Bignardi Paola
In cerca di riferimenti
2023/11, p. 28
È il momento in cui sacerdoti, suore, educatori ed educatrici riflettano in maniera rinnovata sul loro compito. A partire dalla convinzione che l’educazione vera, quella che lascia un segno nella vita delle nuove generazioni, soprattutto quelle di oggi, si fa uno a uno.

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NUOVE GENERAZIONI
In cerca di riferimenti
È il momento in cui sacerdoti, suore, educatori ed educatrici riflettano in maniera rinnovata sul loro compito. A partire dalla convinzione che l’educazione vera, quella che lascia un segno nella vita delle nuove generazioni, soprattutto quelle di oggi, si fa uno a uno.
Introduzione
Gli adulti hanno spesso l’impressione che entrare in comunicazione con i giovani e ancor più con gli adolescenti sia molto difficile. Potrebbero essere tentati di concludere che le nuove generazioni non apprezzano e non vogliono avere tra i loro riferimenti delle figure adulte. Ma quando ci si mette in ascolto, ci si accorge che per i ragazzi la mancanza di persone disposte a stare al loro fianco e ad accompagnarli nel cammino della vita è motivo di sofferenza; e che, al contrario, adulti significativi e autorevoli sono cercati e richiesti. Nella testimonianza di questa diciannovenne, questo complesso rapporto con gli adulti è ben rappresentato: «Tutti i giovani si pongono domande; una volta potevano affrontarle avendo accanto a sé genitori, insegnanti ed educatori che li sostenevano nella loro ricerca. Non si può guardare dentro un abisso senza qualcuno che non ti faccia precipitare. I giovani di oggi sono più soli». Dunque non solo i giovani non rifiutano il dialogo con gli adulti, ma spesso si sentono trascurati e abbandonati da una generazione adulta che vedono troppo occupata dai propri problemi e poco interessata alla crescita dei più giovani; pensano anche che gli adulti non si rendano conto di quanto sia difficile orientarsi in questa società liquida e in un mondo complesso al quale si affacciano in solitudine.
I riferimenti?
Tra i propri affetti!
La maggior parte dei giovani dichiara di avere una figura di riferimento; per il 33% questa figura è costituita dalla mamma; seguono gli amici, poi il partner e poi, con percentuali più ridotte, altre figure della famiglia: papà, fratelli o sorelle, nonni…. A noi interesserebbe conoscere per quanti di loro il riferimento è costituito da una figura religiosa, da un educatore, da un insegnante: ebbene, solo l’1% nell’uno e nell’altro caso. Le persone importanti, quelle con cui si parla di sé, dei propri problemi e dei propri sogni, delle proprie perplessità e delle proprie inquietudini, sono solo persone che appartengono all’area degli affetti. La mamma è preferita dalle giovani donne (38%); dalla fascia di età dei 18-20enni (38%), mentre il partner è preferito dalla componente più adulta del campione. Le ragioni di questa scelta sono date sostanzialmente dalla fiducia che si ripone in queste figure: la mamma è quella che riscuote il massimo di fiducia (84%); le due figure che seguono sono il papà (73%) e la famiglia in generale (69). In maniera piuttosto impensata, tra le figure esterne alla famiglia che riscuotono un’alta percentuale di fiducia vi è papa Francesco, con il 46% delle preferenze: è la prima persona citata, al di fuori della cerchia degli affetti.
Il quadro che emerge è piuttosto inaspettato sia per quanto riguarda la quantità dei riferimenti citati sia per le persone che vengono indicate. Si può notare che il riferimento viene cercato nell’ambito degli affetti, preferibilmente quelli familiari. È sorprendente dunque il fatto che la propria famiglia di origine sia considerata dai giovani il proprio punto di riferimento. D’altra parte, il fatto che non siano citati riferimenti esterni (educatori, sacerdoti, docenti…) induce a pensare che la cerchia delle persone significative esterne alla famiglia, sia debole. È un dato positivo che la famiglia sia così importante, ma è anche vero che l’esclusione di figure esterne ad essa dice forse di una rete sociale fragile: o perché troppo ristretta, o perché scarsamente significativa.
Quali sono gli aspetti della propria vita che si condividono, e con chi? È chiaro che per parlare di temi sentimentali si preferiscano gli amici (39%), che per problemi che riguardano la scuola si preferiscano i compagni di studio, per quelli che attengono al lavoro si preferisca il partner o i colleghi. Per parlare di politica si preferiscono i genitori. Dunque figure di riferimento diverse in base ai temi che si vogliono affrontare.
Caratteristiche delle figure di riferimento
Quali sono le caratteristiche che i giovani riconoscono nelle loro figure di riferimento? Si tratta di una domanda molto importante per quanti hanno un compito educativo, perché sulle caratteristiche indicate dai giovani possono vedere specchiate o meno le proprie; e anche valutare la loro possibile efficacia nel dialogo educativo.
Il primo elemento che balza agli occhi riguarda la non coincidenza delle caratteristiche delle proprie figure di riferimento rispetto a quelle che essi si auspicano di incontrare. Il loro dialogo con i riferimenti reali ha come prima caratteristica il disinteresse: riscuote il 22% delle risposte. I più disinteressati sono mamma e papà. Ma se si guarda all’ideale, questa caratteristica arriva solo al 6%. Dunque non è tra le qualità che vengono cercate, nel momento in cui si attribuisce ad una persona la propria fiducia e la propria confidenza; la si riconosce nei genitori, ritenendo che loro non possono che desiderare il bene dei loro figli. Al secondo posto, tra le caratteristiche riconosciute nelle persone di riferimento reale, è: «mi ascolta senza giudicarmi» (21%); ed è quasi naturale che siano gli amici (54%) coloro che vengono ritenuti capaci di questo atteggiamento. Due sono gli aspetti non scontati in una relazione, soprattutto se le si riconosce il valore di orientamento per la propria vita: innanzitutto essere ascoltati. È un desiderio molto forte questo nelle nuove generazioni: avere qualcuno con cui parlare di sé, del proprio mondo interiore, spesso anche della confusione e dello smarrimento che si sperimenta dentro di sé. Prima che cercare consigli e proposte, i giovani cercano qualcuno che li aiuti, attraverso l’ascolto, a riconoscere ciò che si agita in loro, che li aiuti a dare parole a ciò che provano e a dare ordine a ciò che si presenta loro come sconosciuto e indecifrabile. Adolescenti e giovani chiedono di essere ascoltati senza essere giudicati, senza che qualcuno con i propri giudizi mini la fragile fiducia in se stessi che li caratterizza. Se si passa dal piano della realtà a quello dell’ideale auspicato, il non giudizio è la caratteristica che sta al primo posto con il 27%. C’è poi una caratteristica molto interessante che riceve il 10% delle scelte sia per quanto riguarda la realtà che l’ideale; «mi trasmette serenità ed entusiasmo per la vita», e viene riconosciuta soprattutto al proprio partner. Infine, c’è un altro tratto notevole, soprattutto se guardato dal punto di vista educativo: «riesce sempre a farmi vedere dove sbaglio», ed è riconosciuta in primo luogo alla mamma. Riconoscere l’errore e saper far riconoscere l’errore accettandolo come il passaggio utile ad una crescita è un’esperienza molto difficile sia sul piano personale che su quello educativo. C’è bisogno di grande fiducia nella relazione, di grande benevolenza ed empatia, perché condurre a riconoscere uno sbaglio non sia un’esperienza umiliante ma il passaggio di una crescita. È molto significativo che i giovani lo riconoscano: vuol dire che sono pronti ad accettare la correzione, quando sia fatta con l’amorevolezza di una madre.
Figure di riferimento
ed esperienza religiosa
Nell’analisi delle persone di riferimento colpisce l’assenza di figure religiose; quelle che un tempo avevano grande ascendente sulle nuove generazioni e costituivano dei partner educativi importanti per i genitori. Queste figure sono completamente scomparse dall’orizzonte dei più giovani: l’abbandono degli ambienti ecclesiali in età sempre più precoci, una modalità di impostare la pastorale molto più centrata su attività di animazione che di educazione fa sì che le figure religiose non siano percepite come punti di riferimento. Occorre anche dire che sono le domande religiose quelle che si sono fatte più rare e meno pressanti. Molti sono gli interrogativi che abitano gli adolescenti e i giovani, ma essi non appaiono loro come domande che abbiano a che vedere con la questione religiosa e con le figure e i contesti che la interessino. Nella ricerca sui giovani che si sono allontanati dalla Chiesa, alla domanda su quali siano i loro punti di riferimento, la risposta è quasi sempre quella che riguarda gli amici, con i quali si parla di molte cose personali, ma nei quali non si trovano degli interlocutori con cui confrontarsi sulle questioni che riguardano la fede, «perché – come dice uno di loro – anche loro sono più o meno sulle mie posizioni, e quindi è inutile che ci confrontiamo».
Penso che queste riflessioni siano importanti per quanti hanno responsabilità educative, soprattutto nell’ambito della Chiesa e anche della scuola.
I giovani cercano punti di riferimento; occorre farsi trovare. Diversamente, restano loro solo persone che sono naturalmente caricate di un compito educativo, come i genitori, che forse non sempre sono in grado di offrire loro un aiuto adeguato, soprattutto quando gli interrogativi riguardano la vita interiore, la spiritualità o la fede.
Ma forse questo è il momento in cui sacerdoti, suore, educatori ed educatrici riflettano in maniera rinnovata sul loro compito. A partire dalla convinzione che l’educazione vera, quella che lascia un segno nella vita delle nuove generazioni, soprattutto quelle di oggi, si fa uno a uno. Si fa nel dialogo personale, quello nel quale gli stati d’animo, le preoccupazioni, le domande di ciascuno sono ascoltate, accolte; possono essere oggetto di analisi e di discernimento. Certo anche le attività di gruppo sono importanti, ma ciò che è decisivo è quanto avviene nella coscienza e che può essere illuminata da un dialogo paziente, sereno, senza fretta, autorevole ed umile, con una figura veramente educativa.
Anche l’esercizio della paternità e della maternità spirituali hanno bisogno di essere ripensati nel confronto con le attese dei più giovani. Forse chi ha questo compito ha bisogno di liberarsi dalla preoccupazione di orientare, di proporre, di guidare per caricarsi di una capacità di ascolto, di incoraggiamento, di liberazione del bene che vi è in ciascuno. So che per molti educatori questa è già prassi; per tutti è convinzione, ma l’esperienza dice che tra le convinzioni e la pratica vera c’è un passaggio difficile, una vera conversione dello stile educativo, perché, come i giovani chiedono, anche attraverso la relazione con un adulto disponibile ad accompagnare, passi la capacità di «trasmettere serenità ed entusiasmo per la vita».
PAOLA BIGNARDI