interessante confrontarsi con modi di pensare diversi, appunto maschili.
Ma poi abbiamo figure sacerdotali che entrano direttamente o attraverso l’accompagnamento spirituale e ancor peggio le confessioni all’interno delle comunità.
Solo la scarsezza di predicatori ha reso più difficile lo schema di predicatori costantemente convocati, in cui il misto di amicizia che poteva nascere, il maternage che caratterizza le suore che volentieri accudiscono, diventano la via per una centralità caratterizzata da clericalismo del sacerdote di turno, ma certo anche della/delle religiose che riconoscono alla figura sacerdotale tutti i carismi.
A questo bisogna poi purtroppo aggiungere che in un contesto diverso come è quello degli ultimi anni, in cui il tema della donna nella Chiesa è diventato molto più presente, spesso comunque una suora, una comunità per riuscire ad interagire con la struttura ecclesiale ha ancora bisogno di un “sacerdote amico” che introduca e via dicendo. Sin qui, normale amministrazione.
Purtroppo però non possiamo non ridire come in queste maglie di normale clericalismo si hanno anche esperienze di abusi.
Il sacerdote abusante ha tutte le responsabilità, anche nei confronti di donne adulte. Ma dobbiamo purtroppo dire che una mentalità clericale ha dato agio al sacerdote di turno di muovere la persona come un burattino.
Di fronte all’ultimo e clamoroso caso di accuse di abuso, psicologico e sessuale, nei confronti di padre Rupnik, un suo confratello ha scritto una lettera che è girata sui social. Il confratello invita padre Rupnik a dire qualcosa rispetto alle accuse, in certo senso distinguendo tra peccato e peccatore. In una sorta di captatio benevolentiae avvia il discorso ponendosi anche la domanda: che formazione hanno avuto quelle suore che, secondo le accuse, avrebbero subito gli abusi?
Posta in modo diretto la domanda è semplicemente inaccettabile, perché se c’è un soggetto abusante questi ha tutti gli strumenti per riconoscere i punti fragili della persona e non approfittarsene.
C’è però una triste verità: una Chiesa che continua a pensare che il sacerdote, in quanto tale, sia un po’ di più della religiosa, ma anche dei laici, sarà una Chiesa che non difende il popolo di Dio dall’obbedienza al clericalismo.
Ad oggi ci vogliono troppi studi per poter parlare sullo stesso piano con un sacerdote. Per quanto importante e prezioso un bacellierato, perché dovrebbe nullificare ogni altro sapere? E qui vediamo in filigrana un’altra e ben più ampia questione: il rapporto della teologa con i saperi, quanto è ancora torre chiusa.
D’altra parte la sapienza spirituale non conta, se poi non ha neppure una laurea, è finita. Io dico ma lei sa?
E qui il caso delle suore è emblematico: al di là dei casi particolari che ci sono sempre e ovunque, è davvero possibile che una vita dedicata , al di là di studi e mansioni, non abbia niente da dire?
Un Concilio ha riportato in primo piano l’unico valore fondante per tutti, quello del Battesimo.
Ma già Tommaso nella Questio 92 specifica che in caso di morte prossima, una persona poteva anche essere battezzata da una donna. Di essa Tommaso non parla in modo particolarmente paritario perché ripropone la fisica aristotelica, per cui se nasce una donna significa che il seme è debole. Però anche in questo quadro sconfortante la Summa Teologica indica la parità del valore del Battesimo.
Da qui allora il circolo potrebbe diventare virtuoso. Il Battesimo è capace di strutturare la vita delle religiose, e dei religiosi che non diventano sacerdoti, nonché di altre forme di vita consacrata.
Questi non vivono altri sacramenti e allora per non assecondare il clericalismo siamo chiamate/i a riprendere la forza sorgiva della consacrazione.
ELSA ANTONIAZZI