JORDÃO PAULA
Lasciarci amare nella nostra fragile interiorità
2023/11, p. 31
All’interno della nostra vita spirituale, spesso ignoriamo quali siano le strategie più pratiche e concrete per seguire Gesù. Sentiamo parlare di ciò a cui dobbiamo aspirare, cosa non dobbiamo fare, ma quasi mai ci viene detto come agire nella vita di tutti i giorni.

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PERCORSI DI VITA
Lasciarci amare
nella nostra fragile interiorità
All’interno della nostra vita spirituale, spesso ignoriamo quali siano le strategie più pratiche e concrete per seguire Gesù. Sentiamo parlare di ciò a cui dobbiamo aspirare, cosa non dobbiamo fare, ma quasi mai ci viene detto come agire nella vita di tutti i giorni.
È molto importante per noi delineare dei percorsi che ci portino a immergerci nell’amore costante di Dio, che ci libera e ci rende in grado di amare sempre, tanto e tutti. Queste linee guida ci insegneranno a scoprire, riconoscere e aprire il nostro fragile mondo interiore allo sguardo amorevole di Dio, fornendoci anche strumenti per imparare a conoscerci meglio.
Conoscere se stessi per conoscere Dio
Il cammino verso Dio passa necessariamente per la conoscenza di noi stesse. La grande sfida che dobbiamo affrontare per avvicinarci a Dio non è la sua trascendenza, né la notevole diversità che lo caratterizza rispetto a noi, bensì la nostra profonda ignoranza nei confronti della nostra interiorità. Nel Vangelo, Gesù ci dice chiaramente: «Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,6). Se analizziamo attentamente le sue parole, ci renderemo conto che spesso non riusciamo a trovare Dio, poiché lo cerchiamo dove Lui non è. Moltiplichiamo le parole e le preghiere, ci impegniamo in molte esperienze spirituali, partecipiamo a tanti atti liturgici, leggiamo molti testi di spiritualità, esploriamo in profondità, ma sempre al di fuori di noi stesse. Sant’Agostino ci dice: «Ovunque tu sia, ovunque tu preghi, chi ti ascolta è dentro di te… chi ti ascolta non è fuori di te. Non allontanarti e non sporgerti per cercare di toccarlo con le mani. Anzi, se ti sporgi, cadrai; se ti abbassi, egli si avvicinerà». Anche s. Teresa d’Avila è molto chiara su questo punto: «La conoscenza di sé è il pane che in questo cammino dell’orazione si deve mangiare con tutti i cibi, anche i più delicati, e senza di esso non ci si può sostenere».
Come donne consacrate siamo chiamate a essere esperte di umanità, a conoscere noi stesse per conoscere l’amore di Dio e viceversa. Solo così la nostra vita, in ogni suo aspetto, sarà espressione e traduzione dell’amore che riceviamo da Dio. Tuttavia, spesso ci troviamo a doverci confrontare con una grande paura e una solitudine difficile da sopportare: ci sentiamo estranee verso Dio, verso noi stesse e verso gli altri. Seguire Dio diventa per noi un percorso sterile e oltremodo faticoso, a volte per la durezza di questo cammino, per la gravità delle situazioni che dobbiamo sostenere e la sofferenza che sentiamo intorno a noi. Ma il più delle volte, se siamo sincere, capiremo di esserci allontanate dalla fonte dell’amore di Dio: la sua Parola non ci tocca, la sua voce sembra assente e il suo amore distante. Come ci ricorda l’autore biblico, forse possiamo avere costanza, sopportare e per il suo nome affaticarci senza stancarci, ma abbiamo lasciato il nostro primo amore (cf. Ap 2,3-4). Non ci lasciamo amare a sufficienza da Dio.
La parabola dell’affettività
La parabola dell’affettività ci guiderà nell’analisi del nostro mondo interiore, mostrandoci alcuni dei luoghi della nostra interiorità, come se fossero parte di un grande pozzo affettivo.
Il primo luogo che vive in noi e a cui dobbiamo prestare attenzione è la nostra corporeità. Sebbene il nostro corpo renda possibile la nostra esistenza, spesso lo escludiamo dalla nostra spiritualità. È importante invece radicare la nostra vita spirituale nelle esperienze corporee, perché noi siamo un’unione di elementi spirituali e corporei. Il corpo è l’unico mezzo a nostra disposizione per essere ciò che siamo, per esprimerci, per definire la nostra identità e individualità. Attraverso il corpo comunichiamo con il mondo esterno e con la nostra interiorità. Tutta la nostra comunicazione è corporea. Inoltre, l’incarnazione di Gesù è un’affermazione radicale della bellezza divina del corpo umano: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). La rivelazione di Dio in Gesù passa attraverso il corpo a corpo, il faccia a faccia con ogni persona e con il mondo circostante. Gesù ha scoperto gli echi e le impronte di Dio nella natura – nella vigna, nel seme gettato, nella terra che lo accoglie e nell’acqua del pozzo – ma anche nel suo stesso corpo e in quello di tanti.
Le sensazioni
Per permettere a Dio di venirci incontro con il suo amore, dobbiamo essere attente alle sensazioni che proviamo, vale a dire le percezioni che sperimentiamo attraverso i cinque sensi. Il nostro corpo è il luogo teologico per eccellenza, cioè il qui e ora in cui Dio si manifesta, in cui ci comunica la sua promessa e la sua volontà. Dobbiamo essere attente alle nostre sensazioni, se vogliamo percepire i sacri messaggi che Egli ci invia:
– il sorriso di un amico, che ci parla di attenzione e presenza;
– la sofferenza di tante persone, che ci fa aver fame di giustizia;
– la malattia, che ci interroga sul senso della vita e conferma la nostra fragilità;
– la luna piena di notte, che riflette il sole anche quando non lo vediamo, mostrandoci la trascendenza;
– il tumulto interiore, che può essere il gemito dello Spirito in noi; e tante altre esperienze corporee che ci portano al di là di noi stesse.
I pensieri
Ciò che pensiamo ci dà forma. Conoscere noi stesse implica scoprire cosa pensiamo e come interpretiamo il mondo che ci circonda, noi stesse e gli altri. Del nostro pensiero fanno parte i valori e gli ideali che proclamiamo, ciò che consideriamo buono o cattivo e le regole che ci governano. La nostra accettazione e adesione a Gesù, al vangelo e al suo Regno passano per il nostro modo di pensare e sono una delle facoltà umane per eccellenza. È quindi fondamentale essere consapevoli di cosa pensiamo veramente, per prendere coscienza di ciò che ci avvicina o ci allontana dal messaggio evangelico.
Nel prenderne atto, dobbiamo porre i nostri pensieri dinanzi a Dio, chiedendo con umiltà e sincerità non solo di conoscere i suoi pensieri, che sono molto diversi dai nostri (cf. Is 55), ma anche di trasformare il nostro modo di pensare: «Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2).
Noi aspiriamo a imparare a pensare come Gesù, che pensava con una mente umana, che si lasciava plasmare dalla Parola di Dio, dal suo modo di pensare e dalla sua misericordia. Nella sua vita, Gesù non si è mai lasciato convincere da modi errati di intendere la religione, che portavano alla discriminazione, all’intolleranza, al maltrattamento o all’ingiustizia perpetrata in nome di Dio (cf. Mt 5,7; 12,7; 23,23). Inoltre, Gesù pensava se stesso alla luce di ciò che il Padre pensava di lui, e per questo ci invita a pensare noi stesse nel medesimo modo: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17, 5). Anche noi siamo figlie amate da Dio. Gesù ci dice che ci ama con lo stesso amore con cui è stato amato lui: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 9).
I sentimenti
Oltre i nostri pensieri, esiste uno spazio interiore che non possiamo ignorare: i nostri sentimenti. Si tratta di movimenti interiori che ci spingono a essere attratte da ciò che consideriamo buono, o a rifiutare ciò che consideriamo malvagio. Si tratta quindi di propensioni all’azione, ma non sono i sentimenti a essere responsabili delle nostre azioni. I sentimenti non sono controllabili o volontari, quindi non possiamo giudicarli moralmente.
In generale, nella vita consacrata, non sappiamo bene cosa fare dei nostri sentimenti. Ma non bisogna spaventarsi, bensì imparare a convivere con essi. Il primo passo da fare è accoglierli, accettarli senza giudicarli moralmente come buoni o cattivi. Poi dobbiamo sentirli. Questo non significa obbedire a ciò che ci suggeriscono, ma piuttosto lasciare che la loro forza ed energia psichica si esprimano senza costrizioni.
Si possono trovare molte buone soluzioni per essere in contatto con i nostri sentimenti: scrivere, dipingere o disegnare, cucinare o fare sport, fare una passeggiata nella natura o ascoltare musica, svolgere un’attività creativa o semplicemente entrare in un silenzio di preghiera, essendo presenti alle nostre emozioni. Anche se sembrano molto forti, possiamo imparare a sentirle senza obbedire loro o disprezzarle.
Il passo successivo è cercare di dare loro un nome e una dignità. Il vocabolario che già possediamo e che ci consentirebbe di dare un nome ai nostri sentimenti è decisamente limitato. Dobbiamo invece darci delle parole. Possiamo cercare su internet un elenco di sentimenti e vedremo che esistono molte, moltissime parole nelle nostre lingue che ci aiutano a identificarli. Il solo fatto di dare un nome a ciò che proviamo ci dà pace e ci completa.
Dio ci viene incontro anche nelle nostre emozioni, se ci poniamo sinceramente dinanzi alla sua presenza. Nelle pagine del Vangelo scopriamo molte delle emozioni che Gesù ha provato, nonché il modo in cui Egli ha accolto le emozioni degli altri. Ricordiamo la donna che lo toccò di nascosto, nella speranza di essere guarita, facendo però ciò che era proibito dalla legge. Quando Gesù insistette per sapere chi l’avesse toccato: «la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità». Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata» (Mc 5, 33-34). Nel versetto 3,5 del vangelo di Marco, riusciamo a farci un’idea dei sentimenti del Maestro: «E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, […]». Il fatto che Gesù abbia provato rabbia e dolore può sorprenderci, ma condividendo la nostra umanità Egli ha provato le stesse cose che proviamo noi. Raramente guardiamo a Gesù da questa prospettiva, ma farlo è essenziale, cosicché Egli possa insegnarci e consentirci di sentire tutto ciò che viviamo al fianco di Dio.
Infine, dobbiamo chiedere ai nostri sentimenti da dove provengono e dove vogliono portarci, per poterli comprendere e ottenere le informazioni che essi portano con sé. Solo a conclusione di questo processo, potremo decidere come agire.
Le necessità
Le necessità sono uno spazio profondamente umano e naturale, che per noi è difficile riconoscere. Rappresentano delle carenze e potenzialità che tutti sperimentiamo. Tutte noi abbiamo necessità e abilità fisiche e psicologiche, personali e sociali, nonché capacità di creare significato e trascendenza che non possiamo ignorare e a cui dobbiamo rispondere.
Se abbiamo difficoltà a entrare in contatto con i nostri sentimenti, saremo ancora più distanti dalle nostre necessità. Cercare un elenco di necessità, anche online, è un esercizio importante che ci darà le parole giuste per identificare queste necessità in noi stesse.
Secondo una diffusa concezione della vita consacrata, che spesso condividiamo, noi non dobbiamo preoccuparci di noi stesse, ma sempre delle necessità degli altri. Ma è impossibile essere attenti e rendersi conto in modo sano delle necessità degli altri, se in maniera altrettanto sana non ci prendiamo cura delle nostre necessità. Senza rendercene conto, aiutando gli altri potremmo rispondere inconsciamente alle nostre necessità, arrivando persino a manipolare situazioni e persone. È quindi necessario avere un rapporto chiaro ed equilibrato con le nostre necessità.
La nostra chiamata non ci porta a essere persone egoiste ed egocentriche, ma persone consapevoli di sé che imparano a rispondere positivamente e in modo appropriato alle nostre e altrui esigenze personali (cf. Gv 4,7-10). È essenziale mettere le nostre necessità di fronte a Dio, per capire come Egli voglia aiutarci a soddisfarle e svilupparle.
Anche Gesù sperimentò le nostre stesse necessità umane e di questo era consapevole. Provò la sete, la stanchezza, la fame, il bisogno di stima, di amicizia, di comprensione, di gratitudine e di solitudine, e molto altro. Ma non si chiuse nella soddisfazione egocentrica dei suoi bisogni, bensì fece della cura perspicace per le necessità – sue e degli altri – la sua priorità di vita. Gesù ci invita a fare altrettanto, nella certezza che Dio si prende sempre cura di noi, perché risponde alle nostre necessità (cf. Mt 6,8), anche quando ci propone di svuotarci per riempirci della sua pienezza (cf. Fil 2,5-9).
L’affettività
Il nostro bisogno più essenziale è l’affettività. Con questo termine si intende l’immensa capacità e il profondo bisogno di ricevere e dare amore, di lasciarsi amare e di amare. In questa realtà risiede il nostro valore come persone: l’antropologia cristiana ci dice che siamo state create per provare amore, che nasciamo dall’amore e per l’amore, e solo nell’amore troviamo realizzazione. Essere consapevoli dell’esperienza affettiva è essenziale per conoscere noi stesse e per crescere come persone complete, figlie di Dio e sorelle di tutti. La nostra realtà affettiva, da quando siamo state concepite fino a oggi, influenza la nostra personalità e la nostra memoria, le nostre relazioni e la nostra missione, la nostra esistenza e il nostro futuro. Al centro della nostra vita e di tutto ciò che facciamo, si trovano le domande esistenziali: se siamo amate, importanti, accettate e se il nostro amore è apprezzato, salutare e riconosciuto. Occorre quindi guardare all’affettività con positività, riconoscendo con sincerità le nostre carenze e le nostre fonti affettive, per non lasciarci trascinare a vuoto da ossessioni e capricci affettivi che ci tentano, ci tradiscono e ci intrappolano, proprio come nel caso della Samaritana (cf. Gv 4). Dio stesso ci viene incontro e si relaziona con noi su base affettiva; per questo motivo, è importante imparare a pregare a partire dall’affettività, lasciandoci amare affinché Dio stesso ci renda in grado di amare. Ma come si fa? Il primo passo da compiere sarà ancora una volta quello di riconoscere la nostra sete di amore e di amare. E poi, come Gesù e insieme a Lui, dobbiamo scendere al Giordano o salire più volte sul monte della Trasfigurazione per ascoltare ciò che Dio dice anche di noi: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5). O, come il «discepolo che Gesù amava», chinare il nostro capo sul suo petto anche nei momenti più duri, quando il tradimento incombe (cf. Gv 13,25), finché non arriveremo a vivere al ritmo della domanda che Gesù ci pone: «Mi vuoi bene?» e potremo rispondergli: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,15-18). Tutti gli incontri di Gesù con chi ha creduto nella sua misericordia si basano sull’affettività, poiché penetrarono nell’essenza profonda di queste persone, restituendo a ciascuna di loro la propria identità davanti a Dio, a se stesso e agli altri. È Lui che ci libera affettivamente, affinché lasciandoci amare impariamo a liberarci da ciò che ci imprigiona per amare sempre come Lui stesso ci ama.
I desideri
I desideri sono impulsi interiori, interessi o brame che ci spingono ad agire per soddisfare le nostre necessità. I desideri sono condizionati dalle sensazioni che ci afferrano, dai pensieri tramite i quali interpretiamo la realtà, dai sentimenti che ci muovono e soprattutto dall’affettività, che cerca di realizzarsi appieno. Anche nella vita spirituale i desideri godono di cattiva reputazione, come se fossero qualcosa che dobbiamo evitare, sempre e a ogni costo. Ma i desideri sono profondamente umani. Sono la bussola che ci mantiene sulla giusta rotta se sono conosciuti, compresi e ascoltati, perché possono essere un dono e un’eco dello Spirito. Danno colore e vita alle nostre decisioni, poiché ci motivano a seguire il percorso che ci conduce verso la meta desiderata anche tra mille difficoltà e fatiche. Senza desideri, la vita – e soprattutto la vita consacrata, come spesso accade – è destinata a trasformarsi in un elenco infinito di obblighi ferrei e gravosi, di scadenze incolori e prive di emozioni. Dobbiamo avere il coraggio di desiderare. D’altra parte, non possiamo neppure vivere secondo il ritmo dettato dai desideri, senza sobrietà e realismo, o lasciandoci schiavizzare da essi. Pertanto, dobbiamo analizzarli con onestà dinanzi a Dio, per imparare a conoscerli e a desiderare correttamente. Gesù ci insegna a desiderare ciò che è buono per noi senza accontentarci delle chimere che promettono, mentendo, di rispondere ai nostri desideri, ma anche senza appagare i nostri desideri, che siano proiettati su persone, cose, titoli, incarichi, regole, attività o vizi. Nella sua vita, Gesù ha desiderato e fatto del suo desiderio profondo la strada da seguire fino alla fine. Gesù non ha vissuto la sua vita e la sua passione obbedendo a regole o imposizioni esterne, ma ascoltando e rispondendo adeguatamente ai propri desideri profondi e, in essi, a quelli di Dio. Così, ci insegna a non temere i nostri desideri, a conoscerli, ad ascoltare ciò a cui ci invitano, ponendoci di fronte a Dio per poter discernere quale cammino intraprendere.
La volontà
La vita cristiana cerca la volontà del Padre: «Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra» (Mt 6,10). Per questo abbiamo bisogno di conoscere non solo la volontà di Dio, ma anche la nostra, così da conformarla alla sua. La volontà è la nostra capacità di volere e di scegliere di assumere un determinato atteggiamento nelle situazioni in cui viviamo, a fronte della varietà dei movimenti interiori e delle chiamate esterne che riceviamo. Questa nostra potenzialità ci permette di non seguire indiscriminatamente il ritmo dei nostri istinti e delle nostre emozioni, ma di scegliere la direzione da prendere. La nostra forza di volontà ci porta a essere fedeli anche quando i nostri sentimenti, desideri o bisogni insistono per spingerci in altre direzioni.
Una volontà sana ci porta a essere persone responsabili, libere e impegnate nei valori evangelici che professiamo. Una volontà debole corre il rischio di essere incostante. Una volontà troppo forte, invece, rischia di trasformarsi in una dittatura interiore che non lascia spazio ad altri luoghi interiori, creando una personalità rigida e intransigente con se stessa e con gli altri. Inoltre, la volontà non è sufficiente a delimitare e definire una volta per tutte il nostro mondo interiore. Voler controllare tutto con la forza di volontà si definisce pelagianesimo e, come ci ha ricordato papa Francesco, non è un atteggiamento che si addice alla nostra fede cristiana .
Dobbiamo rispondere con umiltà alla domanda: «Che cosa voglio veramente?» e porci dinanzi a Dio con le mani aperte, come Maria di Nazareth, chiedendo: «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
Dobbiamo inginocchiarci davanti a Dio perché rafforzi la nostra volontà e la renda più simile alla sua.
Le decisioni
Dopo la riflessione e la volontà, arriva il passo della decisione, che è la selezione attiva e pratica del comportamento, dell’atteggiamento o della risposta che vogliamo dare in una situazione specifica. Le decisioni fanno parte della nostra vita in ogni sua fase e momento. Non possiamo vivere senza prendere decisioni, tanto nelle questioni piccole quanto in quelle grandi, tanto nelle situazioni insignificanti quanto in quelle importanti della nostra vita. Un ventaglio di possibilità più ampio rende la decisione più difficile, ma di fronte alle difficoltà dobbiamo comunque prendere decisioni, perché anche non decidere è una decisione. Lasciare che gli altri decidano per noi è inevitabilmente una nostra decisione. L’esperienza dell’obbedienza non può significare assenza di decisione e di volontà personale. Dio ci invita a dare forma alla nostra vita attraverso il discernimento, la creatività, il realismo e anche il rischio legato alle nostre decisioni. Dobbiamo soffermarci a osservare le nostre decisioni, per conoscerle e per conoscerci attraverso di esse: quali decisioni ho preso, perché ho deciso questo, quali sono le conseguenze di queste decisioni? Allo stesso tempo, collocare le nostre decisioni – compiute in modo corretto o errato – a forgiare nell’officina della preghiera le affilerà e le plasmerà secondo la promessa di Dio, che è sempre in grado di farci ripensare e tornare sulla retta via, anche dopo aver preso decisioni sbagliate.
Quando si prende una decisione, è indispensabile considerare non solo cosa si intende fare, ma anche come intendiamo agire, perché questo influirà sulle conseguenze della nostra decisione. Dobbiamo dedicare del tempo ad analizzare le varie forme e implicazioni che una determinata decisione avrà, per poterla delineare e rifinire correttamente. Se, ad esempio, decido di parlare con una persona, devo ponderare e decidere con quale atteggiamento interiore avvicinarmi a lei, ma anche il tono di voce, il linguaggio del corpo, il contenuto e le parole che utilizzerò, il luogo, l’ora dell’incontro e così via. Tutti questi dettagli sono fondamentali e richiedono attenzione.
Gesù ci invita a decidere liberamente come ha fatto Lui, superando ogni forma di imposizione ingiusta. Non ci costringe e ci invita a fare lo stesso, insistendo sul fatto che siamo responsabili della nostra vita. Solo in modo libero, volontario e risoluto possiamo vivere una vita consacrata felice e liberatoria, che liberi noi e gli altri.
Le azioni
Gesù ci ricorda: «Dai loro frutti li riconoscerete… un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni» (Mt 7, 16-18). Nella cultura evangelica, l’azione è fondamentale: la decisione è chiamata a diventare concreta. Sono le azioni concrete che gradualmente ci costruiscono e definiscono come persone.
Attraverso di esse – parole e silenzi, gesti e atteggiamenti – possiamo riconoscere le nostre vere motivazioni e il reale potere che Dio ha nella nostra vita.
Il confronto quotidiano, sincero e orante, delle nostre azioni con la vita di Gesù è ciò che ci permetterà di conoscere noi stesse, di lasciarci abbracciare dalla sua grazia, di essere rafforzate, corrette e di seguirlo nel suo percorso con passi concreti. Il cammino della salvezza si delinea nella quotidianità ordinaria: è proprio lì che Gesù ci viene incontro e ci chiede di amare alla sua maniera.
Gesù ci chiama a stare con Lui, a seguirlo e a proclamarlo come centro vitale della nostra dedizione, della nostra consacrazione e delle nostre azioni (cf. Mc 3,13). Il senso della nostra vita cristiana, consacrata fin dal battesimo, sta nell’essere testimoni di «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato» al fianco di Gesù (1 Gv 1,1). Dobbiamo offrire al mondo – con i nostri gesti e le nostre parole – l’esperienza dell’amore di Dio, proprio come ha fatto Gesù: «E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26). Tutto questo presuppone che ci lasciamo amare profondamente da Dio, che riversa il suo Spirito nei nostri cuori (cf. Rm 5,5).
Conclusione
L’amore di Gesù ci rende capaci di amare liberandoci: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi… Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (Gv 8, 31-32.36).
Conoscere la verità su noi stesse, che ci viene data solo attraverso il rapporto con Dio e la sua Parola, ci porterà a lasciarci amare e ad amare alla maniera di Gesù. Questo è l’obiettivo della nostra vita consacrata, che si può raggiungere solo tramite il contatto con il nostro terreno – il nostro humus – ponendolo sinceramente e umilmente di fronte a Dio, che ci rafforzerà e redimerà sempre con la sua grazia: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9). Per questo vogliamo entrare nel nostro mondo personale e spesso sconosciuto, per «lasciarci amare nella nostra fragile interiorità…».
PAULA JORDÃO, FMVD
Dall’originale spagnolo: Jordão Paula, Tan frágiles y tan amados. Una pedagogía para la libertad, Colección El pozo de Siquén, Sal Terrae, Bilbao 2023.
2 Dall’originale spagnolo: A. de Hipona, Tratados sobre el Evangelio de San Juan. Trattato 10, online, https:// www.augustinus.it/spagnolo/commento_vsg/index2.htm (Data di ultima consultazione: 08/11/2022), 1.
3 Dall’originale spagnolo: T. de Jesús, Libro de la Vida, online, https://www.portalcarmelitano.org/download/ LIBRO-DE-LA-VIDA-Santa-Teresa-de-Avila.pdf (Data di ultima consultazione: 15/09/2020), 13.15.
4 Catechismo della Chiesa Cattolica, 1604.
5 Papa Francesco, Gaudete et exsultate, 49.
6 Paula Noronha Jordão, originaria del Portogallo, fa parte della Fraternità Missionaria Verbum Dei. Dopo aver completato gli studi di Filosofia e Teologia presso l’Istituto Teologico Verbum Dei, si è dedicata all’evangelizzazione, pregando, proclamando e impegnandosi a vivere la Parola di Dio. In qualità di Maestra delle Novizie, ha conseguito un Master presso la Scuola per Formatori dell’Università di Comillas, a Salamanca; inoltre, qualche anno fa ha ottenuto un Master in Spiritualità presso la Facoltà di Teologia dell’Università Loyola di Granada. Ora, con più di 30 anni di vita missionaria alle spalle, è Coordinatrice dell’ambito della Formazione per l’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG), a Roma.