Martin Werlen
Ciò che non si dovrebbe(!) imparare dai monasteri
2023/2, p. 10
Il monaco benedettino Martin Werlen, ex abate di Einsiedeln, osserva il verificarsi di una nuova crescita di attenzione agli Ordini religiosi nella Chiesa cattolica. Ma sottolinea anche aspetti problematici del passato da evitare. Rivolge perciò un invito a una onesta auto-riflessione.

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RIFLESSIONE DELL’EX ABATE DI EINSIEDELN
Ciò che non si dovrebbe(!) imparare
dai monasteri
Il monaco benedettino Martin Werlen, ex abate di Einsiedeln, osserva il verificarsi di una nuova crescita di attenzione agli Ordini religiosi nella Chiesa cattolica. Ma sottolinea anche aspetti problematici del passato da evitare. Rivolge perciò un invito a una onesta auto-riflessione.
Nel processo sinodale avviato in tutto il mondo da papa Francesco e nel cammino sinodale in Germania, la comunità di fede in cui si trova di casa Martin Werlen scopre che c’è qualcosa di essenziale che in gran parte è andato perduto nel corso della storia.
Ciò che mi rallegra di più come cercatore di Dio è: indicare cantieri, proporre suggerimenti - persino su richiesta del Papa - anche se a volte è cosa piuttosto laboriosa. Oggi è possibile ciò che era inimmaginabile 10 anni fa. I professori allora avrebbero perso le cattedre; i vescovi sarebbero stati inviati nel deserto. L'attuale mercato del libro ci apre gli occhi su ciò che è stato in movimento da quando papa Francesco è in carica. Molti libri con impulsi stimolanti sono scritti da religiosi o sono ispirati da loro. Questo vale anche per le riviste. Non c'è quasi articolo in cui non compaiano dei religiosi, – non solo per il riferimento a papa Francesco, che è gesuita. Dove si promuovono iniziative per la riforma della Chiesa, sul podio ci sono solitamente anche i religiosi. La presenza dei religiosi è forte. È il momento degli Ordini! Ciò che il grande teologo Johann Baptist Metz scrisse con un punto interrogativo nel 1977 (“Il tempo degli Ordini?”) possiamo chiaramente dirlo oggi senza punto interrogativo.
Attenzione
Ma questo rende giustizia al fenomeno dei monasteri? L'euforia monastica si riflette nel processo sinodale? Naturalmente i religiosi possono offrire molti impulsi dal loro orizzonte di esperienza. Ma se diamo uno sguardo critico all'intero panorama degli Ordini, i monasteri non appaiono più solo come istituzioni esemplari. La mancanza di vocazioni o l'elevata età media li mettono ben presto in questione. Indubbiamente la vitalità di una comunità non dipende dal numero dei suoi membri, né dall'età media. La maggior parte dei monasteri difficilmente furono e sono percepiti come segni profetici. Ci sono molte cose del passato e anche di oggi che la Chiesa e i cristiani non dovrebbero imparare dai monasteri.
Rinnovamento e adattamento della vita religiosa
Anche il Concilio Vaticano II ha cercato di risvegliare i religiosi dalle loro amate abitudini. La consapevolezza del proprio carisma era andata in gran parte perduta in molte comunità. Ciò fa capire quanto dice il decreto sulla vita religiosa: «Il rinnovamento contemporaneo della vita religiosa significa: costante ritorno alle fonti di ogni vita cristiana e allo spirito delle origini dei singoli istituti, ma nello stesso tempo il loro adattamento alle mutate circostanze del tempo”. Vengono poi ricordati alcuni principi: “La norma ultima della vita religiosa è la sequela di Cristo, come è espressa nel Vangelo.
Il carisma della Comunità
I carismi e le intenzioni dei fondatori, come anche le sane tradizioni, sono da esplorare e conservare fedelmente. Gli sforzi di rinnovamento della Chiesa - in campo biblico, liturgico, dogmatico, pastorale, ecumenico, missionario e sociale – dobbiamo farli nostri e promuoverli al meglio delle nostre possibilità». I religiosi devono “conoscere realmente le condizioni di vita della gente, la situazione del tempo e le necessità della Chiesa”. Per dirla in breve, si potrebbe affermare: vivere il carisma della comunità, profondamente radicati in Dio, essere vicini alla gente, sostenere e promuovere gli sforzi di rinnovamento della Chiesa in tutti i campi. Sullo sfondo di questa verifica si riconoscono atteggiamenti monastici non esemplari per la Chiesa.
Sostenere il carisma esteriormente
ma non viverlo
Esistono modelli straordinari e collaudati per le comunità, come la regola monastica di San Benedetto. Ma avere un grande modello e conformarvi effettivamente la vita sono due cose diverse. Non si tratta evidentemente di conformità letterale.
Sarebbe un non prendere sul serio la forma di vita. Spesso si dimentica che la coscienza del proprio carisma era molto debole fino al Concilio Vaticano II. Ciò era evidente, ad esempio, nella biblioteca dei noviziati. Gli stessi libri si potevano trovare in diversi Ordini religiosi, ma anche nei seminari sacerdotali. La riforma voluta dal Concilio è stata successivamente attuata in modi molto diversi. Spesso lo stile concreto di vita era o non è compatibile con la professione dei voti pubblici. Più importante del sostenere le direttive di una forma di vita è testimoniarle con la propria vita. Così scrive anche san Benedetto nella sua Regola: «È importante che diate il buon esempio. Vale molto meglio delle parole. Quindi quello che insegni agli altri, dovresti prima praticarlo tu stesso”. Ciò si applica anche per il contributo degli Ordini religiosi al processo sinodale della Chiesa.
Si conservano le tradizioni
anziché palpitare profeticamente
È vocazione dei religiosi palpitare profeticamente. Questa dimensione essenziale della vita religiosa è stata in gran parte abbandonata. Invece, molte comunità sono conosciute e apprezzate dalla gente fino ad oggi principalmente perché custodiscono le tradizioni. Non si tratta tanto di Tradizione (rimanere fedeli a Gesù Cristo attraverso i tempi che cambiano), ma di custodire lo spirito del tempo dei secoli precedenti.
In certi ambienti è un complimento dire: stiamo assistendo a grandi cambiamenti ovunque, ma nei monasteri tutto rimane com’era. Non poche comunità si lasciano facilmente ancora oggi irretire da gruppi ideologici. Ci sono anche oggi dei monasteri che si vantano di essere custodi delle tradizioni ma non promotori di rinnovamento. Uno sguardo agli edifici mostra l'evidente immobilità. Al loro interno ci sono opere d'arte dei secoli passati, ma spesso nemmeno una contemporanea. Non sorprende quindi che gli ordini religiosi abbiano appena avvertito l'importanza dei processi sinodali che sono stati introdotti nella Chiesa, durante il mandato di papa Francesco. Anche oggi i religiosi devono fare particolare attenzione a non soccombere alla tentazione di guardare indietro dopo aver messo mano all’aratro, anziché andare avanti con coraggio.
Lo sfarzo principesco
invece della testimonianza evangelica
Mentre ci disturba giustamente l'atteggiamento cortigiano a Roma, lo troviamo invece naturale e bello nei monasteri. Molti religiosi vivono in palazzi principeschi. La vita in un palazzo raramente corrisponde al messaggio del Nazareno. Il trasferimento di papa Francesco dal Palazzo Apostolico alla foresteria di Santa Marta è stato ed è un segnale forte che è stato percepito in tutto il mondo al di là di ogni confine religioso e confessionale. Non potrebbe essere un modello anche per noi religiosi?
L'addio al principesco vale anche per gli ambienti liturgici e le vesti liturgiche. Con preziosi abiti d'altri tempi, molti ecclesiastici negli Ordini proclamano ciò che tanto li addolora: ci siamo fermati al passato e ne siamo orgogliosi; eravamo principi e ora continuiamo a indossare questi vestiti - e questo ci piace. Devo ammetterlo: durante il mio mandato come abate di Einsiedeln, indossavo anch'io vesti principesche. Ora non lo farei più. Proviamo solo a immaginare se il presidente francese si presentasse con un'uniforme di Napoleone. Nella liturgia questo avviene in molti monasteri. È così che ci innalziamo sopra la gente, invece di essere in cammino con loro. Il nostro tempo principesco è testimoniato anche da molti nostri spazi nella chiesa. Sono palazzi imponenti, ma difficilmente ci ricordano che dobbiamo trovare Cristo nella nostra penosa vita quotidiana. Investiamo molto tempo e denaro nella manutenzione. Non dovremmo fare tutto il possibile per far sì che la priorità sia l’annuncio del vangelo, non la manutenzione dei monumenti? Pensate un po’… – Mi piace questo interrogativo. La maggior parte degli addetti ai lavori della chiesa non ci ha mai pensato. Ma ce ne sono molti di quelli che hanno lasciato la chiesa. Questo sfarzo cortigiano non è certamente una sana tradizione.
Centri di potere
anziché luoghi di mutuo servizio
Molti monasteri si presentano al mondo esterno come centri secolari di potere. Lo erano anch’essi in passato. Ma il potere di una comunità cristiana deve essere dimostrato nel servizio disinteressato. Il potere nelle case religiose è ancora in gran parte nelle mani degli uomini, un tempo esclusivamente del clero. Dopo tutto, l'ordinazione sacerdotale è considerata ancora oggi più importante della professione in molte comunità. Gli uomini governano sulle donne nelle comunità religiose. Perché da tempo gli uomini religiosi non si sono resi conto di quanto sia sbagliato? Non è sufficiente addurre argomenti con il diritto canonico. Come persone con una vocazione profetica, avremmo dovuto opporvisi già da molto tempo. E cosa abbiamo fatto nelle comunità femminili senza poter appellarci al diritto canonico! Conosco molte comunità femminili in cui uomini "pii" hanno impedito di promuovere l'istruzione. Questo è abuso di potere. Ciò era evidente anche nelle aggressioni spirituali e sessuali da parte di membri religiosi (uomini e donne) – non meno che tra il clero "secolare". Tutto questo è l'opposto di ciò di cui parla san Benedetto: «Dovete essere gli uni per gli altri disinteressati e con spirito di fratellanza. Non dovete preoccuparvi del proprio vantaggio, ma di quello degli altri”.
Preoccupazione per le vocazioni
anziché aver cura di esse
San Benedetto non è preoccupato della crescita delle vocazioni ma della loro cura. «Una sana prudenza è necessaria nei confronti di coloro che vogliono entrare per la prima volta in monastero. L'ammissione non deve essere frettolosa.
In effetti, in molti monasteri c'è una grande preoccupazione per la crescita delle vocazioni, che può facilmente portare a comportamenti manipolatori nei confronti dei giovani. Ma una volta entrati in comunità, questi mancano di quella verifica e cura che potrebbero contribuire a una sana maturazione della vocazione. Ciò implica anche un'adeguata formazione accademica in modo che i monasteri possano vivere la loro vocazione profetica nella Chiesa in futuro e promuovere e sostenere i suoi sforzi per il rinnovamento in tutti i campi.
Il tempo degli Ordini:
quello che manca e che va riscoperto
In tutte le grandi regole dell'Ordine, l'umiltà deve essere posta al cuore come atteggiamento centrale dei religiosi. Spesso manca e deve essere riscoperta. L'abuso commesso attraverso l’umiltà si vede ancor oggi quando si vorrebbe parlare di umiltà. Molti sono stati umiliati – in nome di Dio. Chi agisce in questo modo manca di umiltà. Piuttosto, vive la sua superiorità e il suo disprezzo. La parola latina per umiltà può insegnarci quanto sia attuale e moderno questo atteggiamento centrale: humilitas. Nella nostra lingua, questo significa qualcosa come: non innalzarti e non sentirti migliore degli altri, ma resta con i piedi per terra. Di ciò fa parte anche la nostra coscienza come religiosi che non tutto ciò che viviamo può essere un modello per la Chiesa. Non siamo i migliori a cui è permesso di guardare gli altri dall’alto in basso. Anche se abbiamo grandi tesori nella nostra spiritualità che sono importanti per la Chiesa oggi, non dobbiamo dimenticare che "questi principi sono sempre più impalliditi nel corso della storia dell'Ordine o sono andati completamente perduti" (Franz Meures sj). La Chiesa può imparare dalle esperienze dei religiosi in varie aree e sfide e ricevere da essi degli impulsi. Ma ciò deve includere anche un'onesta auto-riflessione e un'elaborazione continua dei propri cantieri e delle aree problematiche negli Ordini. Solo allora essi potranno credibilmente palpitare.
MARTIN WERLEN
ex Abate di Einsideln