Il lebbroso samaritano preghiera di ringraziamento
2023/11, p. 36
Veniamo alla preghiera di ringraziamento che dovrebbe scaturire sempre dal nostro cuore e che matura comunque anche in relazione alla nostra crescita nella fede e dal fare l’esperienza, cosciente e commossa, che tutto è dono di Dio. Gesù stesso pregava spesso il Padre ringraziandolo.
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FEDE E GRATITUDINE
Il lebbroso samaritano
preghiera di ringraziamento
Veniamo alla preghiera di ringraziamento che dovrebbe scaturire sempre dal nostro cuore e che matura comunque anche in relazione alla nostra crescita nella fede e dal fare l’esperienza, cosciente e commossa, che tutto è dono di Dio. Gesù stesso pregava spesso il Padre ringraziandolo.
Siamo ben consapevoli che le parole non potranno mai esprimere abbastanza la gratitudine per tanti, tantissimi doni che riempiono la nostra quotidiana, faticosa e insieme affascinante, avventura umana. E se il nostro limitato linguaggio non sempre è all’altezza, si può senz’altro esprimere riconoscenza con la nostra stessa esistenza trasformata in liturgia vivente: allora è un continuo celebrare il Signore, il suo amore e la sua infinita misericordia. Tutto è dono, nulla è scontato, neanche il sorgere del sole contemplato all'orizzonte, là dove ci è capitato di poter parlare come la creatura al Creatore nel meraviglioso santuario della natura.
Si comincia ad entrare nel cuore dell'amore quando si capisce che nulla ci è dovuto, tutto ci è dato. Tutto ci parla di amore. Quando si capisce che tutto è dono, e si tratta di un dono d'amore, allora è più facile affrontare e superare quegli ostacoli che impediscono al cuore di sentirsi veramente libero e appagato. Dio è colui che dà, è soprattutto Lui stesso questo dono, perché «Dio è amore» (1Gv 4,16). Come preghiamo con l'orazione dell’ora terza del giovedì, o Signore, «concedi anche a noi di partecipare al dono della tua grazia». Sì, perché il dono richiede l’accoglienza, ci impegna nel consenso, nell’accettazione che non è un atteggiamento passivo di recezione bensì chiede di fare spazio in noi a quanto ci viene donato. Ed è così, allora, che sperimentiamo la bellezza della gratuità dalla quale, come acqua sorgiva, scaturisce la gratitudine.
Dieci lebbrosi
Il Vangelo è costellato più da richieste e domande da parte degli uomini e non in modo proporzionale dal ringraziamento scaturente dalla grazia ricevuta. Particolarmente esemplare è il brano che vogliamo adesso meditare: «Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà di noi!" Appena li vide, Gesù disse: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse: "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!"» (Lc 17,11-19).
Alcuni raggi di luce vogliamo particolarmente si posino su alcune espressioni. Intanto la annotazione di tempo e di luogo: Gesù sta andando a Gerusalemme, è in cammino, ha una meta, sale verso la città santa. Di passaggio entra in un villaggio, probabilmente per sostare, ed è lì che avviene l’incontro. Il verbo al gerundio ci fa capire che Gesù si trova all’ingresso del villaggio quando viene raggiunto dai lebbrosi. Certo! I lebbrosi erano relegati ai margini della società con tanto di prescrizione sociale e religiosa: erano contagiosi, ma soprattutto impuri, colpiti dal terribile morbo come punizione per i loro peccati. Quando si avvicinano a Gesù sono dei trasgressori, eppure la sofferenza li rende audaci. Tutti insieme fanno a voce alta, accoratamente, la loro richiesta. E Gesù accoglie la richiesta di tutti e dieci intimando loro di tornare nella “legalità” rituale. E così vanno dai sacerdoti per ricevere l’attestazione dell’avvenuta guarigione ed essere reintegrati nella comunità. E mentre vanno, dunque mentre rientrano nei parametri legali, solo allora sono guariti. Gesù, come ha detto altrove, non è venuto ad abolire la legge (cfr Mt 5,17), ma a portarla a compimento con la sua opera salvifica che risana e rinnova.
Solo uno di loro riesce ad andare oltre la prescrizione giuridica strettamente compiuta e fa un passo avanti, ritorna lodando Dio e gettandosi ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Luca non ci tramanda le parole del lebbroso, ma il suo gesto, i suoi atteggiamenti lasciando intuire quale sarebbe stato poi il suo futuro senz’altro illuminato da quell’incontro, più che dalla guarigione in sé. Gli altri nove avevano ottenuto quello che volevano, lui in più aveva veramente incontrato il Messia. Ed ecco che dal gruppo indistinto dei dieci, il guarito riconoscente esce dall’ombra dell’anonimato ed assume la sua identità: è un samaritano. Dal punto di vista dei giudei è un eretico, uno scismatico, ma è un figlio, un fratello, un individuo unico e irripetibile per il cuore amoroso di Dio nel quale c’è spazio per tutti, senza preferenze e pregiudizi. Il lebbroso è uno straniero, eppure ha trovato subito diritto di cittadinanza e questo perché, a differenza degli altri nove, ha avuto fede in Gesù.
C’è tutto un movimento che vivacizza questa pericope: Gesù è in viaggio verso Gerusalemme e nel villaggio in cui entra gli vanno incontro i lebbrosi. Questi poi si dirigono dai sacerdoti. Infine il samaritano torna indietro da Gesù. La via che dall’atto di fede porta alla gratitudine è un cammino crescente, una progressiva maturazione; così ci esorta san Giovanni Crisostomo: «Dobbiamo anche imparare a ringraziare con un fervore più grande. Infatti quelli che esprimono la loro gratitudine a Dio per i favori che ricevono gli altri, lo fanno molto più quando si tratta di se stessi. […] Anche l’Apostolo lo raccomanda in diversi passi; facciamo altrettanto anche noi e annunziamo a tutti le grazie di Dio».
Fede e gratitudine
Vorremmo concludere questa riflessione richiamando due sante, che diventano voce di tantissimi uomini e donne che hanno saputo ringraziare e ringraziano il Signore con tutto se stessi. La passione di sant’Agata ha conservato la preghiera che la martire catanese ha innalzato al Signore dopo il supplizio dell’amputazione del seno: «Domine Jesu Christe, Magister bone, gratias tibi ago qui me fecisti vincere tormenta carnificum; jube me Domine ad tuam immarcescibilem gloriam feliciter pervenire». Ci sembra di rintracciare nella preghiera di Agata un richiamo al canone romano: ogni prefazio si caratterizza per l’aspetto proprio di benedizione-ringraziamento; è il cosiddetto “gratias agere” che affonda le sue radici nella religiosità ebraica, culminando nella preghiera-offerta di Gesù che, dopo aver ringraziato, benedice. Quella preghiera è dunque il “prefazio” di Agata che, nel supplizio finale, quello che poi la condurrà alla morte, celebrerà la sua Eucaristia. È un inno pasquale, il canto di vittoria dei redenti.
Infine santa Chiara che a San Damiano, l’11 agosto 1253, compie il suo beato transito al cielo, celebrando il dono della vita e il suo Autore: «Va’ sicura, in pace, anima mia benedetta, perché hai buona scorta nel tuo viaggio! Infatti Colui che ti ha creata, ti ha resa santa e, sempre guardandoti come una madre il suo figlio piccolino, ti ha amata con tenero amore. E tu, Signore, sii benedetto perché mi hai creata».
SUOR MARIA CECILIA LA MELA, OSBap