Messa Pietro
Benedetto XVI, grande anche nella rinuncia
2023/2, p. 6
Ratzinger ha approfondito la teologia del papato, soprattutto nella tesi di abilitazione per l’insegnamento inerente il pensiero di san Bonaventura discussa nel 1957 e parzialmente pubblicata in tedesco nel 1959. Considerando tutto ciò più che legittimo, sorge la domanda se e come tale aspetto francescano abbia influito non solo nella sua concezione ed esercizio del papato, ma anche nella rinuncia al ministero petrino.

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Benedetto XVI, grande anche nella rinuncia
L’anno precedente l’apertura del concilio Vaticano II, ossia nel 1961, Yves Congar pubblicò un corposo articolo inerente all’aspetto ecclesiologico della disputa tra ordini mendicanti e maestri secolari nella seconda metà del Duecento e l’inizio del Trecento. In tale studio, da cui emerge il conflitto tra episcopato e papato e quindi lo statuto ecclesiologico del vescovo di Roma quale detentore del primato petrino, uno degli studiosi più citati dal teologo domenicano è il futuro Benedetto XVI di cui scrive: «Joseph Ratzinger, che ha fatto notare, giustamente crediamo, alcune differenze tra Bonaventura e Tommaso, dà molta importanza al ruolo che il papa occupa nella mistica bonaventuriana in ragione del fatto francescano, e ciò riguardo a due punti in particolare. In primo luogo, la santità di Francesco, e dunque, l'autenticità cattolica della vita francescana, soprattutto sotto l'aspetto della povertà assoluta».
Ora Ratzinger ha approfondito la teologia del papato, soprattutto nella tesi di abilitazione per l'insegnamento inerente il pensiero di san Bonaventura discussa nel 1957 e parzialmente pubblicata in tedesco nel 1959. Considerando tutto ciò più che legittimo, sorge la domanda se e come tale aspetto francescano abbia influito non solo nella sua concezione ed esercizio del papato, ma anche nella rinuncia al ministero petrino. Considerando vari suoi scritti e discorsi, l’ipotesi di una risposta affermativa si rafforza. Così per approfondire il gesto di rinuncia non solo è importante conoscere la teologia del primato petrino, ma anche il pensiero di Benedetto XVI nel suo formarsi mediante un prolungato lavoro di studio e in ciò un ruolo non marginale ha la teologia di san Bonaventura. Quindi si può affermare che Benedetto XVI aveva teologicamente tutte le carte in regola per dimettersi nel 2013.
Quando a pochi giorni dall’elezione fu reso noto lo stemma di Benedetto XVI, disegnato dall’allora monsignor Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, costui lo illustrò mediante un ampio articolo apparso su L’Osservatore Romano di giovedì 28 aprile 2005 definendolo “uno stemma ricco di simbolismi e di significati, per affidare alla storia la sua personalità e il suo pontificato”. Più di uno fece notare che esso è una svolta epocale nell’araldica ecclesiastica: infatti pur rimanendo le chiavi pontificie legate da un cordone rosso – segno secondo Mt 16,19 delle chiavi del regno dei cieli consegnate a Pietro assieme alla facoltà di legare e sciogliere – è sostituita con una semplice mitria episcopale la tiara, simbolo sempre presente negli stemmi pontifici anche dopo che dal pontificato di Paolo VI essa non è stata più usata come copricapo. Sapendo che in alcuni casi la forma è sostanza, in tale cambiamento qualcuno già nel 2005 intuì un segno della concezione del papato da parte di Benedetto XVI, coerente con la sua teologia e quindi passibile anche di dimissioni segnando veramente una svolta epocale per la storia ecclesiastica.
Il segretario personale monsignor Gerog Gänswein ha testimoniato al momento della comunicazione e davanti alla sua contrarietà il Papa disse che era una decisione presa e non una possibilità da discutere; d’altra parte lo stesso Benedetto XVI ha testimoniato che alcuni suoi amici si sono arrabbiati con lui per tale gesto. Ad esempio sembra quasi un rimprovero a Benedetto XVI quanto espresso dal novantenne cardinal Walter Brandmüller il 31 agosto 2022: «Quando Celestino V, nel 1294, rendendosi conto delle circostanze particolari della sua elezione volle rinunciare al papato, lo fece dopo intensi colloqui e col consenso dei suoi elettori. Una concezione dei rapporti tra papa e cardinali del tutto diversa fu quella di Benedetto XVI, che – caso unico nella storia – la sua rinuncia al papato, per motivi personali, la fece all’insaputa di quel collegio cardinalizio che lo aveva eletto».
Don Giovanni Antonazzi, amico di don Giuseppe De Luca e ben addentro alla curia romana, afferma che quando uno pensa a dimettersi ha ancora le forze per continuare, mentre quando ha finito le forze non le ha neppure per pensare a dare le dimissioni. Considerando ciò, si può dire che Benedetto XVI ebbe la sapienza di cogliere il momento giusto per dare le dimissioni, ossia attendere fino a quando erano ancora sufficienti per esercitare il ministero petrino le forze, ma farlo prima che non bastassero a compiere tale atto e che quindi subentrassero altri a prendere le decisioni, come avvenuto alcune volte lungo la storia del papato.
PIETRO MESSA
Pontificia Università Antonianum