Centolanza Chiara Grazia
Respiro di esultanza
2023/11, p. 25
Può Chiara essere davvero la profondità e la radice del mio presente di donna consacrata, di sorella povera nel qui e ora della Chiesa e del mondo? Perché – lo sappiamo – si tratta, più che di ripetere pedissequamente l’esperienza dei fondatori, di assimilare e far proprio, in modo originale, quanto da loro consegnatoci e trasmessoci.

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Testimoni
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sr Chiara Grazia Centolanza Respiro di esultanza. La Parola in Chiara e Chiara nella Parola, una proposta di lettura. Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2023, € 20,00, pp. 208
TESTIMONIANZA
Respiro di esultanza
Può Chiara essere davvero la profondità e la radice del mio presente di donna consacrata, di sorella povera nel qui e ora della Chiesa e del mondo? Perché – lo sappiamo – si tratta, più che di ripetere pedissequamente l’esperienza dei fondatori, di assimilare e far proprio, in modo originale, quanto da loro consegnatoci e trasmessoci.
Quale gioia e quale meraviglia che si sia destato nuovo interesse intorno alla persona e all’esperienza evangelica di Chiara d’Assisi!
«Un santo, infatti, è innanzitutto una persona reale, immersa nella sua storia, nel proprio popolo, eppure portatrice di un dono che attraversa il tempo e lo spazio, cambiandoli dall’interno, dando origine ad un nuovo inizio che coinvolge altre persone in un’avventura cristiana inedita. Per questo, l’accesso ad un carisma originario può avvenire solo a partire dal presente e non facendo innanzitutto «archeologia degli inizi». La storia per i santi non è mai solo il passato. È la profondità del presente che viviamo. Altrettanto vero è che non si incontra veramente chi vive nel presente, se non arrivando alla sua radice, ritrovando non semplicemente l’inizio storico, ma l’origine che ogni nuovo inizio rende possibile» (dalla Presentazione di mons. Paolo Martinelli, OFM Cap, Vicario Apostolico dell’Arabia Meridionale).
In ascolto della vita
Può Chiara essere davvero la profondità e la radice del mio presente di donna consacrata, di sorella povera nel qui e ora della Chiesa e del mondo? Perché – lo sappiamo – si tratta, più che di ripetere pedissequamente l’esperienza dei fondatori, di assimilare e far proprio, in modo originale, quanto da loro consegnatoci e trasmessoci. Questo testo è nato da una «scommessa», dalla necessità, approfonditasi in questi anni di monastero, di verificare se il suo vissuto concreto, così come emerge dai suoi scritti e dalle fonti agiografiche (Legenda e Atti del Processo di canonizzazione), potesse divenire luogo ermeneutico del mio stesso vissuto. E si è alimentato dell’urgenza di comprendere il suo dettato, finanche le singole parole, nella consapevolezza che il linguaggio, nella comprensione di un carisma, non è un dato neutro, ma ne è esplicitazione, forma e veicolo, è «configurazione» della vita vissuta.
Mi sono proposta di verificare, in analogia all’interpretazione della Sacra Scrittura e alla lectio divina, se fosse fruttuoso e opportuno articolare la lectio di un testo carismatico applicando ad esso i criteri ecclesiali interpretativi – lettura ecclesiale, lettura spirituale, lettura globale, lettura ermeneutica – nella consapevolezza che, essendo opera congiunta dello Spirito e di Chiara, potesse essere colto e capito alla luce dello Spirito mediante il quale ella l’aveva scritto (cf DV 12). Ho scelto alcune sue espressioni, che si sono rivelate poi non principi astratti di una dottrina a cui attenersi, quanto quadri dinamici e relazionali capaci di sorprendere la sua esperienza, «posizioni» che permettono, a chi le segue, di stare in ascolto della vita e della realtà divina e umana. In queste espressioni mi è parso risuonassero echi antichi eppure sempre attuali, che giungevano dalla Scrittura e dalla Tradizione, dai Padri latini ed Orientali, conferendo maggior profondità e sonorità a ciò che altrimenti avrei letto come una semplice attestazione del passato, o tuttalpiù come un discorso edificante e pio, che però poco aveva da dire al mio presente e che con fatica intercettava il mio vissuto.
Radicalità evangelica
Sono espressioni che ci provocano e affascinano per la loro radicalità evangelica: Attendere a ciò che sopra ogni cosa si deve desiderare (cf RsC 10,9: FF 2811); Suddite sempre e soggette (RsC 12,13: FF 2820); Riconosci la tua vocazione! (TestsC 4: FF 2823); Ti vedo abbracciare, ti vedo portare e contenere (3LAg 7.25.26: FF 2885.2893). A partire da queste sue quattro «posizioni» e dalla dinamica spirituale che innescano, ho letto come modello di apprendimento e di crescita relazionale la cosiddetta Visione della mammella, tramandataci da suor Filippa, terza testimone al Processo di canonizzazione (cf Proc 3,29: FF 2995): Chiara ha imparato ad offrire alle sorelle quel nutrimento dei piccoli del vangelo ricevuto da Francesco e da lei assimilato, e a rispecchiare, ormai totalmente trasformata, l’immagine della Divinità contemplata e amata.
Povertà trovata e custodita
L’incontro con Francesco fu per lei l’irrompere di un modo altro, nuovo, entusiasmante di guardare a Dio, al mondo, a sé: il poverello le indicò con la vita e le parole il volto di Gesù povero e crocifisso, il Signore della gloria, che da ricco che era si fece povero per noi (cf 2Cor 8,9) e «quando venne nel grembo verginale volle apparire nel mondo disprezzato, bisognoso e povero, perché gli uomini, che erano poverissimi e bisognosi e soffrivano l’eccessiva mancanza di nutrimento celeste, fossero resi in lui ricchi con il possesso del regno celeste» (1LAg 19-20: FF 2865). Una scelta di povertà, quella di Chiara, che si radicò giorno dopo giorno nella contemplazione grata e stupita di «colui che è posto in una mangiatoia e avvolto in pannicelli. O mirabile umiltà, o povertà che dà stupore! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra è reclinato in una mangiatoia» (4LAg 19-21: FF 2904). Da questo stupore sgorgava l’esigenza quotidiana di riconoscere e amare quel volto, nascosto nella propria povertà e fragilità e in quella delle sorelle: quale attenzione e cura aveva Chiara per le sorelle inferme e tribolate! Forse per la percezione limpida che non fosse possibile incontrare il Re della gloria che nel Crocifisso povero; infatti più e più volte, secondo quella logica capovolta che Francesco aveva indicato con la sua vita, ogni indigenza povertà fatica tribolazione o ignominia e disprezzo del mondo si erano trasformate per lei e le sorelle nell’esperienza di grandi delizie (cf TestsC 27-28: FF 2832), dell’amaro trasformato in dolcezza di animo e di corpo (cf 2Test 3: FF 110), finalmente nell’esperienza del Risorto.
Una povertà radicale, quella di Chiara e sorelle, mantenuta e custodita paradossalmente dal vivere corporalmente rinchiuse: se nel monachesimo classico la vita contemplativa era salvaguardata e assicurata anche dall’autonomia e dall’autosussistenza economiche del monastero, con loro assistiamo ad una reciprocità di rapporto davvero paradossale e rivoluzionaria tra sine proprio, vita con Dio e reclusione. Il 17 settembre 1228 Gregorio IX concedeva a Chiara e alle sue sorelle con la bolla Sicut manifestum il Privilegio della povertà. Sappiamo che per prassi le bolle papali nel medioevo constavano di un protocollo, ossia l’intestazione e il destinatario a cui erano rivolte, di un escatocollo, ovvero la concessione elargita, e di un nucleo centrale, il collo, che riportava di norma la Petizione o proposito così come era redatta dagli stessi richiedenti. Possiamo quindi accostare questa bolla papale sicuri di attingere direttamente alla fonte carismatica di Chiara. Stando al testo, il proposito di altissima povertà, ossia la libertà «di non poter essere costrette da nessuno a ricevere possessioni» è strettamente legato e finalizzato al desiderio di dedicarsi al solo Signore, di porre in lui tutta la sollecitudine del cuore, secondo la pratica monastica dell’amerimnia. Termine tecnico che designa il silenzio interiore, la pace del cuore nell’abbandono al Padre provvidente che ha cura di ogni uomo (cf 1Pt 5,7) ed è vicino (cf Fil 4,5-6), la libertà dagli affanni per potersi occupare di Lui solo, per potersi dedicare a Lui con un cuore unificato. È quindi virtù filiale, fiducia nel Padre provvidente che avrà sollecitudine dei suoi figli; è la pace di chi si è unificato intorno all’unum necessárium (cf Lc 10,42; 2LAg 10: FF 2874).
Chiara, donna di relazione
e in relazione
Allora, Chiara si rivela donna attenta al desiderio che la abita, alla Presenza che dal di dentro le dà forma; attenta e sottomessa a ciò che la circonda per discernervi i tratti dell’Amato che si nasconde, anche nella tribolazione. Donna sollecita nell’assecondare l’opera dello Spirito, che del chiostro piccolino della sua umanità vuol fare la sede e la dimora dell’Altissimo, come già nella Vergine Maria. Donna capace di riconoscere la chiamata e le chiamate del Padre, donna cioè di relazione.
E finalmente Chiara è donna del gaudio e dell’esultanza: il titolo del libro già ci narra chi sia Chiara. Sono parole tratte dalla sua Terza Lettera ad Agnese, sorella del re di Boemia e promessa sposa dell’imperatore Federico II, che agli onori e ai fasti del mondo aveva preferito la povertà di Cristo come era stata abbracciata da Francesco e Chiara: «Sono ripiena di così grande gioia e respiro di esultanza nel Signore, quanto posso fermamente constatare che tu supplisci in modo meraviglioso a ciò che manca, in me e nelle mie sorelle, nell’imitazione delle orme di Gesù Cristo povero e umile» (3LAg 4: FF 2884).
«Respiro di esultanza»: Chiara respira della sequela di Agnese, riceve soffio, alito, cioè vita da questa sorella, dalla sua testimonianza evangelica; un soffio che è esultanza dello Spirito. Chiara esulta per Agnese come il salmista per il Signore Dio (cf Sal 15,9; 46,2; 95,11; 96,1.8; 125,2.5; 149, 2.5), come il Battista per Gesù al saluto di Maria (cf Lc 1, 41.44), come lo spirito di Maria per l’opera di salvezza che l’Onnipotente sta compiendo in lei, umile serva (cf Lc 1,47): riconosce i meriti di questa sua figlia e sorella e non teme di appropriarsene come di cosa che le appartenga. È il mistero della comunione dei santi e della santa unità. «Chiara è Chiara solo con le sorelle. La sororitas è luogo teologale interpretativo del carisma stesso» (dalla Presentazione di mons. P. Martinelli).
È anche il mistero di una donna forte, che amava definire se stessa a partire dalle relazioni: quella con Cristo, di cui è umilissima e indegna ancella; quella con Francesco, di cui è pianticella, quella con le sorelle, di cui è serva, madre, sorella. Chiara ha una piena e libera coscienza di sé, per la quale non teme di usare il pronome ego quando deve parlare in prima persona. Eppure l’affermazione dell’io non è mai autocentrata e autoreferenziale; si accompagna a termini che hanno a che fare col servizio e la relazione, con una relazione di servizio: «Io, Chiara, ancella di Cristo, pianticella del beatissimo padre nostro san Francesco, sorella e madre vostra e delle altre sorelle povere, benché indegna» (BensC 6: FF 2855) oppure «Io, ancella di Cristo e delle sorelle» (TestsC 37: FF 2838) o ancora «Chiara, indegna serva di Cristo e ancella inutile delle sue ancelle» (4LAg 2: FF 2899).
Chiara è una donna in relazione, una donna di relazione, relazione di amore e di servizio. Non si concepisce a partire da sé, ma in relazione, relativa a colui che le sta di fronte, che sia il Cristo povero e crocifisso o Francesco o la sorella. E nella relazione, anche nel qui e ora nostri, trova gioia ed esultanza. Ora, qui, risuona il suo invito per ognuno: «Gioisci anche tu nel Signore sempre, carissima» (3LAg 10: FF 2887).
SR CHIARA GRAZIA CENTOLANZA
Monastero SS. Trinità
Sorelle povere di S. Chiara
Gubbio (PG)