LXIII Assemblea generale della Conferenza italiana superiori maggiori (Cism)
2023/11, p. 1
Assisi, 6-10 Novembre 2023
Sintesi della Relatio, p. Luigi Gaetani, OCD – Presidente CISM
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LXIII Assemblea generale
della Conferenza italiana superiori maggiori (Cism)
Assisi, 6-10 Novembre 2023
Sintesi della Relatio, p. Luigi Gaetani, OCD – Presidente CISM
La celebrazione della LXIII Assemblea Generale della Conferenza italiana superiori maggiori (Cism) è un evento di comunione e condivisione, ha rilevanza educativa e partecipativa rispetto alla Chiesa italiana. Quest’anno l’Assemblea avvia un percorso triennale di animazione che ha l’intento di promuovere maggiormente il rapporto di interazione e sussidiarietà tra superiori maggiori, istituti di vita consacrata e società di vita apostolica. Il percorso tracciato prevede tre fasi: riconoscere-interpretare-scegliere. Tre verbi funzionali per operare ciò che è più bello e gradito a Dio (Rm 12, 2), ciò che è più necessario, bello, attraente, utile (EG, 35), per accompagnare processi di discernimento a partire dalla realtà, tra identità carismatica e impegno di evangelizzazione. Questa opzione dà forma sinodale al convenire dei superiori maggiori, ricorda che quanto sta accadendo nella Chiesa interessa loro e che il contributo specifico sarà quello di riscrivere la grammatica delle presenze nei territori, la comunione in mezzo a una cultura di contrapposizioni, la corresponsabilità in un contesto di individualismi esasperati, l’accoglienza e la fraternità in un mondo di esclusi.
1.Ruolo della Cism e prassi missionaria della vita degli Istituti
La forma sinodale della vita religiosa (da ora in poi: Vr) non è disgiunta dalla natura comunionale e partecipativa alla Cism attraverso il vissuto di ogni Istituto, ma ne rappresenta la natura e la prassi, dove la dimensione istituzionale si incontra con la volontà di porre in essere atti concreti di vita ecclesiale e di responsabilità civile, attraverso la diversità dei carismi dei religiosi che abitano il territorio. I Consigli di presidenza e nazionale, la segreteria, le Aree di animazione, la rappresentanza regionale e diocesana, l’impegno pastorale nelle parrocchie, nei santuari, nelle rettorie, negli ospedali e case di cura, nei centri di spiritualità, nelle strutture di accoglienza, nell’impegno missionario e contemplativo, la stessa collaborazione con le religiose (Usmi) narrano l’impegno di oltre 15.500 religiosi, 200 Circoscrizioni con relativi superiori maggiori che qualificano e quantificano il senso stesso della Conferenza.
Nel 2023 delle 25.522 parrocchie presenti in Italia, 1.807 sono affidate agli istituti religiosi, caratterizzandone il rapporto con la Chiesa locale. Infatti, se le comunità religiose presenti sul territorio sono 2.500, risulta evidente che più della metà sono coinvolte in attività parrocchiali. In queste operano 11.687 sacerdoti regolari, 4.000 tra religiosi fratelli, diaconi di voti perpetui, studenti e/o professi temporanei, senza dimenticare i 2.000 religiosi che operano in territori missionari. Alle attività parrocchiali, si aggiungono i 665 santuari o chiese non parrocchiali che danno, specie in ambito locale, una peculiare fisionomia all’azione pastorale di una comunità religiosa. Altrettanto qualificati, sono i quasi 400 oratori o centri di pastorale giovanile, le strutture pastorali, i centri di missioni al popolo e le 200 strutture che svolgono il servizio di casa di spiritualità e casa per ferie.
In questa enumerazione sommaria non trascuriamo la qualificata presenza dei religiosi nell’ambito culturale: scuola, case editrici e librerie, emittenti radio televisive. Su questo fronte i religiosi sono una presenza storica viva ed efficace, che necessita di fare rete, nonostante le difficoltà.
Un’altra area d’impegno è quello della carità. Da sempre gli istituti garantiscono assistenza ed offrono al povero una casa, un pasto, una diversa qualità di vita. Tante sono le strutture socio-educative e sanitarie, i centri di assistenza riservati ai poveri, ai diversamente abili, agli immigrati.
Sono dati che oggettivamente delineano una Vr attenta e solidale, spazio senza frontiere che non si piega su se stessa, perché «Le varie difficoltà, derivanti dalla contrazione del personale e delle iniziative, non devono in alcun modo far perdere la fiducia nella forza evangelica della vita consacrata, che sarà sempre attuale e operante nella Chiesa. Ciò che si deve assolutamente evitare è la vera sconfitta della vita consacrata, che non sta nel declino numerico, ma nel venir meno all'adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione». (VC 63).
L’impegno della Cism ha riguardato, in particolare, l’attenzione alla riforma del terzo settore, il sostegno alla scuola pubblica paritaria, i rapporti con il Dicastero IVCSVA e la collaborazione con la Cei. In particolare, con la Cei si è realizzata una effettiva carta di comunione e di buone prassi ecclesiali, producendo 7 modelli tipo di convenzioni, per meglio regolamentare i rapporti tra vescovi e superiori maggiori. Questo lavoro di tessitura ecclesiologica e giuridica sarà presentato, nel corso dell’Assemblea straordinaria della Cei, il prossimo 16 novembre 2023, ad Assisi. Sono state realizzate, inoltre, forme di collaborazione, riflessione e accompagnamento delle persone vulnerabili (4 percorsi promossi da Cism ed Usmi).
2.Dare spazio al sogno di Dio e smettere di fingere
Quali sogni e quali prospettive ha la Vr? Chiederselo oggi è abbastanza problematico, soprattutto se prevalgono i numeri e le opere, se eccede la storia passata dove il rapporto religiosi ed opere era bilanciato da un eccesso numerico, da una sufficiente vitalità e da una gestione meno esigente. È abbastanza problematico chiederselo, perché sembra che l’idea stia prevalendo sulla realtà, il pensiero negativo sulla speranza, la sociologia sulla vita teologale, autoconvincendosi di andare verso la fine, non solo verso la minorità sociale ed ecclesiale, ma verso la dissoluzione, almeno parziale. E se i religiosi decidessero, invece, di interpretare e vivere la loro Vr dentro una visione d’insieme - partendo da una grande passione per Cristo e da una grande passione per l’umanità, - dove le priorità principali fossero spiritualità, comunità e missione? Una Vr che torna al suo fondamento: Gesù Cristo. Infatti, mai come oggi la vera sfida è quella di restituire Cristo alla Vr e la Vr a Cristo, divenendo memoria viva di Gesù, appropriandosi del suo stile di vita obbediente, povero e casto, dove l’originalità non è di natura quantitativa (di più), ma qualitativa (distinta); dove non bisogna confondere il rapporto della missione con le opere; dove la luce non proviene dalle strutture e istituzioni, ma dalla vita delle persone consacrate e dalle comunità religiose, grazie a una identità accogliente, una visibilità evangelica e una credibilità feriale. Questo diviene possibile a condizione che Dio resti la prima occupazione della Vr, che maturi una vita mistica, frutto dell’esperienza di Dio:«Il fondamento evangelico della vita consacrata va cercato nel rapporto speciale che Gesù, nella sua esistenza terrena, stabilì con alcuni dei suoi discepoli, invitandoli non solo ad accogliere il Regno di Dio nella propria vita, ma a porre la propria esistenza a servizio di questa causa, lasciando tutto e imitando da vicino la sua forma di vita» (Giovanni Paolo II, VC, 14). Occorre che la Vr diventi segno della presenza tenera di Dio attraverso una evangelizzazione più esplicita, comunità di intensa fraternità, non necessariamente numerose, con uno stile di vita austero e semplice. Occorre il coraggio di chi smette di fingere per stare nel sogno di Dio sul mondo. Infatti, se fossimo solo materia, non saremmo quello che siamo e saremo impossibilitati a sognare; certo, molte cose sarebbero semplificate, ma senza autocoscienza saremmo solo destinati a ripetere all’infinito un meccanismo simile alle meccaniche celesti. Niente angosce, niente sensi di colpa, niente programmi per il futuro, tutti e tutto maledettamente schiacciato sul presente, su un fatto senza tempo, come un giardino coperto di foglie secche nel tempo dell’autunno, accartocciati e nauseati, come annotava Sartre. La Genesi trasgredisce rispetto alla sola materia e pur presentando un universo buio e caotico, lo concepisce attraversato dal vento caldo dello Spirito che rende incandescente, liquida, flessibile ogni materia. A questa materia duttile il Logos rivolge la Parola, la chiama dal buio alla luce, tessendo il progetto del Padre secondo il Verbo; la libera dal caos, conducendola progressivamente alla bellezza, facendola ad immagine e somiglianza del Figlio, trasfigurando la materia fangosa e inerte, attraverso il bacio di Dio, in un essere vivente, chiamato all’intima unione col suo Creatore.
Lo Spirito di Dio non si è mai ritirato dal mondo, continua ad insufflare vita sulla materia informe e fangosa, su ogni sfregio alla bellezza del mondo. Lo Spirito permane come la domanda più inquietante e come la nostra salvezza, la nostra inquietudine e il nostro gaudio. Ci fa uscire da noi stessi, dal narcisismo che ci abita, e trasfigura ogni pensiero, ogni sentimento. Fa vedere il fratello nel nemico, la luminosità del cuore in mezzo alla notte più fitta, il profumo di Dio in un puzzolente brandello di umanità emarginata. Ci spinge a una santa follia, perché «fuori di sé» fu giudicato Gesù (Mc 3), l’uomo più aperto allo Spirito che la storia abbia mai conosciuto (Lc 4). Possiamo decidere di stare al di qua della vita secondo lo Spirito, preoccupati di puntellare quel che resta di una vita consacrata schiacciata sul presente, preoccupata dei numeri e della amministrazione, ridotta a controllare riti e sacralità dentro le mura, a fare i calcoli del presente senza futuro, sempre sotto costa, oppure accogliere lo Spirito che ha dilagato nel cuore di Gesù e che lui vedeva all’opera in ogni uomo, godendo l’ebbrezza del mare aperto e i sogni del futuro, perché lo Spirito Santo ha gli occhi fissi sul futuro e non cessa di operare se nel Suo nome diamo la vista a chi vive nella notte, facciamo saltellare chi ha smesso di camminare, consoliamo chi non riesce più a donare un sorriso, liberiamo chi porta pesi troppo pesanti e catene che non si spezzano, annunziamo che gli scarti del mondo sono parte dell’umanità. Lo Spirito Santo rivela il sogno di Dio: credere che Dio è dentro e oltre le forme attraverso le quali si è rivelato, che c’è un sapere di non sapere di Lui. Non basta aver studiato teologia per portare Dio all’uomo e l’uomo a Dio, ascoltando i gemiti, i problemi, le urla delle persone. Dio studiato una volta per sempre non salva nessuno, non sarà in grado di riscaldare un cuore.
3.La sfida della sinodalità missionaria
Viviamo un processo di riforma ecclesiale a partire dalla sollecitudine pastorale di papa Francesco (EG, 26; Vaticano II, Decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, 6). Il termine riforma assume significati e accenti differenti anche nell’ambito strettamente ecclesiale. La riforma ha molto a che vedere con la ricreazione, la rigenerazione, la novità dello Spirito. La riforma della Chiesa deve avere come obiettivo rendere migliore, più credibile e reale l’annuncio di Gesù, promuovere cammini perché la comunità ecclesiale si converta sempre di più in Chiesa di Gesù Cristo. P. Ives Congar, nel 1950, parlò di vera e falsa riforma della Chiesa, affermando non la necessità di fare un’altra Chiesa, ma che la Chiesa sia distinta, aperta alla novità dello Spirito attraverso percorsi che rivelino: il primato della carità e del senso pastorale, rimanendo nella comunione con il tutto, operando con pazienza e rispetto dinanzi ai ritardi, rivalutando la tradizione. Senza un cambio progressivo di mentalità, non c’è riforma. La riforma di papa Francesco è scritta nella sua vita, nei suoi sogni e visione teologica, nella sua sensibilità pastorale e l’opzione a favore dei poveri e del popolo di Dio. Il papa non cela la sua appartenenza carismatica e il suo amore al Signore e alla Chiesa, fedele popolo di Dio; sottolinea la centralità della missione e il discernimento come modo di procedere. Si ispira al Vaticano II e predilige l’insegnamento della Evangelii Nuntiandi. È dialettico e mistico nel modo di vedere e di operare, tra capacità intuitiva e creatività, tra accoglienza dinamica e poliedrica della realtà. Egli mostra una capacità relazionale rispetto agli altri e all’Altro, al rapporto tra immanenza e trascendenza, tra locale e globale. Educa a comprendere i paradossi e i contrasti nel mistero della Chiesa, a integrare le differenze senza annullarle, ad abitare sul confine delle periferie cercando di capire che cosa accade, quale risposte abbozzare, come incontrare e manifestare amore per i poveri, come far dialogare teologia e religiosità popolare, come promuovere dialogo interreligioso e spiritualità evangelica, come lottare nei confronti della mondanità spirituale.
Da tutto questo impasto esistenziale nasce la proposta di riforma di papa Francesco:
puntare sui processi che rivelano una impronta cumulativa, una forza di proiezione e diffusiva che conduce verso la pienezza (EG, 45);
mettere al centro, Gesù, Verbo incarnato e rivoluzione della tenerezza;
rendere operativi i quattro principi: il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte (EG 217-237);
testimoniare spoliazione, distacco, libertà interiore e disponibilità;
scegliere il discernimento come modo di procedere (Gaudete et exsultate, 167).
Si tratta di cinque attitudini fondamentali che devono animare e conformare coloro che intraprendono la riforma (Fil 2,6-8);
Nella EG 27, papa Francesco rivela il suo sogno: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia».
4.Interculturalità della vita consacrata
La interculturalità è un fatto globale: rimanda al bisogno di riflettere sulla scelta del decentramento della Chiesa e della Vr verso la periferia, ma anche del convergere delle periferie verso il centro. C’è, infatti, un doppio senso di marcia della storia dei popoli, una circolarità del loro divenire che fa emergere la complessità di quello che viviamo, dove la soluzione non sta nel contenere la carovana umana o nel costruire ponti che non abbattono nessuna frontiera, ma nel trasformare questo flusso di vita in una opportunità di incontro, consapevoli di ciò che comporta il vivere senza frontiere, senza che quello spazio culturale, non solo geografico, si trasformi amaramente in spazio incolto, in terra senza leggi, senza integrazione delle differenze, senza appartenenze, cioè in premessa storica di un conflitto annunciato e non in una fratellanza sostanziata dalla comunione.
Per quanto riguarda la Vr si costata che non sempre gli istituti sono consapevoli dei cambiamenti in atto. Ci sono mutamenti demografici nei continenti che hanno delle conseguenze sulla crescita vocazionale; c’è poi la realtà dell’invecchiamento, cui si aggiunge lo scarso flusso vocazionale nei paesi tradizionalmente ricchi di vocazioni. Non è facile individuare le sfide. Un esempio chiaro è rappresentato dal numero crescente di vocazioni ‘tribali’ che arrivano alla vita religiosa. I candidati hanno un debole retroterra familiare e culturale e possono talvolta trovarsi a dover lavorare in opere di istituti fuori dal loro contesto, senza la dovuta preparazione o inculturazione. Del resto è ormai fuori dubbio che la comunità ha necessità di trovare nuovi modelli d’incarnazione. La vita religiosa presenta più situazioni multiculturali al suo interno che reclamano forme di interculturalità. Tutto quello che già sta accadendo nelle comunità religiose, nei mille e mille campanili del paese Italia, rappresenta sicuramente un segno della vittoria del vangelo sull’umanità divisa. Centrare l’attenzione su due realtà con le quali si misura oggi la Vr - spostamento dal centro alla periferia e dalla periferia al centro; processo di interculturalità delle comunità religiose - consente di dire che solo la fede nel Signore Gesù permette a persone così diverse nei carismi, caratteri, formazione, età, aspettative di formare una vera comunità di fratelli e sorelle uniti dall’Amore. La «verità del vangelo» (Gal 2,5.14) è chiave interpretativa della Vr nella diversità dei contesti e nella interculturalità delle comunità, criterio di discernimento e autentica regola di vita. Infatti, l’amore fraterno in comunità non è il risultato della simpatia reciproca, ma è frutto di un cammino di conversione attraverso il quale i religiosi apprendono ad amare il Signore sopra ogni cosa utilizzando i segni visibili della comunione fraterna. Per questo essi si impegnano a riconoscere il valore delle diversità che emergono nelle relazioni, coltivando insieme le qualità che aiutano a realizzare «una sintesi concreta di che cosa sia non solo una evangelizzazione della cultura ma anche un’inculturazione evangelizzatrice e una evangelizzazione inculturata» (VFC 53).
P. LUIGI GAETANI, OCD